Nord editore, 25 febbraio 2025
Traduzione di Valentina Abaterusso
pp. 392
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
A Palermo, a metà del Seicento, Teofania sembra una cortigiana che finalmente, dopo anni al servizio della corte spagnola, ha trovato un’occasione, sposando un ricco mercante, ma la sua vita apparentemente tranquilla nasconde ben altro. Al di là del fatto che il marito è brutale, Teofania è molto di più che una semplice consorte: la giovane donna, infatti, distribuisce di nascosto un preparato mortifero che aiuta a disfarsi di mariti violenti, amanti misogini o padri asfissianti. Insieme a Teofania, c’è anche la giovanissima figlia, Giulia, alla quale la madre trasmetterà la “ricetta” di questo preparato.
Il mestiere della madre ha un aspetto ufficiale e uno ufficioso. Il primo è quello della levatrice e curatrice. E poi c'è quello nascosto e segreto: in mezzo a tutte quei preparati, la madre nasconde la cosiddetta «Acqua» (p. 214), un «liquido» che «è materia mortale, in grado di togliere la vita» (p. 25) perché, somministrato poco alla volta, non solo conduce alla morte, ma non lascia tracce e indizi. Quella, però, della madre di Giulia è più una missione che un lavoro perché, se con le giuste ragioni, può portare a liberare donne maltrattate, tanto che non reclama mai un compenso. Ed è così con i segreti della madre che Giulia, dopo la morte di questa (condannata dall'Inquisizione), si trasferisce da Palermo a Roma e dove, insieme ad altre compagne, prosegue la tradizione materna. Se da una parte, però, la madre era stata processata, e poi condannata, dal Sant'Uffizio, così anche Giulia, a Roma, trova lo stesso clima di paura e di persecuzione, forse, anche peggiore di quello palermitano. Nella città della Chiesa sta arrivando la peste che, vista come un castigo divino, ha aumentato i sospetti nei confronti di tutti quelli che sembrano possedere la verità medica, ignorando quella di Dio.
La peste non è l’unico morbo che affligge l’Urbe. L’eresia e la stregoneria non sono un cancro che prolifera indisturbato. Questa pestilenza è il castigo di Dio ci ha inflitto per i nostri peccati e io mi sono ripromesso di sradicarla senza pietà. (p. 132)
C'è però una differenza sostanziale con l'attività materna. Se la madre operava pressoché da sola, Giulia si circonderà di altre donne - inclusa la figlia, avuta da un rapporto non consenziente - che la supportano nel salvare tutte quelle che non avrebbero avuto scelta, se non quella di rassegnarsi a una vita di violenze.
E, allora, la domanda sorge spontanea: è possibile giustificare l'omicidio, se lo scopo è la libertà? Sicuramente, la storia della «stirpe di avvelenatrici» (p. 24) dimostra quanto il genere femminile sia stato vessato nel corso della Storia in nome di qualcosa di più grande e “sacro” che le relegava però a una prigione fisica e morale; donne, come quelle aiutate da Giulia, erano intrappolate in quegli schemi sociali misogini senza possibilità di emancipazione.
Le ingiustizie non cessano.Nei mesi a venire le donne continuano a presentarsi alla spezieria, o ad avvicinare le componenti della mia cerchia [...]. non c’è giorno che non venga da me una donna picchiata, una moglie negletta, un’amante risentita, una prostituta abbandonata, a pregarmi di fornirle una cura contro le proprie afflizioni. (p. 213)
L'avvelenatrice di uomini è un romanzo storico che attraversa secoli di Storia da due punti di vista (quello della madre e della figlia), ma che potrebbe essere stato quello di altre migliaia di donne che, alla fine, cercavano un'ancora di salvezza. Tuttavia, quello che traccia l'autrice è ben più della storia di due curatrici perché, intorno a loro, si muovono personaggi (alcuni anche esistiti, come, del resto, Giulia stessa) che riescono a rendere perfettamente il contesto storico e sociale, offrendo uno sguardo su un’epoca tutt’altro che idilliaca.
Se a una prima lettura L'avvelenatrice di uomini potrebbe sembrare una storia di ribellione, in realtà è lo spirito di sopravvivenza a prendere spazio nella narrazione. Forse la ribellione vera è rappresentata dal tentativo di conservare la dignità, che all'epoca (e almeno per il genere femminile) sembrava più un'opzione che un diritto fondamentale. Giulia, però, rimane un personaggio complesso (a cui continuo a pensare a distanza di giorni). Tra leggenda e realtà storica, permane ancora il dubbio su di lei: salvatrice o assassina? Quel che è certo - alla fine, non sta a me giudicare - è che non accettò mai la subordinazione maschile che obbligava le donne a sopportare ogni tipo di violenza.
Possibile che ci tocchi sempre aspettare? È destino delle donne esistere negli intervalli vuoti, nelle pause tra le azioni degli uomini. (p. 71)
Giada Marzocchi
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