Tra memoir, romanzo biografico e autobiografico al tempo stesso, Perduto è questo mare di Elisabetta Rasy sfugge alle comuni etichette di genere per i contenuti. E vi sfugge anche per lo stile: raffinato e nostalgico nella cura lessicale per il dettaglio, è invece moderno nella sintassi svelta, perlopiù asindetica. I quadri di vita qui rappresentati coniugano così l'arte del cesello antico e l'iconicità della cinematografia moderna.
Perduto è questo mare si muove tra estremi: anzitutto tra il passato e il presente. Quando ci sono le onde di un ricordo tranquillo, ci si lascia trasportare (senza che arrivi mai la bonaccia); viceversa, quando è la tempesta dell'irrisolto, delle sofferenze, del trauma ad affiorare, allora è burrasca. E proprio come il mare delle amatissime Posillipo e Capri, la narrazione è imprevedibile.
Possiamo talvolta convincerci che questo sia un romanzo biografico dedicato all'amico di una vita, il grande scrittore Raffaele La Capria, scomparso nel 2022. Per anni lui e Elisabetta Rasy si sono telefonati quotidianamente, chiacchierando tanto del quotidiano quanto di letteratura, del presente, di ricordi condivisi. Nonostante la differenza d'età, che rendeva La Capria molto più vicino per età al padre di Elisabetta Rasy, lei lo ha sempre ritenuto il più giovane tra i suoi amici, perché non è l'anagrafe a dettare la voglia di vivere. Eppure di La Capria viene qui colto molto di più, ovvero la sua complessità, in un ritratto che non vuole solo essere un omaggio al grande scrittore, ma un commosso ricordo dell'amico che ha rappresentato un punto di riferimento.
A questo filone, già splendido, perché rifulgente quanto il mare di Napoli che accomuna le origini di La Capria e Rasy, si intreccia il rapporto ben più complesso col padre, un uomo di grande bellezza, sfiorita «nei fallimenti e nella solitudine» (p. 14). A lungo è apparso agli occhi di Elisabetta bambina come una figura da conquistare, ma negli anni si è incupito e si è chiuso in un silenzio e in una riservatezza che lo hanno trasformato quasi in un fantasma, su cui porsi domande senza risposta («Dormiva per dimenticare? Oppure, come gli adolescenti che non riescono mai a lasciare il letto nei giorni che non devono andare a scuola, dormendo si preparava a un futuro più vicino al sogno che alla veglia?», p. 150). E sono silenzi dolorosi, che tracciano un solco che si espande con la lontananza successiva, durata anni.
Eppure tutto ci forma, tutto crea rapporti e legami: basta un tuffo in mare perché sia il padre sia Raffaele tornino alla mente di Elisabetta Rasy, innamorati com'erano entrambi del nuoto. E così basta poco perché Napoli - non la città iper-turistica di oggi, ma quella di un tempo - si riaffacci alla mente di Elisabetta Rasy, che, per quanto fisicamente lontana, ha mantenuto un legame controverso ma forte con la città d'origine. Proprio come La Capria.
Insomma, tre sono i personaggi principali che affiancano l'autrice in questo libro: il padre, Raffaele La Capria e Napoli. Il tempo interviene, riplasma i legami, talvolta deformandoli e moltiplicandoli (accanto a Raffaele, ad esempio, spicca la figura della seconda moglie Ilaria Occhini; la madre di Elisabetta occhieggia qui e là,...). Eppure Perduto è questo mare torna pienamente a loro, intrecciando capricciosamente la trama e l'ordito di una storia che ora si concentra sul rapporto d'amicizia con Raffaele, talvolta propone chiavi di lettura della sua opera; ora vira verso l'autobiografia, ora verso il romanzo familiare, cercando di fare chiarezza in un passato che è solo in parte attingibile. Solo l'io-narrante è una costante: la sicurezza con cui Elisabetta Rasy gestisce la pagina promette al lettore che, seguendo il filo intricato della memoria in una struttura poco tradizionale e non sempre equilibrata, si uscirà ritemprati come dopo un tuffo in un mare cristallino che ha però delle profondità ancora inesplorate.
GMGhioni
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