Non è cosa da poco mantenere in un saggio rigore accademico e capacità narrative, riuscendo a rivolgersi a un pubblico eterogeneo, non necessariamente specialistico, e infondere nuovi spunti a un discorso letterario saldamente radicato nella tradizione. Outsiders, il nuovo saggio di Lyndall Gordon in libreria per Fazi, che già aveva pubblicato la sua biografia critica su Charlotte Brontë, rispetta perfettamente questi intenti e si pone come un tassello fondamentale nella bibliografia dell’autrice. Un saggio puntuale, dunque, che si fonda su una profonda conoscenza dell’argomento trattato, divulgativo senza mai perdere di rigore, nel quale si intrecciano biografia, critica letteraria, dialogo con la contemporaneità.
Oggetto di riflessione critica sono questa volta cinque autrici tra XIX e XX secolo, che Gordon mette in relazione tra loro evidenziandone le peculiarità ma soprattutto lo stretto legame nel ridefinire i canoni letterari, come anelli di un’unica catena: Mary Shelley, Emily Brontë, George Eliot, Olive Schreiner, Virginia Woolf. Cinque scrittrici outsiders, ai margini di una società che non ne accettava la voce, le scelte personali, la non conformità alle convenzioni femminili del loro tempo. Un prodigio (Mary Shelley), una visionaria (Brontë), una “fuorilegge” (Eliot), un’oratrice (Schreiner), un’esploratrice (Woolf): sono ritratti di un femminile che non si piega alle imposizioni sociali o alle circostanze della nascita, per questo emarginate dalla società.
A partire da Mary Shelley, nata Godwin, cresciuta nel mito della madre, Mary Wollstonecraft, morta quando lei era una neonata. È solo il primo dei tanti fantasmi che affolleranno la vita di Mary, seguendola nei suoi viaggi per il continente dopo l’allontanamento dalla casa paterna a seguito del legame con Shelley. La vicenda biografica di Mary è piuttosto nota, così come le condizioni che hanno portato alla creazione del suo libro più celebre, Frankenstein, che pure in questo saggio Gordon ripercorre allo scopo di indagare come la vita si intrecci all’opera e in che modo il romanzo abbia saputo trascendere il tempo e lo spazio. Se il recente saggio La donna che scrisse Frankenstein (La Nuova Frontiera, 2024) si concentrava sull’ambiente da cui nasce la creatura di Mary Shelley, Gordon si sofferma più attentamente invece su due nodi principali: quanto il rifiuto di Godwin abbia inciso sulla figura letteraria e la riflessione intorno al tema della violenza, come forza innata o determinata dalla situazione.
La violenza è innata oppure è determinata dalla deprivazione emotiva, dall’assenza di figure genitoriali e dal pregiudizio sociale? Questa domanda se la pose una ragazza che si trovava in una situazione di esclusione sociale tale da farla entrare nei processi mentali di un mostro. La fuga con Shelley, infatti, l’aveva resa un’esule, e durante i loro viaggi fu testimone della barbarie umana. (p. 24)
Il romanzo di Mary Shelley resta ancora un testo stratificato e dalle innumerevoli implicazioni filosofiche, morali, sociali e Gordon sceglie nella sua analisi un punto di vista se non del tutto originale capace però di aprire nuovi spunti di riflessione, alla luce anche dell’intreccio con la vicenda personale dell’autrice e il legame con le altre scrittrici protagoniste del saggio. Come avverrà soprattutto anche nel capitolo dedicato a Emily Brontë, Gordon sposta poi lo sguardo per qualche istante sulle figure che accompagnano la vita della protagonista, nel caso di Mary sulle sorellastre, Fanny e Claire, aprendo così a ulteriori considerazioni. La parabola di Fanny è breve e tragica e il divieto paterno di avere rapporti con l’amata sorella Mary le costerà molto caro, emarginandola sempre più; Fanny resta sola, con la memoria della madre, e morirà suicida. La vicenda di Claire è complessa e il rapporto che si instaura tra lei, Mary e Shelley non è mai stato davvero chiarito fino in fondo e la stessa Gordon si spinge a qualche congettura sulla natura dei loro legami. Claire fugge insieme a loro quando la sorella scappa dalla casa paterna per amore di Shelley, è accanto a Mary nei suoi momenti più dolorosi, si lega profondamente a entrambi e conosce Byron, che sarà la sua rovina. Seppure a Claire in questo saggio vengano dedicate poche pagine, quella che emerge stavolta è la figura di una donna complessa, impegnata a sua volta a coltivare i propri talenti artistici, dalla scrittura alla musica, stimolata dall’ambiente che si crea intorno a lei, seppure segnato dalle difficoltà, dalle fughe continue dai creditori, dai dolori privati.
Riportando l’attenzione a Mary, Gordon individua un altro dei temi sottesi in questo saggio e che lega tra loro le cinque autrici oggetto d’analisi, ossia il desiderio di preservare se stesse e la propria creatività, anche prendendo le distanze quando necessario e rifiutando il ruolo di accudimento e benevolenza che a una donna viene tradizionalmente attribuito. Tutte loro a un certo punto sono “colpevoli” di egoismo, non si sottomettono al ricatto della società e della famiglia ma si concentrano sul proprio genio, sull’assecondare le inclinazioni personali e concentrarsi sulla scrittura. Mary “abbandona” Fanny al suo tragico destino, Emily rifiuta di indossare una maschera pubblica che la renda più addomesticata, Mary Anne Evans (George Eliot) rifiuta di accorrere – dopo che era stata esclusa dalla famiglia – in soccorso della sorella rimasta vedova con numerosi figli a carico, Olive Schreiner sceglie la pace dell’isolamento e la lontananza dalla famiglia del marito. La più radicale nelle scelte è forse Mary Anne Evans, di tutte la più outsider:
[…] le sue tre grandi ribellioni: la prima quando si era rifiutata di andare in chiesa; la seconda quando aveva lasciato le Midlands per cercare fortuna a Londra prendendo le distanze dalle pretese della famiglia; la terza quando aveva sfidato la legge e le convenzioni per andare a vivere con Lewes. (p. 230)
Dotata di una straordinaria intelligenza, Mary Anne Evans «non era nata genio, lo era diventata» (p. 233) con la tenacia di chi è determinata a cambiare la propria condizione di partenza e superare gli ostacoli di genere. Come le altre quattro non ha accesso agli studi formali riservati ai maschi ma si nutre avidamente di ogni possibilità di conoscenza. Ci vorrà del tempo perché la sua scrittura dei primi tempi si liberi da certe rigide ampollosità e Mary Anne Evans trovi la propria dimensione, che diventi dunque George Eliot. Come moltissime scrittrici prima e dopo di lei, sceglie uno pseudonimo maschile – tra le nostre lei e le sorelle Brontë – con l’intento di tutelare sé stessa e soprattutto la propria arte: è cosa nota quanto il genere pesi – ancora per certi versi – nel giudizio sull’opera e George Eliot si spinge non solo a scegliere per sé stessa un nome maschile, ma anche a rifiutare di usare i nomi delle protagoniste come titoli dei suoi romanzi, al fine di assicurarsi così un pubblico più ampio.
La scelta dei nomi, dunque, è particolarmente centrale tanto nell’identità pubblica che privata di Mary Anne Evans e al centro anche dello scandalo che le costò l’emarginazione sociale, a seguito della relazione con il filosofo, critico e scrittore George Henry Lewes. Nonostante fosse già sposato e nell’impossibilità di divorziare, Lewes divenne il compagno di vita di Mary Anne Evans e la loro fuga insieme sul continente causò alla donna lunghi anni di ostracismo da parte della società inglese che si rifiutava di accettarla. Paradossalmente, la moglie di Lewes, nonostante i ripetuti tradimenti e le gravidanze fuori dal matrimonio, non subì mai lo stesso trattamento, perché agli occhi della legge era la legittima consorte e l’unica tra le due a poter usare a pieno titolo il nome Mrs Lewes, cosa che Mary Anne tentò strenuamente di far accettare. Il mondo in cui nasce George Eliot, dunque, è quello in cui i ruoli di genere sono rigidamente definiti e nel quale a una donna non è concesso discostarsi dalle convenzioni, pena l’emarginazione sociale. Il giudizio morale sull’opera della scrittrice, dunque, è quantomai violento nel momento in cui viene svelata la vera identità e ciò che prima era lodato come profonda capacità innovativa di raccontare l’animo umano fino ai desideri segreti di una donna, ora sono una colpa che rendono Mary Anne-George Eliot sgradita in società come lo era stata la stessa Mary Shelley, nonostante la fama. Le scelte di Mary Anne Evans, dunque, appaiono particolarmente sovversive e le sue opere indagano efficacemente le potenzialità inespresse della natura femminile, un tema ancora una volta al centro di un dibattito più ampio e che accomuna le cinque scrittrici selezionate da Gordon.
Anche le sorelle Brontë è risaputo abbiano fatto uso all’inizio di pseudonimi maschili, nonostante lo stratagemma duri poco e la loro reale identità venga svelata bruscamente. È soprattutto su Emily che tale svelamento avrà le conseguenze più profonde, per via della natura schiva e del rifiuto della notorietà che le investe. Charlotte è delle sorelle la più determinata a costruirsi una carriera letteraria e nonostante le comuni sofferenze dell’infanzia tra cui gli anni terribili del collegio, possiede un carattere forte e un’ostinazione grazie ai quali progetta la vita da scrittrice, in particolar modo per sé e per Emily. È su di lei, Emily, che Gordon punta lo sguardo, indagando soprattutto la natura del genio:
Questa è la storia di una scrittrice senza maschere. La società la condiziona così poco che ci troviamo di fronte a un genio nascente in purezza. L’immaginazione sgorga generosa in lei, una ragazza che si muove invisibile nel mondo e che è possibile conoscere soltanto attraverso ciò che scrive. (p. 112)
Emily è schiva e indomita e l’allontanamento forzato dalla casa paterna sarà fonte di profonda sofferenza; la sua dimensione naturale è lì, nella casa in cui è cresciuta, circondata dai suoi fantasmi e dalla brughiera, e nonostante la distanza a cui la comunità locale ha sempre tenuto tutti loro. Quando finalmente vi fa ritorno, è provata nello spirito e nel corpo. Lo studio su Emily è dunque per Gordon l’occasione di riflettere sulla vivacità del suo intelletto, un genio spontaneo e mai addomesticato che si è espresso con grande forza nelle poesie e che la avvicina a Emily Dickinson, di dodici anni più giovane ed estimatrice dell’opera della scrittrice inglese. Di particolare interesse, inoltre, gli spunti di analisi del suo unico romanzo, Cime tempestose, con il carico di violenza domestica che porta con sé e che si intreccia alla storia di un amore che travalica il tempo e la vita terrena. Lo scandalo a seguito della scoperta della reale identità dietro i nomi di Ellis, Acton e Currer Bell con i quali le sorelle credevano di proteggersi fu di grande portata e incise profondamente su Emily:
Nel 1847, all’uscita del romanzo, il pubblico trovò repellente come la facciata rassicurante dei rapporti famigliari veniva distrutta portando alla luce odio e violenza fisica, soprattutto quando si seppe che l’autore era una donna. (p. 95)
È proprio qui, naturalmente, che risiede la forza innovatrice di Emily Brontë, nello scardinare la facciata di perbenismo dei rapporti famigliari, mettere in dubbio le regole e la morale della società su cui si innestano, come ha fatto Mary Shelley prima di lei, come faranno le altre outsiders di questa storia. Olive Schreiner si spinge a mettere in dubbio la legittimità dell’Impero, denunciando le brutalità del colonialismo e del razzismo dal Sudafrica in cui vive. La sua voce diventa quella di un’oratrice capace di ammaliare le folle, nonostante la salute cagionevole e l’ostilità della politica, i problemi famigliari ed economici, i limiti derivanti dal genere. Gordon concede molto spazio al capitolo su Schreiner e, nonostante qualche lungaggine di troppo, questo è un bene, perché delle cinque autrici la scrittrice e attivista sudafricana è quella meno nota fuori dal mondo accademico e anglosassone. Autrice del romanzo Storia di una fattoria africana con il quale comunemente si fa coincidere la nascita della New Woman, il nuovo modello femminile della fin de siècle che rompe con la tradizione della donna vittoriana, Schreiner è un’outsiders per molte ragioni: per il luogo da cui parte la sua voce, le condizioni di povertà contro cui lotterà ogni giorno, le scelte non convenzionali che le causeranno isolamento e condanna dell’opinione pubblica.
La sua Lyndall – e non è un caso che l’autrice di questo saggio porti proprio tale nome – inaugura la New Woman Fiction indicando un nuovo modello femminile che rifiuta le convenzioni sociali, i rigidi canoni patriarcali e i ruoli di genere, scegliendo invece da sé la propria strada; Schreiner tratteggia la figura di una donna che non cela i propri desideri, arrivando al punto di rompere con l’istituzione matrimoniale, il fondamento della società vittoriana. Da Lyndall si apre un filone letterario di straordinaria carica innovativa – se proprio siete curiosi alla New Woman Fiction avevo dedicato un saggio nato dagli studi per la mia tesi di laurea magistrale, potete leggere qui la recensione di Ilaria Pocaforza – e tanto il romanzo quanto l’impegno civile di Schreiner segnano profondamente il dibattito sulla Questione Femminile, avviato all’epoca ma in continua evoluzione, legando ancora una volta dunque queste scrittrici alla nostra contemporaneità.
Ed è infine alle femministe degli anni Settanta che si deve la riscoperta di Virginia Woolf, alla cui morte, sembra strano oggi, ma seguì un lungo periodo di oblio, anche a seguito dello stigma della malattia mentale e del suicidio. Seppure l’ambiente di partenza entro cui si muove sia stato in parte più favorevole rispetto a quello delle altre scrittrici qui considerate, Woolf si trovò ad affrontare a sua volta ostacoli dati dal genere e dalla peculiare personalità, ad affrontare i propri dolori – crescere priva di riferimenti materni, gli abusi perpetuati dai fratellastri, la perdita dell’amato padre – le crisi e gli esaurimenti nervosi, gli anni bellici. Gordon intreccia anche per Woolf biografia e analisi critica, sottolineando il ruolo fondamentale della zia paterna Caroline Emelia Stephen nel processo di indipendenza necessaria alla scrittura in quella che divenne anche l’eredità più importante di Woolf, la rivendicazione di una stanza tutta per sé. Un discorso che, naturalmente, si intreccia a questioni economiche, opportunità e, similmente a quanto si diceva all’inizio, prendere le distanze per preservare la propria identità di artista. In un capitolo denso di riferimenti e spunti, Gordon indaga alcuni tra i testi più importanti della scrittrice inglese, mettendone in risalto gli aspetti più innovativi, tanto dal punto di vista tematico che formale, ma che furono anche, in parallelo alla malattia mentale, motivo di emarginazione. Dal saggio emergono con rinnovata forza, dunque, le voci di queste scrittrici che hanno cambiato il canone letterario e hanno contribuito a ridefinire il femminile attraverso le loro parole e le loro scelte. Un filo rosso che ci lega ancora a loro.
Debora Lambruschini
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