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Come fa il silenzio a esplodere dentro a un romanzo. Potenza narrativa e segreti di famiglia nel magnifico lavoro di Fatma Aydemir “Tutti i nostri segreti”

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Tutti i nostri segreti
di Fatma Aydemir
Editore Fazi, 11 febbraio 2025

Traduzione di Teresa Ciuffoletti

pp. 324
€ 18,50 (cartaceo)
€ 11,99 (eBook)

Perché in fondo cos’è un padre, se non uno dei punti fermi che delimitano lo spazio in cui si cresce e da cui prima o poi bisogna evadere, un problema con cui misurarsi, uno specchio in cui osservi la tua vita di volta in volta e capisci come non deve essere, una sorta di anti-Io? (p. 141)

Il secondo lavoro della scrittrice di origine curde Fatma Aydemir è un romanzo coinvolgente, un caso fortunato e sempre più raro di gagliardia narrativa unita a una storia intensa, intrigante e commovente. Non si può chiudere il libro senza pensare di aver letto uno dei romanzi più importanti scritti negli ultimi tempi. Non a caso, la scrittrice, che scrive in tedesco, ma è figlia di immigrati curdi, in Germania è una delle più premiate e tra l’esordio Ellbogen (2017) e Dschinns (2022), titolo originale di Tutti i nostri segreti, in Italia edito da Fazi, ha fatto incetta dei più prestigiosi premi letterari del suo paese. 

Ho letto una penna davvero interessante, piuma e punta di diamante, che accarezza e che graffia a sangue, che sa presentare in maniera coinvolgente e originale il dramma di una famiglia che ha perso il padre, Hüseyin, a pochi giorni dalla tanto sospirata pensione e che fa di questo evento luttuoso occasione per far entrare il lettore nelle storie dei figli e della loro madre, Emine. Tutti i nostri segreti è un romanzo che mette sotto i riflettori non solo il contrasto, ormai universale direi, tra la generazione dei padri e quella dei figli, tra tradizione e modernità, tra valori atavici e la necessità di cambiare, ma anche la realtà difficile in cui versa la popolazione curda, perseguitata in Turchia e disprezzata negli Stati dove emigra.

Sevda non si capacitava di come fosse finita in quel ginepraio. Sapeva solo che non avrebbe mai più detto a nessuno da dove veniva la sua famiglia. Da piccola parlava curdo con i nonni, chissà quando aveva smesso di preciso. Forse dopo che si erano  trasferiti in città? Sì. Sevda ricordava uno schiaffo. Emine le aveva dato un ceffone e aveva detto: se rispondi un’altra volta in curdo, ti ammazzo. […] «Parliamoci chiaro, Sevda: qui siamo in Germania. E ai tedeschi non gliene frega un cazzo di quante lingue parliamo o di che Dio preghiamo. Ci vedono come turchi di merda, per cui siamo turchi di merda. Punto e basta. (pp. 88-89)

Quanto pesano sul cuore di una madre i segreti di una vita? Anche i figli però hanno le loro più o meno inconfessabili debolezze, intimi dispiaceri che non hanno potuto rivelare a nessuno dei familiari. Il silenzio quando esplode fa rumore: Tutti i nostri segreti è un romanzo che sa riprodurre molto bene attraverso immagini, gesti, flussi di coscienza, salti temporali nei ricordi, la tristezza, l’infelicità, la depressione che attanaglia la vedova Emine e sua figlia Peri, che si è accorta del suo dolore. Ancora: Hakan, che tra vendite di auto rubate e i ricordi dell’adolescenza, è dentro lacerato dal tormento psicologico di aver deluso il padre; Sevda, la figlia maggiore, e il suo bisogno di riscatto e il senso di essere stata abbandonata da bambina, che non vede e non sente i genitori da cinque anni in seguito a un pesante litigio con loro.

Ümit, il più giovane dei figli, sta scoprendo la sua identità di genere e teme di rivelarsi ai genitori. Chi non ha segreti in questa famiglia, chi non ha il proprio jinn (il titolo originale del libro è la traduzione tedesca del termine arabo jinn, genio, spirito, demone)? Emine è una donna infelice, che ha costruito la sua vita di moglie e di madre su un segreto del passato doloroso e inconcepibile e l’ha custodito nel silenzio, educata all’obbedienza e alla mitezza dalla cultura musulmana, ma le figlie sono il suo opposto. Peri è una femminista, diversamente dalla madre, ha fatto già le sue esperienze sessuali adolescenziali:

[…] finché si trattava di studiare Hüseyin ed Emine non le proibivano mai di uscire nel pomeriggio, del resto lei frequentava il liceo, un luogo per loro misterioso, che li riempiva di orgoglio ma al tempo stesso li metteva in soggezione. Hüseyin ed Emine devono aver pensato che Peri avesse bisogno di studiare in compagnia per andare bene a scuola e che il divieto di uscire di casa dopo le sei di pomeriggio potesse impedirle quello a cui tutti i ragazzi della sua età pensavano costantemente, preservando così la sua illibatezza. Come se prima delle sei di pomeriggio non si potesse perdere la verginità, come se prima delle sei non ci si potesse crogiolare nel calore, nei baci, nel sudore dell’altro, come se non si potessero fare mille cose per provare piacere senza compromettere l’imene, il cui legame con la verginità era stato scientificamente smentito da un pezzo, come Perì avrebbe appreso in seguito al collettivo femminista. (p. 147)

La narrazione scorre a doppia focalizzazione ed è circolare, perché si chiude ad anello: il primo e l’ultimo capitolo presentano le voci dei genitori in seconda persona, gli altri capitoli sono invece scritti in terza persona e rappresentano le voci dei quattro figli, Sevda, Hakan, Peri e Ümit. Questa scelta narrativa è assolutamente più coinvolgente sul piano emotivo, perché le parti raccontate in seconda persona sono state per me quelle più toccanti, mi sono sentita risucchiare da quel tu narrativo, è assolutamente più diretto, più intimo, più lacerante. 

Tutti i nostri segreti ha una struttura equilibrata, ogni sua parte contribuisce a creare un romanzo armonico, a più voci, che non trascura la necessità di avere personaggi credibili, ben caratterizzati, attraverso i quali il lettore riesce a comprendere meglio, attraverso le loro esperienze e le loro storie, le complesse sfaccettature dei loro genitori, un uomo e una donna forti e fragili allo stesso tempo, che avevano provato a scappare dal loro triste passato per creare una vita migliore alla loro famiglia. Se siano riusciti o meno in questo intento è l’interrogativo e la riflessione che lascio al lettore.

Ai funerali è diverso. Di fronte alla morte non c’è facciata che tenga. Le crepe affiorano, che lo si voglia o no. E tra una crepa e l’altra affiora l’orrore, la paura narcisistica di essere, anche noi così precari. Che ogni passeggiata possa sfociare in un infarto, ogni sigaretta nel cancro, ogni pena d’amore nel suicidio, ed è per questo che al funerale di suo padre le è toccato vedere tutti quegli sconosciuti che singhiozzavano a dirotto, non per un uomo di cui a loro in fondo neanche importava granché, no, ma per se stessi. Ha visto persone che piangevano la propria morte imminente e seppellivano il proprio presente e i propri sogni. (p. 144)

Marianna Inserra