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Quando il giallo incontra l'ecologia: "Come si uccide un gentiluomo" di Tullio Avoledo

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Come si uccide un gentiluomo. La prima indagine dell'avvocato Contrada
di Tullio Avoledo
Neri Pozza, gennaio 2025

pp. 384

€ 20,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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In una celebre recensione a Lo Smeraldo di Mario Soldati, Pasolini usa il termine «vischiosità» per definire quella scrittura caratterizzata dalla volontà possessiva di un autore, sostenendo come Soldati, con quel romanzo, abbia deciso di abbandonare ogni pretesa di «autorità», creando un libro «leggero», un libro in cui il lo scrittore si rapporti al lettore come «mite fratello». Leggendo Come si uccide un gentiluomo, nuovo romanzo di Tullio Avoledo uscito nella collana «I neri» di Neri Pozza nel 2025, si ha un’impressione simile. 

L’autore più che voler esercitare un qualche tipo d’autorità (espressiva o culturale che sia), più che mostrarsi come testimone di una storia o ergersi a suo fattore, più che esibirsi attraverso la messa in evidenza di uno stile che si attacca al lettore, appunto con «vischiosità», sparisce dietro la trama, dietro uno stile leggero che spinge chi legge a consumare pagine su pagine e ad arrivare alla frase che chiude il romanzo con rapidità sorprendente. Perché è la leggerezza la caratteristica principale del libro, una leggerezza data da uno stile che non vuole rispondere al bisogno esistenziale di bilanciare la pesantezza dell’esistere, di calviniana memoria, ma che risponde all’efficacia dell’espressione. Lo stile usato da Avoledo è al servizio della trama, degli eventi che accadono e che si succedono con un ritmo sostenuto, mentre la prosa è asciutta ma non austera. Il lessico è contraddistinto essenzialmente da una vaghezza che spesso sembra aprirsi a un romanticismo tradizionale e comune («l’azzurro dei suoi occhi fa il paio con quello del fiume alle sue spalle, scintillante di luce pura dopo tanti giorni di pioggia», p. 163), e che Avoledo usa per lasciare al lettore il compito di dettagliare con l’immaginazione gli eventi e le descrizioni presenti nel romanzo. In questo modo, è la vaghezza a donare alle descrizioni leggerezza, ed è la leggerezza a creare la rapidità. Ed è la rapidità, con cui i fatti si susseguono, a spingere alla lettura, a tenere incollato il lettore alle pagine del libro, pagine spesso contrassegnate da frasi che affondano le radici nella cultura pop e indie contemporanea. Ogni periodo e ogni dialogo sono scritti in funzione del racconto dei fatti, perché il romanzo è formato dalla trama, più che dalla sperimentazione stilistica. E la trama rende agile il libro, più della sperimentazione e più dello scavo psicologico dei personaggi, i quali funzionano proprio perché abbozzati e non appesantiti da descrizioni eccessive. Lo scavo nella vita e nella psicologia dei personaggi, soprattutto quello del protagonista, l’avvocato Contrada, nobile per nascita e da tutti chiamato Controvento, avviene, per lo più attraverso flash di ricordi, attraverso la tecnica proustiana della madeleine, spesso anche palesemente esposta:

«La prima boccata è una madeleine di fumo che riporta alla mente di Vittorio certi viaggi in auto e furgoncini che sembravano posaceneri ambulanti, o il puzzo dei bagni lerci dei camerini dopo un concerto in qualche sala di provincia» (p. 156).

I personaggi più che essere casi psicologici, o tipi narrativi, sono funzionali, sembrano essere creati per essere al servizio della trama: acquistano profondità con il passare delle pagine e degli eventi o con il passare dei ricordi del protagonista. Così, se il passato di Vittorio “Controvento” Contrada si mostra attraverso fotogrammi ripescati dalla sua memoria (anche la storia di come è diventato un avvocato pro bono è narrata attraverso una "madeleine"), quello degli altri personaggi non può che affiorare solo in relazione al protagonista. E lo fa sempre e solo per necessità di trama.

Come si uccide un gentiluomo non è un romanzo giallo strutturato per creare macchinosi colpi di scena, spesso anche poco sorprendenti, ma è impostato per portare il lettore ad accoglierli con naturalezza. Avoledo in ogni capitolo va incontro alle aspettative del lettore, e lo fa da fratello, senza presunzione, perché non mira a disattendere certezze, né a essere fomite di dubbio, ma vuole narrare semplicemente una storia, una storia investigativa che si basa sulle opposizioni (città-natura incontaminata) e che trova nell’esergo di Fujiwara no Maro, un poeta e politico giapponese del VIII secolo d.C., una buona descrizione del libro: «tra le mura della città non v’è nulla che io apprezzi, / ma per boschi e giardini ho elogi a non finire». Come si uccide un gentiluomo, infatti, si dipana attraverso la dicotomia città-natura incontaminata; una natura edenica friulana, in cui «l’aria sa di pulito e di foglie» e in cui «una brezza fa parlare il bosco» (p. 160), che, però, è costantemente minacciata e che rischia di essere distrutta dall’avidità umana, dalla bramosia di imprenditori e avvocati senza scrupoli. 

Giorgio Pozzessere