di Alessandro Bertante
La Nave di Teseo, febbraio 2025
Mio padre era morto da due settimane, erano più di vent'anni che non entravo nell'appartamento dove ero cresciuto. (p. 9)
Da bambino talvolta entravo nella stanza di nascosto e mio padre scopertomi pronunciava il mio nome a bassa voce come se fosse un sortilegio, facendomi sedere sulle sue ginocchia per poi mostrarmi le copertine degli LP, quei quaderni di carta quadrata che si aprivano come uno scrigno magico pieno di giovani sorridenti con i capelli lunghi e i vestiti colorati. (p. 10)
Quando prendo in esame la mia vita, mi sconforta vederla così differente dai miei desideri giovanili. Sfrontato e incurante di ogni pericolo, a vent'anni affrontavo tutte le situazioni in cui mi venivo a trovare, posseduto da uno spirito inquieto che non trovava mai pace. (p. 17)
Sullo schermo vidi un messaggio vocale di Micol. Schiaccia play, già preoccupato. Era troppo presto per ricevere una buona notizia. (p. 50)
Avevo già visto passare una decina di autoarticolati quando un razzo rosso sparato in cielo annunciò l'arrivo di un camion più grande e spartano degli altri. La motrice era dipinta di nero, marchiata con dei simboli tribali gialli disegnati con la bomboletta spray. Sopra alla cabina troneggiava una enorme testa di orso, grondava sangue e pareva strappata dal busto dell'animale, a parte gli occhi che brillavano arancioni fosforescenti. (p. 40)
Una ragazza stramazza al suolo come un sacco di stracci, vittima di uno svenimento o qualcosa di peggio. La vedo sdraiata a terra immobile, sembra morta, potrebbe essere mia figlia, Dio mio, Micol dove sei? (p. 63)
Perché solo i giovani? Chiese Francesca, allargando gli occhi. (p. 125)
Il gesto impavido di un ragazzino sconosciuto vestito di nero era riuscito a infrangere l'argine della rassegnazione che mi bloccava da anni. (p. 90)
Succede che improvvisamente riemerge sorgiva quella parte profonda che hai sempre nascosto, sempre esistita e sempre temuta, legato al guinzaglio, imprigionata come qualcosa di cui doversi vergognare, quella forza primigenia che ti permette di fare le cose che prima non potevi neanche immaginare. (p. 91)
Ma l'impresa solitaria di Ivan è solo un piccolo punto di un quadro profondo. La sua azione è individuale, come scritto, e riguarda la sua famiglia.
Il punto è Micol.
Il punto sono i suoi coetanei. La trance coinvolge i giovani e allude a una ribellione generazionale, perché sono loro gli unici a poter modificare le regole sociali, e a trovare energia nella freschezza dei loro anni.
Gli adulti si sono ammansiti, scaricati, e vivacchiano impossibilitati a forzare un cambiamento perché loro ormai non cambiano più; trasformati in accondiscendenti alleati di una società soffocante e giurassica, se ne fanno involontari custodi, demonizzando la novità perché non la inquadrano, imbambolati da un intrattenimento di bassa lega e trovando conforto in barbosi discorsi nostalgici. Se, poco a poco, non sono stati in grado di ispirare più i giovani, adesso devono lasciare che siano i giovani a guidare loro o, almeno, non devono ostacolarli. Concedendo l'opportunità di guadagnare ciò che loro non sognano più: un presente libero.
Daniele Scalese
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