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Eroi o topi? La trappola amorosa di Giovanni Arpino

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La trappola amorosa
di Giovanni Arpino
Capricorno, 2025

pp. 176
€ 12,00 (cartaceo)


Nella collana Capolavori ritrovati, la casa editrice Capricorno ripropone i romanzi della letteratura piemontese fra Ottocento e Novecento. Spesso vi sono romanzi e autori ingiustamente dimenticati e tralasciati dalle antologie. È il caso di Giovanni Arpino, scrittore e giornalista, premio Strega nel 1964 e Premio Campiello nel 1980. La trappola d'amore, pubblicato per la prima volta nel 1988, è un romanzo postumo, ma non incompiuto, anzi concluso "in una gara con la morte" dall'autore. Quindi "postumo", come si legge nella nota dell'editore, solo nel senso che è stato pubblicato dopo la morte dello scrittore, ma non come sinonimo di non finito. «Non si può morire con un romanzo tra le costole» diceva Arpino, come ricorda Bruno Quaranta (p. 187) e la fatica e l'impegno donano una patina di malinconia, pervasa comunque dal divertimento del gioco della letteratura, della descrizione sorniona dei personaggi, della ricerca dell'aggettivo inatteso.

Il protagonista è Giacomo Berzia, un attore sessantenne, che ha abbandonato il teatro e conduce in una radio privata un programma chiamato "Le lettere impossibili". Berzia è un solitario, forse anche un po' misantropo, e le uniche compagnie che ha sono la sorella Amalia e Ciro Tramontano, che lo aiuta nella stesura  dei testi per il programma radiofonico. 
Il romanzo si apre con una di queste "lettere impossibili":

Egregio Signore Iddio, mi perdoni quest'ultima lettera. So di non doverLe scrivere più. Ho finalmente capito la lezione: la Sua risposta è il silenzio. Ma non essendo un pensatore sono arrivato con molto ritardo a questa grave scoperta, che rende ancora più difficile le nostre preghiere. Mi ritengo un uomo come tanti, un piccolo eroe negativo e se oso rivolgermi a Lei è per dirLe che il mondo d'oggi... (p. 9)

La lettera si interrompe così, e conosciamo Giacomo Berzia mentre si libera dalle cuffie radiofoniche e inorridisce per l'OK gestuale tributatogli dal tecnico, dalla cabina di regia. Un posacenere carico di sigarette spente e l'atteggiamento irriverente. Così si presenta il protagonista di Arpino. Ma presto scopriamo che lui non è solo il mittente, ma anche il destinatario di strane lettere.

Una lingua rettangolare, d'un bianco opaco, quadrettata finemente, serpeggiò indocile dalla busta. L'attraversava una linea sottile nera, qua e là interrotta da minuscoli sbalzi ora più inchiostrati ora più esangui: un elettrocardiogramma. In basso poche parole d'una grafia decisa, tondeggiante: Come vedi, questo mio cuore è sanissimo. Da oggi è tuo. Nessuna firma, solo la data del giorno prima. Giacomo Berzia, un piede appoggiato e fermo sul gradino, l'altro a compasso, lasciò defluire il benevolo sussulto di sorpresa. (p. 17)

Le pagine del romanzo iniziano a essere scandite dall'arrivo delle lettere della misteriosa corteggiatrice: prima un biglietto da mille lire infilato in una tasca del cappotto di Amalia con la scritta Soldo fa soldo, cuore fa cuore, poi addirittura regali gastronomici, lasciati in portineria. Pian piano non solo Berzia finisce per attendere con impazienza questi enigmatici messaggi, ma essi finiscono per turbare anche la calma delle giornate della sorella Amalia, personaggio ben descritto, vero alter ego nei dialoghi con Giacomo. Dialoghi, a volte, troppo letterari, da carta stampata e poco credibili, mentre la prosa di Arpino quando descrive ambienti e abitudini, riesce sempre ad essere vivace, imprevedibile nell'accostamento di aggettivi a nomi, dotata di visibilità.

Erano in una viuzza spigolosa, umida, nel pieno centro della città ma che pareva disfarsi tra finestre e portoni macerati, ballatoi pericolanti. Dai vetri d'un povero caffè due mani offrirono radioline in vendita e i volti di alcune vecchie prostitute larghe, sdentate li osservarono cupamente. (p. 41)

Non viene mai indicata la città in cui si svolge l'azione, nonostante tutto sembri rimandare a Torino. Ma è un non-luogo quello che narra Arpino; potrebbe essere qualsiasi città impersonale che fa da sfondo ad esistenze impersonali ed estranee, che si passano accanto senza scalfirsi. Solo lettere inventate in radio tracciano un ponte invisibile di comunicazione con il mondo; allo stesso tempo solo un'anonima ammiratrice risponde a quei messaggi, tesse una tela che intrappolerà l'attore, ex-attore della propria vita, per farlo tornare in scena.  

A questo scambio epistolare a senso unico, che è l'asse portante della narrazione, si intreccia la vicenda di Halina, una ragazza polacca che lavora come tuttofare in un negozio che vende bastoni da passeggio. Anche la vicenda di Halina si ammanta di mistero e sparizioni, tra un passato irrisolto e un presente stentato. Alla fine scopriremo che la vicenda di Halina è pienamente allacciata a quella dell'ammiratrice misteriosa, di cui qui non darò il nome, né rivelerò le sorti di questo corteggiamento, per non togliere al lettore la scoperta.

Ma non posso tacere le parole finali de La trappola amorosa, che sono per i motivi sopra detti le parole finali della letteratura di Giovanni Arpino: «Da millenni il mondo stermina gli eroi, non bada ai topi» (p. 185). Berzia non è probabilmente un eroe, potrebbe ingrossare le fila degli inetti letterari del Novecento, però conquista con la pigra ironia e il lucido disincanto. Se, come aveva scritto Arpino nell'incipit di Passo d'addio: «la vita o è stile o è errore», Berzia ha stile, tanto.

Deborah Donato