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«In seguito si disse che nessuno avrebbe potuto prevedere quello che sarebbe successo»: il patriarcato, la democrazia, il corpo delle donne nel romanzo distopico di Federico Baccomo

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Le sorelle di Lisistrata
di Federico Baccomo
Mondadori, gennaio 2025

pp. 156
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Federico Baccomo è uno di quegli scrittori dai quali non sai mai che cosa aspettarti: quando pensi di averlo inquadrato, quando pensi che abbia trovato la sua dimensione più congeniale e resti in quel solco, ecco che stravolge le carte e costringe il lettore – e noi critici – a riconsiderare le etichette che gli abbiamo appiccicato addosso. Federico Baccomo è un camaleonte, la sua voce autoriale è ben riconoscibile dentro a ogni testo, ma questi sono anche di volta in volta profondamente diversi. Non mi riferisco soltanto all’evoluzione della scrittura che la pratica e la maturità molto spesso comportano, bensì a qualcosa di più istintivo e peculiare che lo porta sempre verso nuove direzioni. Cambi di rotta e urgenze di narrazione che non sempre trovano il favore di pubblico che si meriterebbero: penso per esempio a Peep Show, il suo romanzo più sottovalutato, uno spaccato amarissimo della società italiana del nulla, che raccontava con tutta l’amarezza e l’ironia di cui Baccomo è capace il mondo dei reality show e cosa succede alla fine di quei quindici minuti di celebrità. Era il 2014 quando Peep Show arrivava in libreria, molto è cambiato e quel romanzo in termini di tematiche e suggestioni ha poco o nulla a che fare con Le sorelle di Lisistrata, il nuovo interessante lavoro di Baccomo appena uscito per Mondadori. Eppure, dopo appena un paio di pagine non ho potuto fare a meno di tornare con la mente a quella storia, anzi, a quel Baccomo lì: che intrecciava registro comico e tragico, si serviva della sua innegabile abilità nel comporre dialoghi mai artificiosi, osservava certe derive della realtà nella quale eravamo – siamo? – immersi. 

Le sorelle di Lisistrata fa un passo ulteriore, Baccomo cambia ancora pelle – ma ve lo ricordate tra i suoi esperimenti quel libretto fatto interamente di dialoghi? – e scrive un breve romanzo distopico, anzi, profetico, come recita il sottotitolo. Un sottotitolo che accentua, soprattutto a lettura conclusa, il profondo disagio che percepiranno i lettori: la realtà distopica, l’Italia del 2025 che Baccomo costruisce sulla pagina, è terribilmente plausibile, certe premesse già in atto.

[…] in data 10 ottobre 2025 il Parlamento italiano, con il plauso trionfante del Presidente del Consiglio Diego Cederna, approvò la cosiddetta “Legge della Buona Vita”, che dichiarava reato l’interruzione volontaria della gravidanza in ogni forma e fase e per qualsivoglia motivo. (p. 16)

È questo lo spunto che mette in moto l’azione: la distopia de Le sorelle di Lisistrata è l’Italia odierna, nella quale un neonato governo di estrema destra guidato dal presidente del Consiglio Diego Cederna approva la legge promossa dal ministro per la famiglia e che, di fatto, cancella la storica 194 sul diritto all’aborto. Lo sgomento è generale, ma è a seguito delle parole di Gaia Zavattini, parlamentare dell’opposizione, che si va delineando un movimento di protesta che avrà risonanza globale e che scatenerà una serie di conseguenze sempre più drammatiche. Zavattini affida ai social la sua rabbia per la decisione del governo e con un post invita le donne a ricalcare la protesta di Lisistrata, l’eroina di Aristofane che, per fermare la guerra, propose uno sciopero del sesso per convincere gli uomini a deporre le armi. 

Nell’Italia di oggi Le sorelle di Lisistrata diventa quindi di lì a breve un movimento, cui aderiscono da un capo all’altro del Paese e che richiama l’attenzione internazionale. Se le scelte istituzionali non erano riuscite a far leva sulla solidarietà della comunità estera, né a risvegliare dall’apatia i cittadini italiani, lo sciopero del sesso riscuote invece un consenso e un’attenzione che la sua prima fautrice, Gaia Zavattini, stenta a credere. Le conseguenze, tuttavia, saranno terribili: il disappunto del governo porta a scelte sempre più estreme, mentre nel Paese milioni di donne si stringono intorno a Zavattini e portano avanti la protesta soprattutto nel momento più buio, quando di lei si perdono le tracce.

Milioni di persone si stringevano intorno alla figura di Gaia Zavattini, confidando in un lieto fine ma covando l’intima certezza che fosse finito il tempo dell’ottimismo, che Gaia Zavattini fosse l’ennesima vittima di un mondo guasto. (p. 76)

Manifestazioni, solidarietà da personaggi di rilievo, attenzione mediatica, vanno di pari passo tuttavia ad accuse, minacce, atti violenti e una repressione che si farà sempre più violenta e insensata. 

 Non rivelerò altri dettagli né l’esito della protesta, al lettore il compito di scoprirlo. Quello che qui più che altro mi preme sottolineare è l’urgenza di una storia come questa che attraverso il mezzo del romanzo veicola un messaggio molto forte e, come tale, dovrebbe contribuire a scuoterci appunto dall’apatia in cui siamo immersi: non bastano le fugaci indignazioni sui social, la solidarietà a questa o quell’altra causa che dura il tempo di qualche storia su Instagram per poi passare oltre. Le sorelle di Lisistrata apre a numerose suggestioni e spunti di riflessione, a partire, naturalmente, dal dibattito sul corpo delle donne: il controllo che passa per le vie istituzionali e limita la libertà femminile, l’utilizzo stesso dei corpi nella protesta messa in atto, il pericolo e l’oggettivizzazione. La distopia di Baccomo, agganciata alla realtà anche per mezzo di una narrazione che fa uso capace della comunicazione, dalla politica ai social, si concentra sì su un tema ben preciso, ma apre squarci sulla realtà e le sue storture, tra cui il discorso sul potere e certe derive:

Il potere, quello più feroce, spesso nasce da un infelice connubio di ignoranza e arroganza popolare, e in un connubio di ignoranza e arroganza istituzionale si esprime. (p. 118)

«Ignoranza e arroganza» sono i due elementi che spiegano la decisione dell’immaginario governo Cederna, il consenso che tale scelta porta con sé, la rabbia scatenata dalla protesta delle sorelle di Lisistrata, ma ci obbliga anche a riflettere sulla nostra realtà non distopica, sul potere della democrazia di scegliere le persone che ci governano e su quanto siano o meno specchio del Paese che rappresentano, sulla fragilità stessa delle regole e delle leggi su cui il nostro stato si fonda. Sarebbe davvero così facile cancellare la legge 194 o in generale una legge storica? E cosa faremmo, se questo accadesse? 

Impossibile poi ignorare il discorso sulla violenza, verbale e fisica, a seguito della scelta di Gaia Zavattini: è ancora una volta una donna, con il suo corpo e la sua persona, a essere messa in pericolo, ad attirare una brutalità che è prima verbale poi fisica, in ogni caso inammissibile. Intorno alla catena di violenza che si abbatte su di lei, Baccomo ci costringe anche a riflettere sulle parole che usiamo e sentiamo ogni giorno, sul ruolo dei media nella nostra società, verità distorte, titoli acchiappa like. Non è un attacco a chi si occupa di informazione, come non lo è, scoprirete nel corso della lettura, alle forze armate, ma di certo pone l’attenzione su un aspetto che va considerato e sulla responsabilità che abbiamo quelli tra noi che per mestiere usano le parole. 

Le parole di questo romanzo distopico sono intrise di violenza e di rabbia, di prevaricazione, e preoccupano per quanto assomiglino a quelle simili parole che sentiamo ogni giorno usate dalla politica, dai giornali, dalle persone. Quello che accade poi intorno alla figura della protagonista, screditata, messa a tacere, usata dall’uno o dall’altra fazione a proprio piacimento e convenienza, ancora una volta sembra uscire dalla distopia narrativa per calarsi nella realtà.

Interessante inoltre la riflessione sul maschile, inevitabile in una storia come questa, perché anche di moltissimi uomini è popolata: quelli che decidono del corpo delle donne – e certo capiamo perché di questi tempi la finzione letteraria abbia scelto un uomo capo di governo caratterizzato in tal modo – e, per contro, quelli che le donne le proteggono, come il padre di Gaia la cui figura ricorda molto da vicino la dignità e la sofferenza di altri padri che hanno patito per la violenza inferta alle figlie. Nell’ondata di popolarità che investe Gaia e la sua protesta, non tutti gli uomini della sua vita si rivelano all’altezza, svelando meschinità e debolezze: molto più facile proclamarsi femministi quando le parole non richiedono un impegno reale e concreto, quando basta una condivisione sui social, quando il patriarcato e il sopruso non ci toccano troppo da vicino. Le sorelle di Lisistrata porta con sé una serie di insidie cui l’autore ha saputo rispondere egregiamente e ci mette ancora una volta di fronte alla necessità di affrontare la questione liberandoci da vecchi dogmi e schieramenti, femministe che odiano gli uomini, noi e loro, per ribadire quanto la libertà, i diritti, la lotta alla violenza e al patriarcato debbano essere una causa trasversale e intersezionale.

Quando nella seconda parte del romanzo Baccomo tiene maggiormente a freno l’ironia pungente che pure lo contraddistingue ma che talvolta rischia di essere un ammiccamento al lettore, la prosa si fa particolarmente salda e l’intensità della storia supera senza troppi problemi qualche possibile debolezza.

A muovere la folla, più della rabbia, era una sfibrante rassegnazione. Quelli che andavano infoltendosi non erano cortei, erano processioni: le isolate voci che si alzavano nell’inquietante silenzio generale non erano l’urlo di una contestazione, erano un grido di lamento. (p. 125)

Le sorelle di Lisistrata è una prova notevole, non priva di difetti, a cui, data anche l’urgenza delle tematiche trattate, auguro che sappia suscitare un dibattito quanto più costruttivo possibile, affinché quel sottotitolo - romanzo profetico - possa un domani farci sorridere e non diventare invece ancora più simile alla realtà vissuta. 

Debora Lambruschini