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Da Virgilio ai core social il desiderio è sempre lo stesso: tornare a vivere più a contatto con la natura. L'immenso Canada di John J. Rowlands in "Un anno nelle foreste del grande Nord"

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Rowlands Un anno nelle foreste del grande Nord


Un anno nelle foreste del grande Nord
di John J. Rowlands 
Corbaccio, gennaio 2025
 
Traduzione di Elena Bona
Disegni di Henry B. Kane
 
pp. 256
€ 18,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Nel Nord, il luogo in cui si ripongono i propri beni, quelle cose senza le quali non si sopravvive, si chiama «cache». Non potevo immaginare un nome più appropriato. (p. 22)

John J. Rowlands, impiegato per un'azienda di legname, durante una spedizione esplorativa in Ontario per conto della sua ditta, scopre questo «puntolino, nascosto tra altre chiazze azzurre più visibili» (p. 19): il lago Cache, di cui viene volutamente tenuta nascosta l'esatta ubicazione, diventerà la sua casa. Con la compagnia del Capo indiano Tibeash e dell'artista Henry B. Kane, l'illustratore del volume, passerà diversi anni in questo luogo immerso nella natura. In Un anno nelle foreste del grande Nord, Rowlands apre una finestra lunga dodici mesi in cui immergersi nella vita nei boschi e imparare tante utili soluzioni per cooperare con la natura senza sopraffarla né farsi sopraffare.

Il desiderio di abbandonare la civiltà, di tornare a vivere secondo natura e di liberarsi di buona parte delle costrizioni che la società ci impone è un argomento che stuzzica l'arte narrativa sin dai suoi albori. Le egloghe virgiliane, l'ambientalismo di Thoreau, le terre estreme di Krakauer nel raccontare la storia di McCandless, fino ai core social (cottage, hobbit e via di questo passo) sono la declinazione dello stesso desiderio: il ritorno a una vita immaginata più semplice e in linea con i ritmi fisiologici dell'essere umano. Non ci si vuole spingere sull'analisi sociologica o filosofica per mancanza personale di solite basi, ma volendo fare un collegamento spicciolo, immaginiamo che ogni società che raggiunge un certo grado di complessità – con tutti i vincoli e le limitazioni conseguenti – aneli a un orizzonte più semplice. 

In poche parole, vivere tra la natura selvaggia, trovare la strada, evitare i pericoli è soprattutto una questione di buon senso e di abitudine a osservare ogni cosa attentamente. Se abbiamo buon senso, cioè se ci comportiamo con giudizio, non ci troveremo spesso nei guai: e ogni volta che la vedremo burtta, impareremo a nostre spese una lezione di saggezza. (p. 53)

Scritto tra i 1945 e il 1947, Cache Lake Country è stato in origine pubblicato sotto forma di contributi epistolari sull'Atlantic Monthly per poi giungere alla forma di romanzato reportage nel 1959. Rowlands, giornalista, esploratore e cercatore d'oro alla maniera di Jack London, oltre a questo titolo ha lasciato solo un altro testo: Spindrift from a house by the sea, sempre illustrato da Henry B. Kane e ormai piuttosto introvabile. 

Tre sono le anime di questo testo. La prima è quella che potremmo ribattezzare del cozy MacGyver e non me ne si voglia per questo datato paragone pop; la seconda è quella dell'osservazione naturalistica del ritmo delle stagioni nell'Ontario settentrionale; la terza è la parte fantasma del testo, ovvero la riflessione politico-sociale che in una narrazione di questo tipo quasi ci si aspetterebbe.
Vivere in un contesto isolato e non antropizzato come quello dei boschi del Canada non vuol per forza dire rinunciare a tutte le comodità che la modernità ci offre. Rowlands questo lo sa bene e infarcisce il suo racconto di utilissimi consigli e dettagliate istruzioni su come difendersi e trarre il massimo dalla natura che lo circonda. Complici gli insegnamenti di Capo Tibeash che non lesina le conoscenze dei nativi, in questo testo si può apprendere come fabbricare degli ottimi mocassini, come evitare l'oftalmia da neve grazie a degli occhialoni in corteccia di betulla, come ricavare un'ottima canna da pesca da un vecchio fioretto e anche come costruire un frigo interrato a prova di orsi. Le accurate illustrazioni passo passo di Kane rendono possibile la realizzazione anche per chi noi che leggiamo nel 2025. Nell'introduzione al testo, Verlyn Klinkenborg segnala che è impossibile finire la lettura senza aver provato a realizzare almeno uno dei progetti descritti tra le pagine. Il cameratismo e il modo scanzonato in cui viene descritta la vita di questi tre uomini fanno pensare a un allegro campeggio di boy scout che, senza una leva e solo con un tubo di ottone, possono sollevare il mondo.

Le illustrazioni di Henry B. Kane

L'osservazione naturalistica può orientarsi sul tecnicismo o sull'impatto emozionale. Visto il pubblico a cui si rivolge, Rowlands sceglie la seconda opzione. Con l'eccezione di qualche osservazione sulle abitudini degli animali, la visione è centrata sull'essere umano. L'estasiata meraviglia di fronte al cielo stellato, la pioggia sul viso durante le camminate nei boschi, l'aria ferma che porta il suono anche a grande distanza così che si riesce a sentire il fragore di una cascata anche a chilometri di distanza fornisce un'immagine che, in qualche modo commuove, ma dall'altra fa quasi pensare che tutto sia stato pensato per il piacere dell'essere umano. Proprio dall'osservazione della natura ci si aspetterebbe la comparsa della possibile terza anima di un testo simile: la riflessione su quanto non solo il pianeta non sia a disposizione totale dell'essere umano, ma anche su quello che non stiamo facendo per preservarlo.

In L'isola dentro l'isola del premio Pulitzer Josephine Johnson, anch'esso strutturato sull'arco di dodici mesi di osservazione dei boschi e delle paludi dell'Ohio meridionale, si riflette proprio sulla distruzione che l'essere umano sta apportando. Nelle foreste del grande Nord, invece, non c'è una critica in questo senso, né si esorta al ritorno alla natura come strada della felicità. Con l'eccezione di qualche bonaria osservazione su come sia strano che gli esseri umani decidano di stiparsi in luoghi ristretti – i centri urbani – per il resto non c'è allarmismo, denuncia o nostalgia. 
C'è cameratismo, intimità con la natura, piacere fanciullesco nell'avere un buon libro da leggere mentre fuori infuria il vento, orgoglio nell'aver arrangiato una casetta piena di confort e la dolcezza di creare le candeline di Natale da mettere alle proprie finestre per far sì che le luci siano di compagnia anche ai propri compagni di soggiorno, perché l'essere umano, alla fine, non è fatto per vivere in solitudine.

Se ho cibo per tenermi in forza, legna per stare al caldo, buoni amici con cui chiacchierare, bei libri da leggere, ho tutto quanto mi occorre. (p. 219)

Questa frase, quasi una massima, potrebbe rendere Un anno nelle foreste del grande Nord il nuovo manifesto del vivere cozy. 

Giulia Pretta