«Nessuno accorre in mio aiuto per giustificare i miei errori. Quando un uomo sbaglia, tutti voltano la testa dall'altra parte; ma, quando è una donna a farlo, tutti gli occhi sono su di lei: ogni mancanza viene selezionata, amplificata, la più piccola leggerezza può costarle la reputazione» (p. 177)
Di matrimoni combinati è piena la storia, specialmente quella dei sovrani e delle famiglie aristocratiche: dunque, non sconvolge che Margherita e Umberto di Savoia celebrino delle nozze pianificate fin dalla loro infanzia. Stupisce di più, invece, che Umberto non si unisca alla moglie, ma ogni sera la lasci da sola, venendo meno al compito di concepire un erede. L'amore, d'altra parte, è superfluo, come non fa che ricordare la madre di Margherita, Elisabetta di Sassonia («Il desiderio di essere amate è una debolezza da popolane, Margarethe», p. 29). Tuttavia la giovanissima sposa si chiede dove vada ogni sera suo marito. E non ci vuole molto perché Margherita realizzi che il matrimonio non è altro che «una diversa forma di schiavitù: un recinto più ampio, più sfarzoso, ma pur sempre un recinto» (p. 37). La mancanza di comunicazione crea un solco profondo nella giovane coppia, sposatasi nell'aprile del 1868. Ed è proprio nell'estate di quello stesso anno che, all'inizio di La prima regina, accogliamo i futuri sovrani nella Villa Reale di Monza. E dal 1868 seguiremo la coppia attraverso gli anni, scoprendo i retroscena di una relazione sentimentalmente fallimentare ma caratterizzata dalla condivisione di ideali e dalla grande lealtà alla corona, fino al 1900, anno del regicidio di Umberto I.
Alla matrice storica, fondamentale e ben documentata nel romanzo di Alessandra Selmi, si unisce un filone finzionale altamente verosimile, scelta a cui ci siamo già abituati, avendo letto i suoi due romanzi precedenti, Le origini del potere (Editrice Nord, 2020) e Al di qua del fiume (ivi, 2022). La prima figura di fantasia creata dalla penna di Alessandra Selmi in La prima regina è Nina, che conosciamo in apertura del romanzo. Nina è una cameriera che vive con il fratello Bruno, guardiacaccia di sua maestà. Quando le viene offerto un lavoro alla Reggia, nell'estate del 1868, la ragazza accetta, più per necessità che per desiderio o ambizione: sa, infatti, che non le sarà facile apprendere gli usi e le richieste dei Reali. In più, fin dalle prime pagine si scontra con la governante, la signora Frassi, che non vede di buon occhio che quella ragazzina poco istruita e che non sa nemmeno fare un inchino come si deve sia assegnata al servizio di camera di Sua Altezza, la Principessa del Piemonte. Viceversa, il maggiordomo Nestore, a servizio dei Savoia da parecchi decenni, è una figura positiva: nonostante i suoi problemi di memoria, fa di tutto per aiutare Nina ad ambientarsi e a imparare.
Assistiamo così a due linee narrative principali (che successivamente si apriranno ulteriori rivoli): la vita di corte con Margherita e la vita ai piani bassi di Nina e della servitù. Due donne, due ruoli calati su di loro, due responsabilità a cui non venir meno per non tradire le aspettative della gente. Della servitù si deve sapere pochissimo ai piani alti, dal momento che «il duro lavoro di un piccolo esercito sotterraneo viene alla luce solo quando le cose vanno male» (p. 30); viceversa, ai piani bassi sanno tutto di ciò che avviene di sopra, e i pettegolezzi rappresentano una piccola valvola di sfogo.
Eppure, nonostante appartengano a classi sociali completamente diverse, Margherita e Nina avranno modo di conoscersi e di dialogare più volte, ma anche di capirsi a colpo d'occhio. A unirle non c'è solo la passione per la lettura, ma anche una lealtà reciproca costante. Entrambe sentono il peso del proprio ruolo, ed è paradossale che in più di un'occasione Nina risulti alla fin fine più libera della sovrana, come le farà notare Margherita. La corona, invece, implica enormi obblighi: per la futura regina si tratta di mostrarsi «la donna affabile e al contempo inaccessibile di sempre, cortese, sorridente e distaccata» (p. 235), senza mostrare gelosia nei confronti del marito fedifrago o indispettirsi per la presenza della sua amante fissa alle feste e ai balli. Per Umberto essere re, come gli ricorda il padre Vittorio Emanuele,
«offre molti privilegi, ma richiede un prezzo, un prezzo altissimo. Il sovrano non è una persona, è un simbolo; essere re significa sottoporsi al giudizio dei posteri, all'odio della gente, essere fraintesi, pagare anche per i loro errori. Questo significa essere re, significa darsi al popolo, annullare sé stessi per un bene più grande». (p. 114)
E allora lo avrete già capito: La prima regina non è soltanto la storia della vita privata di due sovrani che, come uomo e donna, probabilmente non si sarebbero mai scelti; offre invece una riflessione sfaccettata sul potere, sugli obblighi e i sacrifici che implica. Profondamente correlato, spicca il tema della libertà: non è facile esercitarla se si è sovrani, né ambirvi se si è poveri. E soprattutto pare quasi impossibile ottenerla se si è donne: altri personaggi femminili accanto a Margherita e a Nina vivranno da vicino le gravi conseguenze di decisioni avventate.
Anche essere figli è complicato: Vittorio Emanuele, figlio di Umberto e Margherita, soffre più volte del ruolo che gli è destinato fin dalla nascita; a lui si aggiungono i figli illegittimi, quelli che non potranno che vedersi destinare qualche briciola o talvolta neanche quella. E in ogni caso gli stessi Margherita e Umberto, all'inizio del romanzo, riflettono più volte su quanto le aspettative dei genitori li abbiano influenzati o addirittura ingabbiati in scelte difficili da portare avanti, a cominciare dal matrimonio.
Insomma, sarebbe banale definire La prima regina come un romanzo sulla regina Margherita; c'è un intero mondo che Alessandra Selmi racconta: qui ho potuto dare conto dei personaggi principali e di qualche secondario, ma vedrete leggendo il romanzo quanto sia la seconda parte dell'Ottocento a prendere forma insieme alle scene. Non ci sono forzature, né la piacevolezza del dettato è sintomo di sciatteria stilistica: al contrario, la linearità sintattica favorisce una scorrevolezza che non fa mai percepire come gravosa l'enorme quantità di bibliografia studiata da parte dell'autrice. E l'impressione è quella di indagare finemente gli animi di personaggi tante volte incontrati sui libri di scuola, resi umani da una scrittura rispettosa che non manca però di concedersi il piacere della creazione letteraria.
GMGhioni
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