Shakespeare ha deciso che non poteva accontentarsi di Stratford e della monotonia di una vita familiare. Al contrario dei giovani della sua epoca si è distaccato da tutto ciò che lo legava a un luogo, agli antenati, alle responsabilità di un uomo realizzato. Il colmo è che non si sa nulla degli anni che precedono le prime opere e questa sparizione è durata a lungo: sette anni. Dai ventuno ai ventotto anni. Le teorie su questi "anni perduti" sono innumerevoli. E aumenteranno, perché stimolano l'immaginazione. (p. 30)
Un giovane, appena ventunenne e schiacciato dalle responsabilità di una famiglia che conta già tre figli, decide di abbandonare la moglie per seguire una compagnia di attori itineranti. Vuole raggiungere Londra, esibirsi nei grandi teatri e vedere cosa c'è al di là dei confini di Stratford-upon-Avon, la cittadina dove è nato e cresciuto, dove ha sedotto la moglie, Anne, e dove non vuole seguire le orme del padre, guantaio e figura politica della piccola comunità. Il giovane si chiama William, il cognome non è ancora importante, è l'anno è il 1585. Per sette anni la famiglia non riceverà altro che un paio di lettere, accompagnate da discrete somme di denaro per il mantenimento dei figli. Le esperienze fatte in questo periodo saranno il terreno su cui il cognome del giovane potrà assumere risonanza eterna: Shakespeare.
Nonostante gli studi secolari e l'attenzione mondiale riservata alla figura del Bardo, i misteri intorno alla sua biografia abbondano. Persino la data di nascita, il 23 aprile, è stata indicata come possibile e la stessa cronologia delle sue opere è ancora oggetto di dibattiti. Come per Omero e le altre figure ormai salite nell'Olimpo della letteratura, con il passare del tempo Shakespeare appartiene sempre più al campo del mito. Ci sono teorie che addirittura lo ritengono una figura di paravento per mascherare la vera identità della mano dietro le opere. Stéphanie Hochet, autrice di William, ha deciso di fare luce su uno dei misteri dei primi anni della vita del Bardo, ovvero la sua sparizione – se di tale possiamo parlare – tra il 1585 e il 1592, quando Shakespeare abbandonò Stratford-upon-Avon. Anche in questo caso, le motivazioni non sono certe: si parla di una fuga per sfuggire a un processo di caccia di frodo, un allontanamento per cercare lavoro come insegnante o, ed è l'opzione esplorata da Hochet, per diventare attore a seguito di una compagnia itinerante che l'avrebbe portato a Londra e messo nella giusta posizione per dare avvio alla sua carriera di drammaturgo.
A differenza di prodotti pop che hanno speculato sulla genesi delle sue opere più famose – non si può non ricordare il pluripremiato Shakespeare in love –, William non vuole né spettacolarizzare né dare una spiegazione univoca e razionale per questi anni mancanti. Affidandosi a una prima persona, inaffidabile per eccellenza, racconta di possibilità e desideri che si legano alla biografia dell'autrice, altra prima persona narrante di questo romanzo, che interviene e lega le proprie esperienze a quelle di William. E non per un vanaglorioso paragone, ma per indagare le motivazioni universali che muovono l'essere umano di ogni epoca. In piena approvazione con le convinzioni di Richard Yates, anche Hochet ritiene che non ci sia altro di cui parlare se non della famiglia.
Il desiderio di fuga che accomuna sia l'autrice che Shakespeare si riconduce all'ambiente familiare. Da un lato, per William, abbiamo le costrizioni date da una moglie e figli che, per quanto amati e amate, sono visti come un vincolo soffocante allo spirito di un ventenne che non ha nulla delle predisposizioni commerciali e politiche del padre. Dall'altro lato, abbiamo l'infanzia e l'adolescenza dell'autrice segnata da uno zio che viene definito come un "personaggio shakespeariano": un uomo dalle convinzioni violente, figlie del più fiero e capitalistico patriarcato in cui gli artisti sono parassiti, le donne inferiori, e le persone omosessuali una categoria da umiliare, anche quando si tratta del proprio figlio. La violenza fisica e verbale viene minimizzata in questo passaggio rivelatore.
"Non sei mica stata violentata, di cosa ti lamenti?" mi aveva detto mia madre una volta che avevo disapprovato il comportamento dei due fratelli.Il messaggio era chiaro: taci. (p. 43)
Anche i personaggi che qui sono secondari, ma che saranno l'ispirazione per le opere di William, devono sottostare al giogo della famiglia. Così Richard, grande attore il cui cognome e ascendenza verrà rivelata solo alla fine, ha vissuto all'ombra del fratello molto più talentuoso di lui fino a che la morte, in circostanze poco chiare, non gli ha permesso di emergere e brillare, come un vampiro che si nutre del talento di un morto.
Le famiglie possono essere pericolose: per le pressioni, le aspettative, le violenze, l'indifferenza. Shakespeare si domanda se è «degno figlio di mio padre o una sorta di saltimbanco effeminato» (p. 57), ma l'inevitabile fallacia della famiglia, qualunque cosa faccia, è la base per la creazione artistica. È un destino che accomuna Shakespeare, Hochet, e chiunque abbia deciso, a un certo punto, di dedicarsi alla ricerca e all'espressione artistica. Poco importa chi resta indietro, come Anne e i figli di William: anche se sono stati il motore, non sono loro che verranno consegnati all'eternità.
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