Se c'è una città in Italia che, nei primi anni '70 assomigliava alla Berlino del dopoguerra, in quanto a presenza di spie, questa era Trieste. Non la Milano che faceva i primi conti con lo stragismo (piazza Fontana era solo di qualche mese prima), non la Roma ministeriale e curiale, non la Napoli che faticava a diventare una città moderna e lottava ancora contro malattie antiche come il colera, non Genova, non Torino, le altre due punte del triangolo industriale, non la Firenze un po' defilata dietro alla sua arte. Trieste sì. Trieste pullulava di spie perché era posta sul confine non solo tra due Stati, l'Italia e l'allora Jugoslavia, ma tra due mondi contrapposti, di qua lo schieramento occidentale, di là la galassia comunista, impersonata a quel tempo dal Maresciallo Tito che, seppur non allineato, rappresentava comunque il blocco socialista.
Il romanzo di Pietro Spirito, È notte sul confine, edito da Guanda nella collana Guanda Noir, è ambientato nella città di confine per eccellenza, abituata da sempre a guardare più a Nord che a Sud, più a Vienna che a Roma, con un piede a Est e uno a Ovest. Ultimo avamposto occidentale, città asburgica, sbocco sul mare dell'Impero austro-ungarico, italiana nella Prima Guerra Mondiale, rioccupata dalla Germania nazista nella Seconda, specchio sloveno, reclamata dalla Jugoslavia, poi divisa e tornata finalmente all'Italia soltanto nel 1954.Non c'è da stupirsi se, in quegli anni, era a Trieste che delatori, informatori, agenti sotto copertura si muovevano. Perché, da lì, l'altro mondo era a tiro di cannocchiale.
Qualcuno un giorno gli aveva detto che Trieste è la città dei destini (...). Una città lassù, in cima al Mediterraneo, con troppa storia, troppe lacerazioni, troppe guerre, troppa violenza, non può essere che un catino dove si mischiano vita e sangue di genti diverse fra loro (p. 12)
Ettore Salassi, il protagonista di questa vivace spy-story, è un giornalista del quotidiano locale. Un quarantenne che vive nella casa appartenuta ai genitori, ormai morti, nella quale non ha cambiato nulla, non il baldacchino del letto né i servizi da tè, né, soprattutto il salotto-biblioteca, vanto del padre professore. Salassi ha la tendenza a infilarsi in storie d'amore brevi, pronto a tagliare la corda non appena questa si stringe un po'. E ha il vizio di rubare libri in certe botteghe d'antiquario o nella libreria del vecchio Pietro.
Ma Ettore Salassi non è solo un giornalista, collabora con il SID, il Servizio Informazioni Difesa, i Servizi Segreti, tanto per capirci. Lo fa quasi per farsi perdonare o per perdonare a se stesso un momento buio del suo passato. Giovanissimo, da poco sedicenne, aveva lasciato città e famiglia per arruolarsi nella Decima Mas, un corpo militare di matrice fascista, fondato da Junio Valerio Borghese (un nome che tornerà nel romanzo), una decisione mai accettata dal padre che non gli aveva più rivolto la parola, nemmeno al suo ritorno, se non in vecchiaia. Lacerti di passato, attaccati come brandelli alla pelle, che tornano, soprattutto di notte, a pungere l'anima del giornalista e che lui cerca di scacciare aiutandosi con l'alcol. E con la convinzione che l'aver accettato di collaborare con i Servizi Segreti possa in qualche modo lavargli la coscienza, ripagare la Patria del suo errore giovanile. In questo mare agitato della sua esistenza, Salassi si trova a indagare su una morte misteriosa: il cadavere di un ragazzo di leva viene ritrovato in mare. Ben presto si scopre che anche il giovane soldato, Settimo Santo, ha implicazioni con i Servizi Segreti e che non avrebbe dovuto morire.
Poche pagine e Salassi si trova di fronte a una seconda morte, quella di Cicogna, il pescatore che ha ritrovato il corpo del ragazzo e che durante l'intervista rilasciata al giornalista pochi giorni prima ha parlato di uno strano traffico notturno di barche e motoscafi sul mare tra le coste italiane e slave. E mentre le indagini cercano di fare luce sulle possibili trame del delitto del giovane soldato (non trattandosi evidentemente di morte naturale), un commilitone di Settimo Santo svela a Salassi l'esistenza di un piano per un golpe, proprio il tentativo da parte di Junio Valerio Borghese di prendere il potere, insieme al Fronte Nazionale, a Ordine Nuovo, ad Avanguardia Nazionale e con il coinvolgimento di parte delle Forze Armate.
Più probabile che Settimo avesse scoperto circostanze che non avrebbe dovuto sapere riguardo gli ufficiali, e l'organizzazione del colpo di Stato. O meglio ancora sul traffico d'armi con la Jugoslavia. Che si muovesse dentro o fuori la caserma, quel ragazzo camminava su un campo minato. Che tempi (p. 64).
Partendo da questo fatto storico vero, l'autore costruisce una vicenda narrativa che s'intreccia alla Storia, annodando fili veri e fantastici. In questo intrico di eventi, che porterà alla risoluzione del caso solo nell'ultima pagina del libro, c'è tutto il kit del buon giallista: un protagonista empatico, un colonnello dei Servizi Segreti, ammantato da un'aura di giusto mistero, una bellissima donna, la slovena Maja, che farà innamorare il buon Salassi e che, come nei film di 007, nasconde una doppia identità, un collega dedito ai piaceri della vita, e forse un po' invidiato, un caso che riguarda un sospetto traffico d'armi tra Italia e Jugoslavia e tutto l'apparato di polizia, giustizia, forze armate, buoni e cattivi che fanno da contraltare al protagonista. Ma niente è come sembra, nessuno è quello che dice di essere.
L'aggettivo che meglio si attaglia all'atmosfera del libro è notturno, intento chiaro già dal titolo: è quasi sempre notte nelle pagine, visto anche il lavoro di Salassi che lo obbliga a uscire dal giornale quando è già buio. È una Trieste scura, notturna, quasi sempre piovosa (siamo a novembre), fredda, umida quella che fa da sfondo al romanzo. Nascosta dalle brume della pioggia o sferzata dalle rabbiose raffiche del vento da Nordest, la città apre le quinte alla vicenda che si snoda rapida in un sapiente saliscendi di tensione: si alternano infatti pagine che lasciano con il fiato sospeso ad altre che stemperano la pressione conferendo così al libro un buon ritmo di lettura.
Tra i tantissimi fili che si dipanano, uno sembra rincorrersi: "l'ambiguità e l'inesorabilità delle azioni dell'uomo nel tempo" (p. 164). E quindi le riflessioni su quale sia il posto giusto di ognuno nel proprio tempo, su come lo si deve occupare. Soprattutto se il modo scelto nel passato di presenziare nel tempo e nella Storia, alla fine, si è rivelato errato o illusorio.
Salassi era alle prese con la complessa elaborazione di un'idea maturata intorno all'inconsistenza e alla fragilità della Storia, al modo imprevedibile e violento in cui gli eventi generali, per così dire, potevano invadere i destini di ognuno, soprattutto il suo (...) (p. 164).
Ma di azione in riflessione (e viceversa), e con qualche concessione agli stereotipi del genere di spionaggio tout-court, si arriva dritti al finale del romanzo. Imprevedibile, com'è giusto che sia.
Sabrina Miglio
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