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«Appunti Contadini» di Marco Bonfanti: cento anni di storia dal punto di vista di Michele Naccari

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Appunti contadini
di Marco Bonfanti
Edizioni Clichy, febbraio 2025

pp. 136
€ 18,50 (cartaceo)


Appunti Contadini è la biografia di Michele Naccari, non un personaggio pubblico, non un luminare, non un intellettuale, bensì un contadino di novantaquattro anni nato e cresciuto a Tropea. Cosa può avere di interessante la vita di una persona comune in un luogo periferico rispetto alla storia, tanto da diventare letteratura? Questa è la domanda che mi sono posta prima di cominciare a leggere, anzi forse questa è proprio la ragione per cui ho cominciato a leggere.

Premessa: recensire Appunti Contadini mi risulta complesso, il testo è in lingua dialettale, aspro, essenziale, e a me sembra di "sporcarlo" con lessico, sintassi e interpunzione, spesso inutili. Cercherò quindi di andare in sottrazione, in accordo con la postfazione del testo.


La trama è nello stile 

Michele Naccari si racconta dall'infanzia alla vecchiaia, in un italiano sgrammaticato misto al dialetto calabrese. I suoi primi anni di vita sono contraddistinti da un contesto familiare di povertà e paura, poi cresce e si ingegna in tutti i modi per avere una vita dignitosa, cerca l'emancipazione instaurando relazioni proficue con le persone più abbienti (i padroni) sempre con grande dignità, lavorando senza sosta nei campi, sposandosi e creando un rapporto sincero e sano con sua moglie, educando i loro quattro figli. E sì, il testo riesce a coinvolgere anche senza i plot twist a cui siamo abituati con televisione e serie tv. «Quando adesso vedo mia sorella mi dice sempre: Micheli ti ricordi di quello che passammo noi? Eravamo solo dei figlioli. E io ci dico: Eh Caterina mia... meno male che il tempo passò. Il tempo uccide tutte le cose brutte», i due si riferiscono in particolare a uno zio che viveva con loro e sparava volontariamente colpi di fucile a poca distanza dai due fratelli.


Sembra di guardare quello che si legge

Bonfanti, l'autore, spiegherà in postfazione come nasce e si sviluppa il testo, a cosa fosse destinato e quale altra forma - invece - ha preso. Non anticipo, perché secondo me anche questo va capito dopo. L'elemento importante di Appunti Contadini è il forte potere evocativo a livello visivo che Naccari riesce a creare parlando, sembra di vederlo, seduto ad un tavolino, circondato dal verde, un po' duro nei modi, l'ho immaginato con una coppola, delle bretelle, con un colorito roseo. Passano davanti agli occhi di chi legge, continui fotogrammi della storia, l'educazione scolastica rigida del periodo fascista, quelle classi di bambini separati dalle bambine, in bianco e nero con il grembiule e una maestra con una postura rigida pronta a bacchettare, gli anni '60 e i treni in partenza dal sud carichi di speranza e vitalità verso la Roma del boom economico, la ricerca di favori negli uffici istituzionali degli anni '80. «Lui è diventato niente pò pò di meno che direttore generale della Banca d'Italia. Sissignori. Un gradino alla volta. Perché s'era laureiato in legge, era avvocato, era bravissimo. Aveva trovato lavoro nello Stato, era un grande. Tutti voleano lavorare nello Stato, anche io come vi ho detto, e lui c'era riuscito, era mio cugino», queste parole arrivano come dei flash di un film neorealista prima, di "Un borghese piccolo piccolo" poi.


I valori della terra senza la retorica dei valori della terra

Sacrificio, forza di volontà, capacità di rialzarsi, costruzione lenta e minuziosa, frugalità, questi sono alcuni dei valori ai quali nella sua vita farà continuamente riferimento Naccari con il suo orgoglio contadino, ogni volta che non ha soldi, che deve progredire, che deve scegliere come impostare il suo matrimonio, che deve impostare il rapporto con i suoi figli. Si fa spazio - quindi - una domanda ingombrante in chi legge: mettendo da parte il passatismo romantico, oggi, nel trionfo sacrosanto del progresso occidentale (medicina, scienza, equità di genere, libertà), quali sono i valori ai quali noi facciamo riferimento quando prendiamo delle decisioni? Cosa ci guida nel profondo? Sia a livello individuale che collettivo, che posto occupano la tenacia, l'accettazione, il senso di realtà?  «La vità è così», Naccari chiude spesso in questo modo i racconti delle sue esperienze, in una sospensione che se dapprima sembra rassegnazione, con l'andare delle pagine si trasforma in modus vivendi.
I passaggi dettagliati sulle tipologie di piantagioni, sui terreni, sul corpo umano segnato, lacerato e appagato dal lavoro rurale, sono suggestivi, a volte sembra di percepire il dolore fisico, e al contempo pieni di colori e di profumi. Nella parte finale del testo Naccari si affaccia alla modernità, alla tecnologia, al multiculturalismo, soprattutto attraverso i suoi figli e le loro scelte di vita.

«Tutti vogliono essere serviti, stare comodi. A nessuno ci interessano più le avventure. Peccato...». qui, secondo me, si racchiude, il salto tra passato e presente, tra la vita agìta e la vita congetturata, tra il corpo che sperimenta e il corpo che rappresenta, e tra tante altre dicotomie che sarebbe interessante tornare ad analizzare tra una decina d'anni.

Rossella Lacedra