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La Grande Guerra nell’opera teatrale di R. C. Sherriff: “La fine del viaggio”

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La fine del viaggio
di Robert Cedric Sherriff
Fazi editore, 21 febbraio 2025

Traduzione di Silvia Castoldi

pp. 140
€ 17 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

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I muri di terra attutiscono i rumori della guerra, rendendoli deboli e lontani, nonostante la prima linea sia solo a cinquanta metri più avanti. Le fiamme delle candele che ardono giorno e notte restano immobili nell’aria ferma e umida. (p. 11)

Immaginatevi un teatro, un palco e un sipario che si apre sulla Prima Guerra Mondiale e su un comparto di fanteria inglese, bloccato in trincea. Ecco, sono questi i punti centrali di La fine del viaggio di Robert Cedric Sherriff, opera teatrale messa in scena, per la prima volta, nel 1928.

A comparire per primo è il tenente Stanhope, giovanissimo soldato inglese che ha fatto una velocissima carriera, riuscendo ad arrivare ai gradi più alti. Fin da subito, la domanda sorge spontanea: a quale prezzo? Sì, perché quel tenente, che agli occhi di tutti è l’incarnazione dell’eroe, ha scelto un modo tutt’altro che semplice per sopravvivere: l’alcol. Questa dipendenza è ormai un fatto noto al comparto, tanto che anche i suoi sottoposti se ne fanno beffa, solamente uno sembra comprendere le sue ragioni, l’ufficiale Osborne. L’ufficiale, infatti, non biasima l’amico per quella scelta che, in "tempi normali" sarebbe scellerata, ma che lì in trincea diventa l'unica possibile. D'altronde, il tenente Stanhope è lì da tre anni e ha assistito alle morti e alle menomazioni dei suoi compagni, cosa che ha segnato per sempre la sua mente brillante.

Lo faccio per dimenticare [...]! Per dimenticare! Lo capisci? Per dimenticare! Pensi che non ci sia limite a quello che un uomo può sopportare? (p. 125)

La trasformazione è talmente evidente che, quando si unisce al suo reparto il diciottenne Raleigh, Stanhope stenta a riconoscerlo. Entrambi, infatti, si conoscono fin dai tempi di pace, amici e appartenenti agli stessi ambienti inglesi. Ed è proprio per quest’amicizia che Raleigh decide di arruolarsi e di entrare nel comparto dell'amico. Quando arriva, però, Stanhope non è lo stesso: è diventato burbero, alcolizzato e sembra abbia perso quello scintillio di orgoglio che aveva all'ultima licenza, ormai avvenuta tre anni.

È un microcosmo umano, prima che bellico, quello raccontato da Sherriff in quest'opera teatrale, nella quale la Grande Guerra, ormai agli sgoccioli, rimane sullo sfondo, mostrando il logoramento dei soldati. Sì, tutti e cinque i personaggi sono in attesa di un attacco, della fine o solo della morte che, per molti, diventa una forma di libertà da quelle atrocità. Il tempo così scorre lentissimo, scandito solo da messaggi di guerra, da bicchieri di alcol e da battute che suscitano un sorriso amaro. Tutti i personaggi, dunque, aspettano qualcosa di indefinito, ognuno imprigionato nel suo trauma. Se da una parte c’è il crollo morale, dall’altra c’è la fine delle illusioni, di quella Guerra che, prima dell’arruolamento, era avvertita come “necessaria” e che ora ha perso ogni motivazione. Raleigh incarna quella delusione che potrebbe essere quella di altri molti soldati perché «il fronte logora gli uomini... e non poco...» (p. 29).

La fine del viaggio ha il respiro della narrazione contemporanea; se non fosse per la struttura teatrale (il testo è diviso infatti in tre atti), potrebbe essere un romanzo breve, tanto che, in quelle battute così vivide, sembra essere rappresentato l’antieroismo: nessuno dei protagonisti si muove come un “superuomo”, bensì Sherriff mostra tutta la loro fragilità, debolezza fisica e psicologica, ponendo una domanda che vale allora come oggi: sopravvivere o sperare di morire in quelle condizioni? È questa la domanda che scorre nella mente del battaglione inglese. Quel che è certo che, in quelle ore di attesa, «sembra tutto piuttosto... stupido» (p. 62) e quell’orgoglio sembra svanito nel buio e nel silenzio che accompagna e schiaccia i personaggi sulla scena.

In La fine del viaggio c'è un'immediatezza comunicativa, che è sicuramente tradizionale nella forma teatrale, ma che Sherriff sfrutta per rendere partecipe il lettore di quell'esaurimento che colpì la maggior parte dei soldati. E forse il senso della lettura sta nel titolo: è la fine del viaggio dopo anni di guerra ma che comporterà un futuro sicuramente meno luminoso.

Giada Marzocchi