La fine del viaggio
di Robert Cedric Sherriff
Fazi editore, 21 febbraio 2025
Traduzione di Silvia Castoldi
pp. 140
€ 8,99 (ebook)
I muri di terra attutiscono i rumori della guerra, rendendoli deboli e lontani, nonostante la prima linea sia solo a cinquanta metri più avanti. Le fiamme delle candele che ardono giorno e notte restano immobili nell’aria ferma e umida. (p. 11)
A comparire per primo è il tenente Stanhope, giovanissimo soldato inglese che ha fatto una velocissima carriera, riuscendo ad arrivare ai gradi più alti. Fin da subito, la domanda sorge spontanea: a quale prezzo? Sì, perché quel tenente, che agli occhi di tutti è l’incarnazione dell’eroe, ha scelto un modo tutt’altro che semplice per sopravvivere: l’alcol. Questa dipendenza è ormai un fatto noto al comparto, tanto che anche i suoi sottoposti se ne fanno beffa, solamente uno sembra comprendere le sue ragioni, l’ufficiale Osborne. L’ufficiale, infatti, non biasima l’amico per quella scelta che, in "tempi normali" sarebbe scellerata, ma che lì in trincea diventa l'unica possibile. D'altronde, il tenente Stanhope è lì da tre anni e ha assistito alle morti e alle menomazioni dei suoi compagni, cosa che ha segnato per sempre la sua mente brillante.
Lo faccio per dimenticare [...]! Per dimenticare! Lo capisci? Per dimenticare! Pensi che non ci sia limite a quello che un uomo può sopportare? (p. 125)
È un microcosmo umano, prima che bellico, quello raccontato da Sherriff in quest'opera teatrale, nella quale la Grande Guerra, ormai agli sgoccioli, rimane sullo sfondo, mostrando il logoramento dei soldati. Sì, tutti e cinque i personaggi sono in attesa di un attacco, della fine o solo della morte che, per molti, diventa una forma di libertà da quelle atrocità. Il tempo così scorre lentissimo, scandito solo da messaggi di guerra, da bicchieri di alcol e da battute che suscitano un sorriso amaro. Tutti i personaggi, dunque, aspettano qualcosa di indefinito, ognuno imprigionato nel suo trauma. Se da una parte c’è il crollo morale, dall’altra c’è la fine delle illusioni, di quella Guerra che, prima dell’arruolamento, era avvertita come “necessaria” e che ora ha perso ogni motivazione. Raleigh incarna quella delusione che potrebbe essere quella di altri molti soldati perché «il fronte logora gli uomini... e non poco...» (p. 29).
La fine del viaggio ha il respiro della narrazione contemporanea; se non fosse per la struttura teatrale (il testo è diviso infatti in tre atti), potrebbe essere un romanzo breve, tanto che, in quelle battute così vivide, sembra essere rappresentato l’antieroismo: nessuno dei protagonisti si muove come un “superuomo”, bensì Sherriff mostra tutta la loro fragilità, debolezza fisica e psicologica, ponendo una domanda che vale allora come oggi: sopravvivere o sperare di morire in quelle condizioni? È questa la domanda che scorre nella mente del battaglione inglese. Quel che è certo che, in quelle ore di attesa, «sembra tutto piuttosto... stupido» (p. 62) e quell’orgoglio sembra svanito nel buio e nel silenzio che accompagna e schiaccia i personaggi sulla scena.
In La fine del viaggio c'è un'immediatezza comunicativa, che è sicuramente tradizionale nella forma teatrale, ma che Sherriff sfrutta per rendere partecipe il lettore di quell'esaurimento che colpì la maggior parte dei soldati. E forse il senso della lettura sta nel titolo: è la fine del viaggio dopo anni di guerra ma che comporterà un futuro sicuramente meno luminoso.
Giada Marzocchi
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