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«Non c'è bisogno d'inventare, sai? La realtà basta e avanza. Anzi, è più misteriosa e spiazzante di ogni fantasia»: "Da solo", di Novita Amadei

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Da solo
di Novita Amadei
Neri Pozza, 21 febbraio 2025

pp. 176
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Eppure, la scelta da prendere è semplice: restare o partire. Partire è la fine e l'inizio, la salvezza, la perdita definitiva. E restare? Restare è la casa, Olena, la speranza assurda che si risolverà tutto improvvisamente com'è cominciato. Testa o croce? (p. 46)

Restare o partire? Difficilissima, la scelta richiesta ai protagonisti di Da solo: il novenne Jarek, sua madre Hanna e la nonna Olena. Ai confini dell'Ucraina c'è la guerra, e loro stanno provando a condurre le loro giornate al solito modo, in attesa che le paure trovino una risposta alla domanda più pressante: la guerra arriverà fin lì, nel loro villaggio a poca distanza da Zaporižžja?

Jarek, con la spensieratezza della sua età, gioca ancora alla guerra con i suoi amichetti, va a scuola e continua a provare fascino per le armi giocattolo che colleziona. Anche lui però percepisce che la mamma è più cupa; Hanna, infatti non gli nasconde la sua preoccupazione, perché è convinta della necessità di non nascondere niente a suo figlio: «Non ricorro alla verità per proteggerlo, [...] tanto meno per consolarlo. La verità è l'esatto opposto della consolazione» (p. 28). La nonna Olena ha già visto i postumi della Seconda guerra mondiale, i racconti della Grande Carestia e dell'Armata Rossa, ha assistito al dissolversi dell'Impero Sovietico. Insomma, pensa che «non ci siano mai stati un inizio e una fine» (p. 37) e le guerre talvolta nella sua mente si assomigliano tutte e si confondono persino, però trova ugualmente un modo per rasserenare Jarek, per farlo svagare con il loro gioco di carte preferito. E quando non lo intrattiene, Olena prega e ricama una tovaglia votiva alla Madonna, spesso con il gatto Prykmeta sulle ginocchia o in compagnia della sua vicina di casa. 

Dopo che la scuola di Jarek chiude - e non si ha la minima idea di quando riaprirà -, Hanna comprende che non può più aspettare, è il momento di agire: le gambe di Olena non le consentono di partire, ma almeno Jarek deve essere messo in salvo. E così, con un escamotage, il piccolo viene caricato su un primo treno e, se tutto va bene, duemila chilometri e cambi di treno dopo, arriverà a Bratislava, dove un conoscente si prenderà cura di lui. Ad accompagnarlo, almeno fino al confine ucraino, ci sarà un collega di Hanna al maglificio, il signor Melnic, un aspirante scrittore anche lui in fuga. 

Se la prima sezione del romanzo è dedicata a inquadrare i tre protagonisti e a farci percepire la paura che si accresce di giorno in giorno, nella seconda i protagonisti sono separati: da un lato seguiamo il viaggio in treno con crescente apprensione, perché Jarek, per quanto attento e intelligente, è pur sempre un bambino; dall'altro accompagniamo le due donne nei giorni che seguono, in cui la guerra si fa sempre più vicina e reale. Dunque, è inevitabile preoccuparsi per tutti i personaggi, complice l'efficacia della narrazione di Novita Amadei, che si è ispirata liberamente a una storia reale per costruire il suo romanzo.

A empatizzare ulteriormente con i tre protagonisti concorre la scelta di lasciare che siano loro i tre narratori: di capitolo in capitolo (senza nessuna turnazione forzata) Hanna, Jarek e Olena prendono la parola e raccontano la loro verità, i loro pensieri e accadimenti. Comprensibilmente anche lo stile si modifica: se quello di Jarek è vivace ma sintatticamente meno sorvegliato, vista la sua età, quello di Hanna è deciso quanto il suo carattere, mentre quello di Olena è riflessivo e tendente al monologo interiore, con tutta la propensione alla lentezza senile: 

Le vittime non sono splendenti, i loro nomi, anche quando sono scritti in oro, si meritano solo i cippi, anzi, quelli sono dedicati agli eroi. Il mio [nome], al limite, potrebbe figurare su una lastra fra i morti comuni del paese, ed è ingiusto, perché anche se sono affondata in una poltrona, con un gatto sulle ginocchia, sono una resistente, sono una resistente com'è vero che mi chiamo Olena! Cioè, in questo mondo, ho fatto la mia parte, con onestà, e non ho mai ucciso neanche una mosca. È poco questo? E ora sono qui, pronta. Non ho nemmeno paura. È poco? (p. 103)

L'incertezza è il sentimento prevalente che accomuna le tre narrazioni: il futuro è un puro miraggio, occorre pensare all'immediato, alla salvezza giorno per giorno. Sperando un giorno di riabbracciare Jarek, pensa Hanna. Senza false illusioni, sa bene Olena. 

E così aspettiamo con loro un esito narrativo verosimile e coerente con la storia, che ha il potere di avvicinarci senza elementi patetici a una guerra che continua a preoccupare, ma che richiede testimonianze, storie, romanzi come questo per capire più da vicino come ci si può sentire quando tutte le certezze crollano e "casa" coincide sempre di più "famiglia".  

GMGhioni