di Montserrat Roig
Mondadori, 2025
Traduzione di Amaranta Sbardella
€ 20,00 (cartaceo)
€ 10,99 (eBook)
"Quando sarete nel tempo delle ciliegie,/ Se avete paura di pianger d'amore,/ Schivate le belle./ Io che non temo le pene crudeli,/ Non vivrò senza soffrire un sol giorno./ Quando sarete nel tempo delle ciliegie,/ Anche voi piangerete del male d'amore". Questa canzone di J.B. Clément, un poeta della Comune Francese, dà il titolo al romanzo della scrittrice catalana Montserrat Roig. La canzone fu scritta quando il popolo lottava contro un regime oppressivo, a cui poi sarebbe seguita una terribile repressione. Eppure cantava il tempo delle ciliegie «la primavera della felicità». Nel romanzo, Emilio la canticchia a Natàlia, gliela fischietta all'orecchio.
Il poeta non ignorava, continuò Emilio, che il tempo delle ciliegie avrebbe portato anche pene d'amore, eppure lo desiderava lo stesso. Anch'io voglio che arrivi, il nostro tempo delle ciliegie. Ed Emilio guardò Natàlia in un modo che lei non avrebbe mai dimenticato. (p. 127)
La dimensione sentimentale e quella politica si intrecciano in questa canzone e nel romanzo di Roig, che le mescola in modo lirico e sorprendentemente innovativo. Natàlia Miralpeix, la protagonista, torna a Barcelona nel 1974, dopo dodici anni di esilio volontario tra Parigi e Londra. Tornare a casa significa confrontarsi non solo con una situazione politica quasi immutata (il franchismo ancora saldo, gli oppositori giustiziati, le ferite della Guerra Civile non ancora rimarginate), ma soprattutto con dinamiche familiari irrisolte. Proprio queste ci consentono di incontrare una carrellata di personaggi narrati con ironica maestria: la zia Patricia, alcolizzata e ingabbiata nei ricordi; l'algido ed efficiente fratello Lluìs; la cognata Silvia, indaffarata tra manicure, messe in piega e incontri Tupperware; il nipote adolescente Marius, alla ricerca di un senso; il padre impazzito per la malinconia e i ricordi della moglie; e infine Emilio, che si presenta nei lunghi e ancora vividi flashback, come simbolo di passione e per certi versi iniziazione a una vita differente da quella degli altri. Tutto è cambiato, eppure tutto ritorna.
Secondo Natàlia qualcosa era cambiato, ma non aveva ancora avuto il tempo per capire cosa. Che cos'era? Il linguaggio, i giornali, il cinema, le abitudini? Aveva lasciato il paese immerso in una calma piatta, era tornata da soli tre giorni e le sembrava che vi regnasse la stessa calma piatta. All'interno erano successe molte cose, e anche all'esterno, e lei era un'altra, ovvio. Non provava più paura. (p. 100)
Le descrizioni di Barcelona sono vive, poetiche, intense, sembra di sentirne gli odori, di cogliere le sfumature del suo cielo e il vocio dei passanti. L'incanto dello stile di Montserrat Roig è riuscire a raggiungere nitidezza ed espressività senza mai rinunciare ad una voce controllata e talvolta impersonale, che conosce e applica in modo superlativo la tecnica del discorso indiretto libero. Cambia costantemente il punto di focalizzazione e il lettore entra ed esce dai personaggi, conosce i loro pensieri e si adegua al loro linguaggio, attraverso un armonico fluire, senza stacchi o confusione. L'autrice mostra la stessa competenza nelle tecniche dell'intreccio, con i piani temporali che si alternano e al contempo convivono in un eterno presente dell'animo, delle ferite e delle sensazioni. Questa tecnica di narrare con l'indiretto libero e un uso vivo e realmente "parlato" dei dialoghi consegnano al lettore ritratti femminili toccanti, privi di retorica.
Nei primi anni del matrimonio lei dimenticò il balletto, anche se ancora non viveva nell'attico a due piani, bensì in un appartamento più piccolo del Guinardò. Aveva Màrius, per il quale stravedeva, e gli oggetti di casa, le lenzuola, le stoviglie, la batteria di pentole da cucina. Era tutto nuovo e bello e a lei piaceva scendere al mercato e dire «mio marito», o che la portiera la salutasse con un «buongiorno, signora Miralpeix». All'inizio Lluìs la trattava come una regina. Aveva tutto, i vestiti e le calze le scarpe in pelle che facevano pendant con il borsellino, e inoltre lui la viziava, come prima aveva fatto il padre. Tra le sue braccia si sentita protetta. Andavano al cinema a braccetto, al ristorante, e la presentava agli amici, «mia moglie» diceva, e lei si sentiva una donna importante. (p. 43)
Nella parabola della madre di Nàtalia - nel suo scivolare dall'essere una leggiadra ballerina, che travolse il marito con la passione, a diventare la «signora Miralpeix» che prepara i sontuosi pranzi di Natale, fino a concludere la propria esistenza vestendo e coccolando la collezione di bambole, fino a ridursi in uno stato vegetativo - cogliamo il rifiuto di Nàtalia di accettare il destino che le appare personale ma anche quello di una nazione. Il lettore ripercorre la vita di Nàtalia: i tentativi di rivolta, le manifestazioni in piazza, la notte in carcere, l'aborto, l'amore finito con Emilio e poi la fuga per ricercare la propria identità all'estero.
Lluìs le aveva detto, tu sei una sradicata, non ti adatterai mai, e lei pensò che forse lo era, sì, eppure il suo paese le era mancato. Non come possono mancarti le persone, che ti lasciano un vuoto dentro, ma tutto il contrario. Le era mancato negli attimi di maggiore felicità, aveva provato nostalgia di un odore, di un colore, di una strada della fiumana di gente che scendeva lungo la Rambla, a piccole onde, delle ombre che avvolgevano Santa Maria del Mar, delle albe fredde, delle foglie di platano che cadevano in autunno. (pp. 100-101)
Perché ritorna Nàtalia? Glielo chiedono tutti e forse non lo sa neppure lei. Si sente una "civetta della storia", ha la sensazione di essere arrivata tardi per tutto, ma, come la nottola di hegeliana memoria, lei vuole capire, afferrare un'immagine precisa in volo; per questo ha scelto di fare la fotografa, «perché è un modo di violare il tempo e non permettere che sia lui a violare te» (p. 216).
In quel "viaggio al termine della notte" che è la nottata trascorsa con il nipote Màrius, in cui conosce i giovani, i nuovi protagonisti della storia, Nàtalia scopre che fuggire, arrivare tardi, è avere paura del tempo delle ciliegie. Perché «per desiderare il tempo delle ciliegie bisogna aver fede che un giorno arriverà» (p. 224).
Si conclude con un'immagine di amore e fedeltà il romanzo di Roig, un tributo a quella primavera dello spirito, che fa diventare rosse e succose le ciliegie. Un libro superbo, che ci parla di paura ed emozioni, conoscenza e impegno civile.
Deborah Donato