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L'incomunicabilità, i rapporti famigliari difficili, il rimorso e il rimpianto: una raccolta di racconti che parla al mondo contemporaneo

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Il sorriso di Shoko
di Choi Eunyoung
HarperCollins, febbraio 2025

pp. 240
€ 17,90 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)

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Ma nessuna nuova relazione poteva sostituire quelle che aveva perso. Le persone più importanti erano arrivate sorprendentemente presto nella sua vita. Con il tempo, trovò difficile persino voltare la prima pagina di nuove conoscenze, quando da giovane l'avrebbe fatto con spontaneità. Le persone a un certo punto della vita chiudono il cuore a chiave, come seguendo una regola non detta. Poi stringono altre amicizie al di fuori di quei lucchetti, con gente che non potrebbe mai fare loro del male e che loro non potrebbero mai ferire, formano gruppi di risparmio, vanno in vacanza con altre coppie sposate o a camminare insieme. Dicendosi l'un l'altro che non tornerebbero mai ai vent'anni. Perché, in fondo, all'epoca si è un po' sprovveduti, no? (p. 101)

Nella nota dell'autrice in postfazione, tanto interessante quanto il testo stesso, Choi Eunyoung ammette di aver passato momenti difficili quando provava ad affermarsi come scrittrice in Sud Corea, il suo Paese natale. Sono rimasta colpita dalla sua sincerità, dal suo svelarsi senza vergogna, raccontando in poche righe la sensazione comune a chiunque cerchi di raggiungere un sogno e, per un motivo o un altro, non riesce a realizzarlo.
O meglio, riesce a realizzarlo dopo innumerevoli impedimenti. Forse, come ci ricorda l'autrice, è proprio in quei casi che si è più grati, si percepisce con maggiore chiarezza quanto si è stati fortunati. E ci si ringrazia per la propria caparbietà.

Ecco, lo stesso tono sincero e schietto viene utilizzato dalle voci narranti per questa raccolta di racconti, sette in tutto, che sono valsi all'autrice numerosi premi in patria, uno su tutti il riconoscimento come miglior titolo di narrativa dell'anno (parliamo del 2016).
Quello che a prima vista può sembrare un romanzo, incentrato sulla storia dell'incontro di due adolescenti, una coreana e l'altra giapponese - la Shoko del titolo - è in realtà un insieme di storie autoconclusive con alcuni tratti comuni: l'incomunicabilità (termine tanto caro al nostro regista Antonioni), il rimorso e il rimpianto, il rammarico, i rapporti famigliari complicati, fondati su basi poco solide e scivolose, la perdita, l'allontanamento, un certo masochismo nei sentimenti.

Quasi tutte le storie del volume parlano di rapporti che si interrompono, di persone che si sono volute bene, che si sono amate, ma che alla fine hanno deciso di separarsi per sempre. Che si parli d'amore, d'amicizia (grande tema del testo) o di rapporti in famiglia, tutti i personaggi sembrano incapaci di gestire i proprio sentimenti e i proprio fallimenti, preferendo la via della fuga al confronto, seppur doloroso.

Come per una regola non detta, dormivamo tutti e tre nella camera matrimoniale. Il nonno vicino all'armadio, la mamma alla finestra e io in mezzo a loro due. Ci raccontavamo storie al buio, guardando il soffitto. Cose che prima non potevamo dire. Cose che pensavamo non dovessero essere dette, ma che abbiamo trovato il coraggio di dire. Come se ci stessimo conoscendo per la prima volta. O stessimo imparando a parlare per la prima volta. (p. 40)


«Chiacchieri e ridi» disse Caro. «Giochi a carte e a ping-pong con gli altri. Nel frattempo, Hanji soffre.» Il tono era cauto, ma avvertii nelle sue parole una punta di giudizio. «Sì, è vero. Ma a te cosa importa?» replicai senza mezzi termini nel mio inglese stentato, con un tono spicciolo e diretto da bambina. Avrei voluto spiegarle come Hanji mi stesse ignorando, quanto questo mi facesse soffrire, e perché, nonostante tutto, non potessi chiedergli spiegazioni, ma non ci riuscii. Le parole inglesi che mi fluttuavano nella mente non furono in grado di trovare un ordine, rimasero come impigliate senza poter essere pronunciate ad alta voce. Caro. Non è quello che volevo dire. Dammi un momento. Un momento per pensare, per scegliere le parole giuste e formulare una frase. Lei mi fissò con i suoi occhi grandi. Le mie aspre parole non l'avevano ferita, ma delusa. Il suo sguardo sembrava dirmi: Allora è così che sei. (p. 149)

In un racconto due adolescenti, una coreana e l'altra giapponese intrecciano uno strano rapporto di amicizia, ripreso da un altro racconto: entrambi finiscono con una separazione, non forzata, ma voluta da una delle due protagoniste. Accade nel racconto di apertura, Il sorriso di Shoko, che dà il nome al titolo del libro, e anche nel terzo, Sorella, mia piccola Soonae.  
I difficili rapporti in famiglia del primo racconto - mamma/figlia/nonno - riecheggiano nel secondo, dal titolo Xin Chao, Xin Chao, dove la storia delle mostruosità della guerra del Vietnam si lega a quella di due famiglie emigrate in Germania sul finire degli anni '90. Anche in questo caso, abbiamo legami di parentela difficili, incomunicabilità e due rapporti molto dolci e teneri che finiscono bruscamente, quello tra le due madri delle famiglie, e quello tra i rispettivi figlio e figlia. 

Spesso nei racconti i protagonisti sono emigrati altrove, si trovano in situazioni in cui non conoscono bene la lingua, fanno fatica a farsi capire, instaurano rapporti instabili proprio a causa delle barriere culturali e linguistiche: come nel caso del racconto Hanji e Youngji, un ragazzo africano e una ragazza coreana che si incontrano in un monastero alle porte di Lione. Anche qui, il rapporto, che in prima battuta sembrava promettente, andrà in frantumi senza un apparente motivazione e le difficoltà saranno aggravate dalle differenze di lingua. Tema che si ripresenta nel racconto successivo - coreane che si devono misurare col russo - Una canzone da molto lontano.

Un giorno il padre le aveva detto che a rovinare il mondo era l'apatia della maggioranza perbene. Aveva ragione, ma lei non voleva lottare contro un mondo così. Non voleva salire su un ring dove la sconfitta era inevitabile. Per lei il mondo era un posto in cui inginocchiarsi anche se non le piaceva, un posto a cui doveva adattarsi anche se questo significava isolarsi o modificare la propria natura. Non cercava lo scontro con esso, voleva farne parte. Voleva che il mondo la invitasse a entrare. (p. 207)

Alla luce di quello che l'autrice ha scritto nella postfazione, le storie prendono un'altra direzione: si potrebbe dire siano tute espressioni della sua passata delusione, delle difficoltà a farsi accettare e capire, del suo desiderio di essere qualcuno di importante che lascia nel mondo una traccia. Per questo motivo, prima di iniziare a leggere la raccolta, consiglio di leggere prima la sua nota, alla fine del libro.

Deborah D'Addetta