di Joël Dicker
La Nave di Teseo, marzo 2025
Traduzione di Milena Zamira Ciccimarra
20,00 € (cartaceo)
11,99 € (ebook)
Quando circa un anno fa ho recensito la nuova uscita di Joël Dicker (Un animale selvaggio, La Nave di Teseo, 2024), ho scritto che sembrava esserci stata una svolta nella produzione dell’autore e che quello poteva essere considerato il libro del desiderio di un nuovo inizio. Ecco, con La catastrofica visita allo zoo, uscito il 17 marzo per La Nave di Teseo, con l’ottima traduzione di Milena Zamira Ciccimarra, il desiderio di svolta sembra essersi concretizzato.
Questo romanzo è un nuovo inizio, il punto di partenza di un percorso appena segnato dall’autore, che potrebbe essere più o meno lungo. La catastrofica visita allo zoo è un libro per ragazzi (anche se per l’autore è per tutti i lettori, «dai sette ai centoventi anni», come scrive nella postfazione) e si presenta per quel che è già dal titolo. Un titolo trasparente, che mi fa tornare alla memoria i libri della mia infanzia. Ricordo ancora quando da bambino mia madre al ritorno da lavoro mi consegnava il nuovo libro che aveva comprato, spesso della serie del Battello a vapore. Ricordo con piacere alcuni titoli, per esempio, L’assalto alla biblioteca o L’enigma della torre (ci fu anche la serie di Harry Potter, ma questa è un’altra storia), ricordo con piacere libri che già dalla copertina mi spingevano a leggere e a immergermi in un mondo di avventure.
Credo che con questo titolo i «lettori dai sette» anni
in su potrebbero avere la stessa reazione che avevo io davanti a quei libri:
voglia di un’avventura leggera e grandiosa, stimolante. E il romanzo di Dicker
riesce a mantenere la promessa fatta. Se, come scrisse Eco in Postille
al Nome della rosa, il titolo è già una chiave interpretativa, più o meno
intenzionale, dell’autore, La catastrofica visita allo zoo, oltre
che avvisare il lettore affezionato di Dicker della svolta avvenuta (l’esempio
di La Tigre del 2016 non è paragonabile), preannuncia lo stile
e il tema del libro, e lo fa inserendo sulla copertina il linguaggio iperbolico
della narratrice, nonché protagonista della storia (Joséphine, una bambina che
sembra capire «le cose troppo in fretta», p. 28, e che «vuole diventare
un’inventrice di parolacce»). Il libro, infatti, narra, con un tono
che vuole ricalcare il modo di parlare dei bambini e che non riesce a essere
veramente mimetico, gli eventi che hanno portato ai fatti successi nello zoo di
una piccola città, fatti che, nella loro semplicità, nella loro stravaganza e
nella loro unicità, si sono «impressi nella memoria degli abitanti»
e dei bambini coinvolti. La trama è abbastanza lineare e procede per piccoli
eventi che, attraverso una struttura causale e attraverso le azioni di un
gruppo di ragazzini, presentati nelle prime pagine del libro come accade in
una piéce teatrale (Artie, Thomas, Otto, Giovanni, Yoshi e
Joséphine), portano a quello centrale del racconto, appunto la catastrofica visita allo zoo.
Questo libro è anche un giallo che segue le strutture consolidate di Dicker (nonostante siano presenti alcune caratteristiche proprie delle commedie teatrali). La catastrofica visita allo zoo è un giallo ambientato
in una scuola, un giallo che ha come protagonisti di un’indagine sei alunni di una «scuola speciale».
La struttura generale ricalca, in maniera semplificata, e dunque adattata al
lettore implicito, quella dei romanzi della serie di Goldman: la narrazione è
inscritta in una cornice in cui il narratore degli eventi è testimone e autore;
la storia si muove tra ricordi, piste sbagliate, impressioni del protagonista,
ed è narrata in prima persona; il movente è di difficile individuazione, ecc. E
in questo, questo romanzo è scritto con maestria.
Infine, questo è
anche un libro che mira a essere didattico. Da una parte, vuole mostrare
e insegnare la struttura del romanzo poliziesco, mettere in risalto
gli elementi essenziali del genere (il detective dilettante, il poliziotto
ufficiale come uomo di routine, la ricomposizione dell’ordine
finale, ecc.) e il fatto che «il colpevole ha sempre un movente, e cioè una
buona ragione per commettere quel crimine. Quindi per trovare il colpevole, non
ci si deve chiedere chi ha commesso un misfatto, ma perché l’ha
commesso» (p. 54).
Dall’altra, La
catastrofica visita allo zoo intende entrare nel discorso
socio-culturale, e intende farlo attraverso due espedienti: il primo è
quello della spiegazione fatta al gruppo di ragazzini
(«Alla fin fine, quella sera la democrazia era stata calpestata. E io mi sono detta che i veri colpevoli di quel fallimento non erano tanto i membri della minoranza rumorosa, che avevano il diritto di esprimere la propria opinione, ma tutti quelli intorno a loro che erano rimasti completamenti zitti. Sembra che si chiami la “maggioranza silenziosa”», p. 137);
il secondo è quello della postfazione, Qualche parola a proposito di Catastrofica visita allo zoo, luogo storicamente predisposto all'entrata in scena autoriale. In queste pagine sotto alcuni aspetti sorprendenti, Dicker si scaglia contro gli schermi e i social network, rei di intontire le persone e di aver creato i presupposti affinché «molte delle librerie dalle quali era stato invitato al suo esordio» (p. 259) chiudessero, e lo fa nell’evidente tentativo di scrivere un elogio dell'oggetto libro, oggetto che spinge a «intrecciare amicizie, scambiare numeri di telefono, strette di mano e abbracci» (p. 260). Forse, allora, è proprio questo aspetto che ha portato Dicker ad affermare che lui ha cercato
«con modestia e umiltà, di scrivere un libro che potesse essere letto e condiviso da tutti i lettori, chiunque essi siano e ovunque si trovino, dai sette ai centoventi anni. Con i vostri figli, il vostro coniuge, i vostri genitori, i vostri vicini, i vostri colleghi. Un libro che faccia venir voglia di leggere e da far leggere a tutti, senza distinzioni. E che permetta di ritrovarci. Sul serio». (p. 261)
Si potrebbe discutere
se questo suo intento sia riuscito o meno (qualche dubbio a me rimane), e si
potrebbe riflettere anche sull’effettiva influenza degli schermi e dei social
network sulla chiusura e la trasformazione delle librerie, oltre che sulla società
in generale. Qualche riserva resta, soprattutto perché non credo che il posto
adatto a una riflessione del genere sia la postfazione a un romanzo tutto
sommato più per ragazzi che ecumenico, a meno di non piegarsi a posizioni apocalittiche
approssimative.
Giorgio Pozzessere
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