Gli artigli di Dio
di Wanda Luban
Alter Ego, settembre 2024
€ 18 (cartaceo)
A un certo punto le gambe di Da non ressero più. Silvà la prese con forza e la mise a cavalcioni sulle spalle. Se Da avesse avuto un masso a portata di mano, l'avrebbe scaraventato su quel cranio. Gli diede dei pugni. Per tutta risposta, ottenne una risata.
Stavo per infilargli negli occhi i miei artigli, avventarmi sulla sua giugulare, tranciargli una tibia, azzannargli il petto all'altezza del cuore, non ricordo in quale ordine d'azione, quando il bandito intimò all'altro di legarle i polsi dietro la schiena. Non era ancora il momento adatto a intervenire.
A questo punto Da, per non ferirsi con i rami degli alberi, doveva costantemente ritrarre la testa. La soluzione sarebbe stata quella di appoggiarla sul berretto del suo rapitore ma, piuttosto, si sarebbe fatta decapitare. Perlomeno all'inizio.
A mano a mano che le ore passavano, la sua determinazione andava scemando. Comunque, ve l'assicuro, capitolò solamente quando sentì le labbra bagnate, le leccò, e percepì il sapore del sangue. Un rivolo le scendeva dalla fronte. Arrancavano lungo sentieri sempre più impervi. A un certo punto la baldanza della sua odiosa cavalcatura diminuì drasticamente. Da indovinò che il cammino si era fatto pieno d'insidie. Io confermai. Per non soccombere al senso di vertigine e all'angoscia, si rannicchiò più che poteva su se stessa, fino a quando, senza tante cerimonie, venne scaraventata a terra. (pp. 55-56)
Wanda Luban, autrice svizzera, stilista, nonché psicoterapeuta specializzata in ipnosi, firma per Alter Ego questo romanzo molto peculiare, a metà tra la fiaba e la ricerca spirituale e simbolica di ciò che c'è oltre la superficie del reale o del vero.
Siamo nel 1971, in un borgo sulla sponda svizzera del Lago Maggiore. La protagonista, Da, è una bambina miope (anche qui, doppio richiamo alle fiabe con un personaggio di giovanissima età, e al simbolismo dietro alla scarsa vista - solamente dal punto di vista fisiologico - di Da, e sottolineo "fisiologico" perché invece la sua vista interiore sarà la determinante per tutta la storia).
Da, che vuole andare oltre il velo della realtà, scavando a fondo nella comprensione di ciò che la circonda, evoca una sorta di Virgilio zoomorfo, una tigre siberiana di nome Suvara che, in parte, è anche voce narrante del romanzo.
Chiaro è, già da queste prime parole, che la figura di Suvara incarna una guida spirituale, un ponte tra il mondo tangibile e quello ancestrale, tra il rapporto che l'uomo - intenso come essere vivente - ha con la natura e quello che ha con i suoi simili. In questo senso mi ha molto ricordato il film Vita di Pi, in cui il protagonista, un altrettanto giovane Piscine Molitor Patel si ritrova alla deriva con una tigre del Bengala come compagna di viaggio. Anche nel film, come nel libro da cui è stato tratto, il viaggio della tigre Richard Parker e di Pi assume dei connotati magici, fantastici, fuori dal reale.
Nel caso di Luban, il testo si muove tra realtà e dimensione onirica, evocando atmosfere mistiche e profonde riflessioni sulla natura, il legame con gli antenati e la ricerca della verità. Esplora, attraverso il personaggio di Da e i suoi corollari - nonna Sofia, nonno Pietro, il misterioso signor Khan che diventa signora Khan - il visibile e l’invisibile, toccando temi come la ricerca dell’identità, il potere della memoria e la spiritualità come forma di conoscenza (tra l'altro, l’autrice attinge alla tradizione sciamanica, suggerendo una visione del mondo in cui tutto è connesso, quindi riprende la sua esperienza come psicoterapeuta).
Era mezzogiorno, il sole era in fiamme e io mi facevo le unghie in cima alla betulla quando vidi comparire la coda di cavallo di Da. La raggiunsi con un balzo. Sì, un salto come quelli che faccio fare a voi. Voi, che a furia di passettini...
Lei fissava un punto al bordo del sentiero e non mi degnò di un saluto. S'inginocchiò persino, ma non davanti a me: era tutta presa da decine e decine di chiocciole che ficcavano la lingua in una melma scura.
«Guarda quante» disse. «Alcune sono appena nate, sembrano vermi con le corna. Stanno mangiando l'insalata».
Siccome non parlavo, Da mi solleticò vicino all'orecchio. lo il solletico proprio non lo sopporto: mi fa balbettare.
Per vederci meglio, Da mise la punta del naso in mezzo alle chiocciole.
«Non ho mai visto un'insalata di quel colore. Chiederò al maestro Olmo che cosa piace alle lumache. Scommetto che è cioccolata».
lo non ebbi bisogno né di stendermi a pancia in sotto né di dare lezioni per rendermi conto che quella pappa marrone era poltiglia di chiocciole.
«I vermi con le corna sono cannibali». (p. 131)
Da è un personaggio complesso, sospeso tra l’innocenza dell’infanzia e una precoce consapevolezza dell’esistenza. Il suo viaggio è tanto fisico quanto interiore, un percorso di scoperta e crescita. Surava, dal canto suo, è ovviamente più di un semplice animale: rappresenta un’entità archetipica che accompagna la protagonista nella sua esplorazione della realtà e del passato familiare. Importante questo ultimo particolare, perché Da, nella sua ricerca, non solo avrà a che fare con un mondo altro, che non si vede, ma anche con segreti, scoperte, misteri che riguardano la sua famiglia.
Mi è piaciuto molto il tono delle voci narranti, soprattutto quella di Surava: evocativa, suggestiva, e anche - inaspettatamente - ironica. Il linguaggio diventa, a tratti, alchemico, da decriptare. L’intreccio tra realtà e dimensione onirica è ben costruito, è uno di quei testi che si presta a diversi livelli di lettura: lo si può leggere come fosse una favola oppure un viaggio nel mondo dei sogni; lo si può leggere come un romanzo di formazione oppure come un racconto di realismo magico.
La porta si aprì e il padre depositò un bacio umido sulla sua guancia. Un po' di saliva mi schizzò sull'orecchio (a me, che sopporto a malapena i baci della mia protetta). Sì, perché dovete sapere che, fra le varie cose che so fare, posso pure infilarmi in un animale di peluche. E quella sera stavo dentro il mio preferito. Avete indovinato: la tigre. Il padre mi prese per una zampa e, senza salamelecchi, mi lanciò sul pavimento. Poi spense la luce e richiuse la porta.
«Sai che c'è gente che spara alle tigri per farne tappeti? Tuo padre potrebbe essere uno di quelli. E un'altra cosa... Il signor Kahn voleva semplicemente ridare agli alberi quello che gli si è tolto».
Da riaccese la luce, in cerca d'illuminazione.
«Sai, la carta... i libri... Nascono dagli alberi». (p. 146)
Lo consiglio a chi ama leggere testi onirici, simbolici, fortemente intrisi di spiritualismo, o a chi ama le fiabe che hanno per protagonisti personaggi con svariati strati caratteriali e sensoriali, da sfogliare uno per uno.
Deborah D'Addetta
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