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Una fiaba politica diretta al cuore dei giovani: "E tutti danzarono" di Alessandro Bertante

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E tutti danzarono
di Alessandro Bertante
La Nave di Teseo, febbraio 2025

pp. 160
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Mio padre era morto da due settimane, erano più di vent'anni che non entravo nell'appartamento dove ero cresciuto. (p. 9) 
Da bambino talvolta entravo nella stanza di nascosto e mio padre scopertomi pronunciava il mio nome a bassa voce come se fosse un sortilegio, facendomi sedere sulle sue ginocchia per poi mostrarmi le copertine degli LP, quei quaderni di carta quadrata che si aprivano come uno scrigno magico pieno di giovani sorridenti con i capelli lunghi e i vestiti colorati. (p. 10)
Ivan Boscolo ricorda il padre defunto nel suo appartamento di Porta Venezia: dell'uomo, stimato giornalista, sembra aver ereditato ben poco e, ormai cinquantenne, è un professore non troppo ispirato, in balia di un pessimismo invalidante e dell'ipocondria
Quando prendo in esame la mia vita, mi sconforta vederla così differente dai miei desideri giovanili. Sfrontato e incurante di ogni pericolo, a vent'anni affrontavo tutte le situazioni in cui mi venivo a trovare, posseduto da uno spirito inquieto che non trovava mai pace. (p. 17)
Solissimo - anche a causa dalla separazione da Francesca -, Ivan si preoccupa maldestramente di Micol, lasciando che il suo amore si traduca in apprensione e invadenti tentativi di controllo: sua figlia appartiene a una generazione che lui non può comprendere; la sorveglia perché non la capisce. 
Sullo schermo vidi un messaggio vocale di Micol. Schiaccia play, già preoccupato. Era troppo presto per ricevere una buona notizia. (p. 50)
Micol lo informa dell'adesione a un rave organizzato a Milano per l'arrivo dell'estate. L'evento sta già facendo proseliti e stuzzica i media, che piombano sulla notizia a caccia di scoop e significati simbolici; mette soprattutto in allerta le forze dell'ordine, che mappano le zone più a rischio con l'obiettivo di frenare, sul nascere, eventuali disordini. 

Ivan, piantato nella casa di suo padre, è spaventato dai servizi allarmistici della tv e dal baccano che dalla strada si riversa nell'appartamento. Decide quindi di accodarsi al corteo, per sincerarsi che sua figlia sia al sicuro.
Avevo già visto passare una decina di autoarticolati quando un razzo rosso sparato in cielo annunciò l'arrivo di un camion più grande e spartano degli altri. La motrice era dipinta di nero, marchiata con dei simboli tribali gialli disegnati con la bomboletta spray. Sopra alla cabina troneggiava una enorme testa di orso, grondava sangue e pareva strappata dal busto dell'animale, a parte gli occhi che brillavano arancioni fosforescenti. (p. 40)
Uno strano sortilegio sembra abbattersi sui giovani partecipanti: uno dopo l'altro, cascano in uno stato di trance, che li spinge a ballare senza sosta. Questa burla apparente si trasforma in dramma. La confusione causata dalle danze incontenibili si somma a preoccupanti forme di violenza prodotte da agitatori infiltrati nella folla: la polizia interviene colpendo indistintamente i presenti. Ivan, stravolto da quanto accade, cerca disperatamente sua figlia. Deve trovarla e metterla in salvo. 
Una ragazza stramazza al suolo come un sacco di stracci, vittima di uno svenimento o qualcosa di peggio. La vedo sdraiata a terra immobile, sembra morta, potrebbe essere mia figlia, Dio mio, Micol dove sei? (p. 63) 
Dopo più di dieci anni (Estate crudele, Rizzoli, 2013), l'estate torna a essere decisiva nella narrativa di Alessandro Bertante; il solstizio è all'origine di una fiaba ribelle valorizzata da una stralunata componente immaginificaE tutti danzarono trae ispirazione dall'epidemia di ballo che sorprese Strasburgo nel 1518 e ammicca, nella concitazione di corpi, bollori, odori, alle sequenze più iconiche di Il Profumo (Suskind, 1985), di cui sacrifica la carica erotica per focalizzarsi su quella politica. Infatti, dal cuore di una trama dall'affascinante deriva dylandoghiana, che spinge un signor nessuno a salvare chi ama mettendo se stesso in pericolo nella città in rivolta, emergono importanti riflessioni politiche, non dichiarate come in Mordi e fuggi (Baldini + Castoldi, 2022), eppure inequivocabili. Il romanzo, che pone Bertante tra gli scrittori più reattivi del suo tempo, irride la spettacolarizzazione dei media e condanna la violenza indiscriminata delle forze dell'ordine.
Perché solo i giovani? Chiese Francesca, allargando gli occhi. (p. 125) 
L'esperienza autoriale permette a Bertante di non limitarsi a scattare una sinistra fotografia del presente ma anche a immaginare inquietanti risvolti futuri. Se le prime delle otto parti del testo concedono libero sfogo all'arrendevolezza di un uomo incapace di stare a galla nel mondo che lo ospita, quelle successive ne segnano la riscossa, vivacizzata dal sentimento per sua figlia. L'amore spinge Ivan Boscolo ad accantonare le paure e, metaforicamente, sottrae anni di scetticismo, risvegliando il ragazzo che fu e spingendolo a un atto di eroismo individuale.
Il gesto impavido di un ragazzino sconosciuto vestito di nero era riuscito a infrangere l'argine della rassegnazione che mi bloccava da anni. (p. 90)
Succede che improvvisamente riemerge sorgiva quella parte profonda che hai sempre nascosto, sempre esistita e sempre temuta, legato al guinzaglio, imprigionata come qualcosa di cui doversi vergognare, quella forza primigenia che ti permette di fare le cose che prima non potevi neanche immaginare. (p. 91)  

Ma l'impresa solitaria di Ivan è solo un piccolo punto di un quadro profondo. La sua azione è individuale, come scritto, e riguarda la sua famiglia. 

Il punto è Micol

Il punto sono i suoi coetanei. La trance coinvolge i giovani e allude a una ribellione generazionale, perché sono loro gli unici a poter modificare le regole sociali, e a trovare energia nella freschezza dei loro anni. 

Gli adulti si sono ammansiti, scaricati, e vivacchiano impossibilitati a forzare un cambiamento perché loro ormai non cambiano più; trasformati in accondiscendenti alleati di una società soffocante e giurassica, se ne fanno involontari custodi, demonizzando la novità perché non la inquadrano, imbambolati da un intrattenimento di bassa lega e trovando conforto in barbosi discorsi nostalgici. Se, poco a poco, non sono stati in grado di ispirare più i giovani, adesso devono lasciare che siano i giovani a guidare loro o, almeno, non devono ostacolarli. Concedendo l'opportunità di guadagnare ciò che loro non sognano più: un presente libero. 

Daniele Scalese