L'impunità si nutre dei nostri silenzi, dei segreti carichi di vergogna delle nostre famiglie, dei "non mi riguarda", degli sguardi che decidiamo di girare dall'altra parte per vigliaccheria o per paura delle conseguenze, delle denunce mai sporte perché queste cose si regolano tra parenti. (p. 314)
Quanto si anima la nostra mente oggigiorno davanti alla riapertura di un cold case? L'inizio di Ti ricordi di Sarah Leroy? non è particolarmente nuovo, ma sa intercettare immediatamente la nostra attenzione: a vent'anni dalla scomparsa della quindicenne Sarah Leroy, nessuno ha avuto sue notizie o ritrovato il corpo. La giornalista Fanny Courtin, che ha conosciuto di persona la vittima, ha il compito di scrivere una manciata di articoli sufficientemente morbosi da attirare lettori sul portale della testata per cui lavora. Inutile dire che Fanny è ritrosa a intervistare persone direttamente coinvolte, parenti e amici, così come a tornare nel suo paesino d'origine. Ma non sappiamo ancora perché.
Ad accompagnarla in questo viaggio forzato - e qui inizia l'elemento originale del romanzo - è la figliastra Lilou, un'adolescente ribelle che si è macchiata dell'ennesima punizione scolastica; pertanto, viene accollata a Fanny per il suo stage scolastico. Tra le due è guerra aperta, ma entrambe hanno in comune l'amore per il piccolo di casa, Oscar, e sorprendentemente scoprono che il caso di Sarah Leroy le può avvicinare.
Infatti, Lilou non riesce a restare indifferente e, anzi, si lascia coinvolgere emotivamente da quanto è accaduto alla sua coetanea vent'anni prima: possibile che non si sappia più niente di lei? E che la sua matrigna sia tanto poco interessata a intervistare le persone del posto? A lei non bastano di certo le ricerche sul web, specialmente ora che a pochi passi si trovano persone che conoscevano bene Sarah e che sono state interrogate dalla polizia ai tempi della scomparsa. A cominciare dalla sorella di Fanny, Angélique, per lungo tempo una delle migliori amiche di Sarah, scagionata in fretta perché aveva un alibi. Su questo argomento, tuttavia, Fanny si mostra evitante e molto cauta, come se volesse stroncare sul nascere la curiosità di Lilou. Per paura, riservatezza o perché ci sono dei segreti risalenti ad almeno vent'anni prima?
Marie Vareille fa bene a lasciare che i diversi capitoli siano affidati a singoli personaggi, in modo tale che la focalizzazione sia variabile e ci offra i pensieri, i dubbi, i ricordi e i punti di vista sul mondo di Fanny, Lilou, Angélique e persino di Sarah. A questo alternarsi delle narratrici omodiegetiche si affaccia qui e là un capitolo scritto in un diverso carattere: appartiene al "documento di lavoro" che Fanny sta redigendo per provare a mettere ordine tra le sue fonti.
Oltre alla rifrazione dei punti di vista, i piani temporali sfalsati, che alimentano la suspense, favoriscono colpi di scena e svelamenti di doppifondi inquietanti. Per dirne qualcuno, in ordine sparso e volutamente vago, perché non ci siano anticipazioni colpevoli: non sempre la casa è sinonimo di nido dove sentirsi protetti; né gli adulti risultano sufficientemente responsabili da prendersi cura di una ragazzina che ripete più e più volte di essere stata violentata da un ragazzo più grande. Quante scrollate di spalle, quante minimizzazioni dei dolori di chi è ancora in crescita?! Nessuno può capire come stiamo meglio di un'amica che ha condiviso tutto con noi, anche i momenti più difficili. Eppure persino quando ci si sente supportate, ci si immagina di non meritarselo:
Non meritavo la loro amicizia. Me lo ripetevo spesso, la sera nel mio letto, convinta che prima o poi mi avrebbero tradita. La vita mi aveva insegnato fin da piccola che l'unico modo per non restare delusi è aspettarsi sempre il peggio dalle persone che abbiamo attorno. (p. 273)
E diffidare del mondo è una triste quotidianità per le protagoniste del romanzo. A questo, aggiungiamo un'accesa e accorata denuncia delle istituzioni - dalla famiglia alla scuola - e dell'adultità, sorde e/o impotenti, o ancora egoisticamente ripiegate su sé stesse; la celebrazione dell'amicizia, specialmente di quella tra ragazze, in grado di non farsi incantare dalle bugie del resto del mondo (da qui, il nome delle Disincantate che si danno Angélique e altre compagne); la gravità di non saper come proteggere il proprio corpo femminile dalle aggressioni di chi, più forte, è convinto di essere in diritto di prendersi ciò che vuole. Ma subire può essere davvero l'unica soluzione?
Pare, e fa piacere notarlo, che anche le autrici e gli autori stiano testimoniando attraverso la narrativa l'urgenza con cui dobbiamo discutere e agire contro il femminicidio, la violenza domestica e la violenza di genere, mettendoli al centro o inserendoli come sotto-traccia in tante opere contemporanee. Si pensi, ad esempio, a un altro romanzo, recensito qualche mese fa sul sito: Ho qualche domanda da farti di Rebecca Makkai (decisamente più fortunato all'estero che in Italia, dove è stato edito da Bollati Boringhieri), che muove da premesse molto simili a quelle di Vareille, ma vira verso il drammatico fin dalle due pagine iniziali, fulminanti.
Il merito di Ti ricordi di Sarah Leroy? è che Marie Vareille non si limita a scrivere un romanzo con un mistero da risolvere e qualche siparietto tra matrigna e figliastra; al contrario, lascia che i capitoli più lievi, da commedia familiare, si intreccino all'alta drammaticità di altri passaggi. E il contrasto rende ancor più palese la vertigine nel ricostruire gli anni dell'adolescenza di Sarah, pieni di segreti. Ma anche di speranze per un futuro diverso.
GMGhioni
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