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Nella testa di un mostro misogino c’è sempre una giustificazione alla brutalità verso le donne. “Il sari verde”, il magnetico romanzo dell’acclamata scrittrice mauriziana Ananda Devi

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Il sari verde
di Ananda Devi
Utopia, 21 febbraio 2025

Traduzione dal francese di Giuseppe G. Allegri

pp. 192
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (eBook)

Se pensavate di aver letto tutto quello che si poteva sulla misoginia più spietata e brutale, allora non conoscete Il sari verde di Ananda Devi. La casa editrice Utopia sta recuperando l’opera di una delle autrici più apprezzate e pluripremiate della letteratura non solo mauriziana, ma mondiale! L’anno scorso, giusto per citare il premio più recente, l’autrice ha vinto il Neustadt International Prize for Literature. Devi è nata nel 1957 e ha al suo attivo già una trentina di pubblicazioni tra saggi, poesie, romanzi e racconti: ha iniziato a scrivere molto presto, quando era pressoché adolescente e a soli quindici anni aveva già vinto un concorso internazionale di racconti. Il sari verde è stato pubblicato in lingua francese dalla casa editrice Gallimard nel 2009; l’autrice è però poliglotta e parla e scrive correntemente anche in inglese, in lingua creola e in telogu, una variante dravidica della lingua indiana. Insomma, stiamo parlando di un’autrice che è nata tra le storie, vive di esse e, allo stesso tempo, riflette sulla lingua oltre che sui temi che le stanno particolarmente a cuore: le donne, l’identità, la violenza della società moderna.

La sfida che Il sari verde propone al lettore è quella di entrare nella testa di un uomo anziano malato, misogino incallito, un concentrato di fiele, di disprezzo gratuito verso le donne della sua vita, la moglie ormai defunta, la figlia Kitty avuta da lei e la nipote Malika. È una lettura densa, non facile, ma il lettore più schizzinoso è avvertito da subito, il nostro protagonista e voce narrante mette le mani avanti sin dalle prime battute e senza tante cerimonie:

Non sono un apostolo del parlare educato. Non sottoscrivo l’ipocrisia delle formule belle ma vuote di cui è così ghiotta la nostra epoca. […] 
Sono un uomo, e sono in via d’estinzione.
Sono vecchio e sono in via di decomposizione.
Se andate alla ricerca di cose allegre, passate oltre. Se pensate di uscire di qui con la pancia che gorgoglia di buoni sentimenti, avete sbagliato porta. 
Voi che urlate tanto non avendo niente da dire, ascoltatemi se volete, altrimenti andate a quel paese. (p. 5)

È un personaggio davvero antipatico, urticante per la sua boria, il suo senso di superiorità conferitogli dal suo sesso e, dettaglio non secondario, dal suo lavoro di dottore. Per tutti lui è stato il dokter, «Il semidio, della cui aura godevano per procura perfino i parenti prossimi» (p. 27). Tracotanza giustificata, perché agli occhi di tutti se il malato moriva era colpa del cuore che aveva deciso di fermarsi, ma se egli invece guariva ecco allora il dokter che raccoglieva tutti i meriti riconoscibili. A lungo andare questo delirio di onnipotenza gli fa perdere il sentimento della compassione.

Non era orgoglio, il suo. Il dokter era costretto a vedere il lato meno allettante delle persone, chiappe, grasso, ossa, foruncoli, ascessi, malattie immaginarie, il penoso lamentarsi di una vita che finiva per trasformarsi in un canto di morte, una volta arrivati a fine corsa. (p. 27)

Uomo rispettabile e compito in società, il dokter in casa rivelava la sua natura violenta e gelosa nei confronti della bella e giovane moglie prima, della figlia e della nipote poi. A lui ogni azione violenta, compiuta contro le donne di casa che non sanno stare a loro posto, silenziose e ubbidienti, è lecita e il lettore lo scoprirà sin da subito, grazie a una narrazione innestata sul fluire di pensieri del protagonista che danzano dal passato verso il presente e viceversa, tra allucinazioni e lucidità: è un percorso che fa salti temporali coerenti nell’economia dell’opera, non vi è nulla di superfluo, anzi Devi sceglie le scene e le parole che possano rilasciare il massimo usando l’essenziale. Non scopriremo mai il nome del protagonista né della povera moglie, morta ventiduenne, in circostanze misteriose, dopo che lui le aveva rovesciato in testa una pentola di riso, a suo dire, ripugnante e immangiabile. La giovane torna ancora adesso nei suoi sogni allucinati e torbidi a torturarlo, mostrandosi come l’aveva vista l’ultima volta, immobile sul letto, avvolta nel suo prediletto sari verde.

Un corpo fumante, gocciolante, immobile, e uno sguardo che buca il viscidume.
Un sari verde maculato di chiazze brunastre di latte rappreso. Mussolina di seta costosa che un tempo aveva rivestito un corpo luminoso, oggi eviscerato di ogni bellezza. Quel verde singolare, verde acqua mattutina, verde degli uccelli al risveglio che vengono a bere, ormai irrecuperabile. Verderame verde tomba verde terra dannata. (p. 144)

Questo è il segreto che il dokter custodisce, è la sua croce da decenni, anche adesso sul letto di morte, accudito dalla figlia e dalla nipote che sembrano godere del decadimento fisico di quell’uomo violento e manipolatore che le ha vessate per anni tra le pareti domestiche. Addirittura Malika gli si avvicina e gli confessa di amare una donna e con piacere sadico e perverso gli racconta senza vergogna come fa l’amore con lei e goda del suo florido corpo di donna di colore…

È perché sto con una donna, prosegue.
Rimango senza fiato. Le parole raggiungono le mie orecchie, si fanno strada fino ai timpani, il martello, l’incudine e la staffa si mettono in moto per poi rimbalzare spontaneamente fino al cervello dove, titillando neuroni in punti precisi che ordineranno la produzione di una quasi overdose di endorfine e serotonina, esplodono in un accesso di gioia sismica.
Alleluia! La figlia di kitty è lesbica! Avrei mai potuto sperare vendetta migliore nei confronti di mia figlia? Chissà quanto ha dovuto farle male, alla Kitty, quanto l’avrà fatta rosicare e sanguinare di vergogna da tutti i pori! Ah, com’è bella la vita! Morirò sereno: brividi di piacere su un piatto d’argento. (p. 37)

Un padre che senta piacere nell’immaginare il dolore della figlia per noi è inconcepibile, è un passo straniante questo, eppure il lettore verrà messo a conoscenza lungo le pagine dell’opera dei segreti del dokter e gli sarà più facile capire. Forse. Sono sincera, quel forse è d’obbligo. È stato davvero il protagonista a uccidere quel corpo un tempo pieno di grazia ormai scheletrico, segnato dal dolore, dalla violenza, dalla mancanza di amore? Quale sarà la sentenza del lettore, crederà alla giustificazione che gli propinerà il vecchio medico?

Il sari verde è un’avventura letteraria, un romanzo magnetico che trascina chi legge tra le pagine della storia e, grazie a uno stile che coniuga la delicatezza più eterea alla violenza inaccettabile, riesce a convincere anche i lettori più esigenti.

Marianna Inserra