Ogni anno in questo periodo tengo un corso sulla narrativa breve; sei seminari durante i quali fornire agli studenti gli strumenti critici necessari per addentrarsi in questa forma bellissima e sfuggente, in un discorso che affonda le radici nella tradizione per arrivare alla contemporaneità. La poetica della forma breve si basa su una serie di teorie, ragionamenti e spunti oggi consolidati che vanno da Poe a Cortázar, passando per le riflessioni di Virginia Woolf, i formalisti russi, Mary Louise Pratt, il New Criticism, la critica italiana. Anno dopo anno mi addentro in questo universo critico e letterario e in una selezione sempre diversa di testi in cui la poetica del racconto si esplichi davanti agli occhi degli studenti, li stupisca per le molteplici possibilità di una forma tanto ammaliante e misteriosa. E, anno dopo anno, costruisco una mia personale mappa sentimentale degli autori e dei racconti a guidarmi in questo viaggio dentro le parole, sempre più ricca e variegata, tra tappe fisse e deviazioni, nuove possibilità, riscoperte, punti fermi. Da qualche tempo questo viaggio sosta a lungo negli spazi della letteratura latinoamericana, perché è impossibile parlare di short story senza tornare al cuento. E capita, dunque, che questa sosta mi porti a recuperare parole e autori che stavano lì ad aspettarmi, che rileggo dopo anni, che scopro per la prima volta. Quest’anno è stata la volta di Andrés Neuman, scrittore, poeta, traduttore, docente di letteratura, blogger argentino naturalizzato spagnolo: mi aspettava placido, accanto ai nostri maestri, con una raccolta di racconti in particolare, Le cose che non facciamo, uscita nel 2016 per Sur nella traduzione di Silvia Sichel e poi ripubblicata in una nuova edizione a cui è stata aggiunta una preziosissima postfazione con diversi saggi dell’autore sull’arte del racconto.
Le cose che non facciamo contiene venticinque storie, alcune anche molto brevi, suddivise per sezioni tematiche; è una raccolta pura, eterogenea, in cui ogni racconto è indipendente, non è mascherata da qualcosa di altro. Ci sono una serie di tematiche e spunti ricorrenti che attraversano i racconti ma ognuno di questi resta unico, autodeterminato. Una raccolta che colpisce in primo luogo per la straordinaria tenuta tecnica, la precisione chirurgica con cui ogni parola è stata selezionata – magistrale il lavoro di traduzione – , il ritmo, l’influenza della poesia, il sistema di immagini dell’autore. Venticinque racconti che si muovono in luoghi geograficamente non specificati, dove anche il tempo resta sospeso, e che attraversano generi letterari diversi dal realismo puro al grottesco, l’umoristico e il surreale, il metaletterario. Neuman è un artigiano della parola, lavora di scalpello e tira fuori dal blocco di marmo l’opera nella sua nuda essenzialità: non servono orpelli, le parole sono misurate e scelte con cura tra le più cariche di significato, la lingua è di volta in volta piegata all’uso della storia da raccontare e cambiano dunque anche i registri, le modalità espressive, i punti di vista, i narratori. Poetici e sperimentali a tratti, lirici e brutali insieme, i racconti di Neuman si concentrano su un quotidiano umanissimo, spesso dolente, squarciato da lampi di bellezza accecanti.
È questo che preferisco della vita a due. La meraviglia aperta sull’altrove. Le cose che non facciamo. (“Le cose che non facciamo”, p. 25)
Indaga i sentimenti, le relazioni, la crisi della coppia, la perdita, lo scorrere inarrestabile del tempo, la scrittura, con l’intensità e la precisione del poeta, in frammenti e storie brevissime ma dalle quali è impossibile staccarsi, ammaliati dalla tecnica narrativa perfetta ma mai soffocante, dall’intensità emozionale delle storie, dalla varietà della forma. Nel racconto che dà il titolo alla raccolta, Neuman esplora l’intimità di una coppia, il quotidiano di rituali, le intenzioni disattese. Poche frasi, nessuna connotazione geografica o temporale, assenti anche le descrizioni fisiche dei personaggi: quello che conta, per Neuman, in tutte queste storie, è l’interiorità, i gesti, la parola. Ecco, dunque, i gesti che sanno sostituirsi alla parola che manca, come nel bellissimo “Madre di spalle”, dove tornano il tema del tempo, la vecchiaia, il rapporto genitori-figli:
Può il corpo di qualcuno trasformarsi in una spugna che, impregnata di paure, acquista densità e perde volume? Mia madre sembrava più piccola, più magra eppure più greve di prima, come incline alla terra. La sua mano porosa si chiuse sulla mia. Immaginai un bambino in una vasca, nudo, trepidante, che strizzava una spugna. E volli dire qualcosa a mia madre, e non riuscii a parlare. (“Madre di spalle”, p. 38)
Una madre anziana, il corpo diverso, la sua fragilità. Le parole, appunto, che mancano. Sono i gesti, allora, a farle risuonare, come nel finale di questo breve frammento:
E le passai la spugna sulla schiena, disegnai dei cerchi sulle spalle, gliela feci scorrere per le scapole, scesi lungo la colonna, e prima di finire scrissi sulla sua pelle bagnata la frase che non ero stato capace di dirle prima, quando avevamo attraversato insieme la frontiera. (“Madre di spalle”, p. 39)
Nelle storie di Neuman il plot è quasi sempre minimo se non inesistente: sono i sentimenti, l’interiorità dei personaggi, il dialogo, a fare la storia, quei piccoli scostamenti del quotidiano cui lo sguardo estraneo passa sopra per lo più indifferente. Una madre che invecchia, una donna che tira una riga sulla sabbia a marcare un confine invalicabile, un uomo che cerca un modo per arginare il dolore per il lutto. Poi, talvolta, quel quotidiano si apre al grottesco, la violenza si insinua sulla pagina, lascia spazio al surreale, all’imprevisto, all’eco della tradizione su cui saldamente si poggia e porta il lettore a svolte inattese: nelle ambiguità di uno scambio paziente-psichiatra dove è impossibile distinguere l’uno dall’altro, in un regolamento di conti che pare una scena di un film di Tarantino, nel sempre più assurdo confronto tra un uomo alla guida e l’agente di polizia che l’ha fermato, nelle strane occorrenze sui registri degli alberghi dove soggiorna un politico, nel monologo di un mostro. Nei racconti di Neuman storia e modo di raccontarla sono saldamente intrecciate, nel richiamo della prosa più adatta a inventare il mondo, rispondere all’intimo caos di un personaggio davanti alla nascita e alla genitorialità:
Sarò degno del suo esordio?, e cosa fare con tutta la meschinità e la crudeltà che ci trasciniamo dietro quando un figlio ci nasce, quando un figlio ci dà alla luce, cosa fare per sentire che malgrado tutto ci meritiamo un altro inizio?, ma dovremmo offrirgli anche questo, crudeltà e meschinità, sono nostre, saranno sue, abbiamo riacquistato l’innocenza […]. (“Dare alla luce”, p. 33)
Da angolature differenti Neuman esplora la genitorialità, la condizione di figli, il tempo, la responsabilità, la lingua sempre tesa, puntuale. «Ci sono amori che non si possono ripagare»: quello dei figli verso i propri genitori. Quello dei lettori di racconti, verso la grazia di certi autori.
Debora Lambruschini