Il Carnevale di Nizza è una raccolta di scritti giovanili, di primi esercizi di scrittura più un racconto inedito di Irène Némirovsky, curata da Teresa Lussone ed edito da Adelphi, la casa editrice che ha pubblicato tutte le opere della sfortunata autrice, scomparsa anzitempo nei campi di concentramento ad Auschwitz nel 1942. Chi ama la scrittrice non può farsi mancare questa raccolta, preziosa non solo per i racconti in sé che ci offrono una Némirovsky per certi aspetti ancora immatura (ma non così tanto!), ma anche per il valore che rappresentano, perché costituiscono l’officina di contenuti e temi che verranno approfonditi, arricchiti, metabolizzati nelle opere più famose come Suite francese, Il ballo, David Golder, ma anche altri.
Ho trovato molto interessanti un gruppo di racconti per i tentativi di sperimentalismo: Némirovsky era giovanissima, diciottenne, affascinata dal cinema - «l’arte che più si avvicina alla vita» (p. 304) - e intesse i suoi scritti giocando con primi piani, dissolvenze, scene veloci che scorrono sulle pagine talvolta senza far parlare i personaggi, ma concentrandosi sui loro volti, su un particolare oggetto che li rappresenta, su un loro gesto, proprio come nel cinema muto. Questo processo narrativo è evidente in buona parte dei racconti, ma in particolare in La sinfonia di Parigi, Natale, ne Il carnevale di Nizza che dà il titolo a tutta la raccolta.
Di nuovo il leggero sciabordio della pioggia e il trillo impaziente di un campanello. Mario aspetta davanti al portone chiuso del palazzo assieme a una giovane donna che rientra come lui. Fanno conoscenza. La ragazza dice il suo nome, Gilda; studia pittura; sono sei mesi che abita in quella pensione. Dietro la porta, un rumore di ciabatte strascinate: la portinaia viene ad aprire. Il corridoio buio; le camere di Mario e Gilda sono vicine. Si stringono la mano. Mario entra nella sua stanza, vede il piccolo pianoforte appena portato su; si precipita verso lo strumento, lo apre, comincia a suonare adagio le prime battute del preludio. Nella stanza accanto, Gilda si scioglie i capelli canticchiando davanti allo specchio; ha un viso grazioso, un po’ duro. Una sala da concerto. Molto in alto, agli ultimi posti, Mario e Gilda ascoltano e si sfiorano la mano al buio. (p. 22)
Per storie d’amore fugaci, leggere e intense insieme, una soluzione narrativa sicuramente efficace: ciò che conta i sono i momenti, i fotogrammi e quindi il carpe diem che considero Leitmotiv della raccolta. Fa certamente impressione notare, in una donna così giovane come Némirovsky all’epoca di questi scritti, la consapevolezza della fugacità della giovinezza, della vita, dell’amore, che va goduto quando si è freschi, pieni di energia e di voglia di vivere.
Oh, amare con leggerezza, con spensieratezza, dare baci che non legano implicitamente per tutta la vita, separarsi senza lacrime! (p 239)
Una cosa è chiara: il vero amore travolgente non è mai quello verso l’uomo con cui ci si sposa, come cinicamente Marie-Laure fa notare alla disperata sorella Claudine che ha scoperto di essere incinta dell’uomo sbagliato nel racconto Natale:
Certo che sei proprio all’antica! Si flirta, ci si lascia, è la vita... Il vero amore arriverà quando saremo sposate, e di certo non parlo del marito... (p. 75)
Giovani spose spente da un matrimonio monotono, da mariti che hanno smesso di guardarle come donne desiderabili anche dagli altri uomini oppure ragazze senza scrupoli, in cerca di un marito che sia ricco e bello, disposte a tutto pur di averlo, anche ad andare dalla… chiromante! Mi riferisco a Nonoche, la protagonista dei primi quattro racconti di questa raccolta, i suoi primi «sketch buffi e strampalati» (p. 303) e molto dialogati. Come scrive Lussone, curatrice dell’intero volume,
queste prime prove rivelano certamente l’influenza di un tempo spensierato fatto di balli e divertimenti, ma lasciano intravedere una propensione per le forme brevi, per i testi da leggere tutti d’un fiato, quanto una vena satirica che troverà posto in alcune delle sue opere più note […]. (pp. 303-304)
Quando invece si è appesantiti dall’esperienza e dall’età, non è più l’amore il più grande piacere della vita, non è più lui a scaldare gli uomini, ma un buon piatto di manicaretti accompagnato da un bicchiere di vino sincero. È la lezione, amara e triste, del racconto Una colazione in settembre, dove anche il mese è emblematico: è finito il calore estivo - l’amore e la giovinezza- e della fulgida estate non rimane che un tiepido ricordo. Thérèse dopo tanti anni rivede Raymond, amico di suo marito e suo antico spasimante, lo trova invecchiato, imbolsito, ma forse ancora desiderabile. E lui? Cosa prova per lei, si è spento quel fuoco? A leggere queste parole, direi che a risposta sia chiara:
Thérèse bevve ancora e, a poco a poco, il nodo che le serrava la gola si allentò impercettibilmente; si sentì di nuovo invasa da un oscuro e selvaggio benessere, misto a una malinconica rassegnazione. Lui ripeté: «Sì, mia cara, non c’è niente di meglio di un piatto ricercato, una buona bottiglia, il bicchiere di alcol invecchiato e pregiato che si riscalda nel palmo della mano, l’odore di un sigaro...» (p. 132)
Oltre all’amore e al rimpianto, vi è un toccante racconto che parla di nostalgia della madrepatria russa: La Njanja , ovvero “la tata”, in russo. Questo pezzo apparve nel 1924 con diversi tagli dovuti alla censura dell’epoca; in questa edizione le parole o le frasi al tempo tagliate ritornano al loro posto indicate da parentesi quadre. La Njanja è stata costretta a seguire la famiglia a cui ha fatto da bambinaia da una vita e ha dovuto lasciare la sua terra, la Russia, in seguito alla rivoluzione d’ottobre. L’anziana donna, in mezzo ai lustrini di Parigi e ai fiocchi di neve che cadono sulla città, sogna di vedere di nuovo danzare la neve sulle pianure della sua città natale. Tutto il racconto è soffuso di nostalgia, di dolcezza, di sospensione in attesa della risoluzione finale e ricorda tanto il racconto più lungo Come le mosche d’autunno, pubblicato nel 1931.
L’ultimo racconto è un inedito, I giardini di Tauride, sistemato nell’Appendice di questa edizione: il suo valore è decisamente considerevole, poiché contiene le varianti, le correzioni, i ripensamenti di una scrittrice che tornava più e più volte sui suoi testi, inquieta e insoddisfatta. È un’opportunità unica che si offre al lettore, perché è invitato a sbirciare nel laboratorio della giovane Némirovsky, a osservarne da vicino il piano di lavoro, i suoi attrezzi narrativi, le sue ossessioni.
Marianna Inserra
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