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«La vita noi mica ce la scegliamo. La vita è quello che viene»: destino, adattamento e lotta giorno per giorno per le protagoniste degli undici racconti di Andrej Longo

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Undici. Non dimenticare
di Andrej Longo
Sellerio, 25 febbraio 2025

pp. 248
€ 15 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


E questa è la mia vita.
Non lo so se è bella o è brutta. A me mi pare una vita normale, uguale a quella della gente attorno, non spero niente, non cerco niente, va bene così. (da "Sera", pp. 137-138)

Sole, queste donne sono sole: viene da pensarlo leggendo Undici. Non dimenticare, nuova raccolta di undici racconti di Andrej Longo, che sembrano fare da eco a Dieci (Sellerio, 2025). In comune è l'ambientazione napoletana, l'attenzione a dar voce a chi solitamente non ne ha una. Personaggi che vivono una vita scabra e in minore, che passerebbero probabilmente sotto silenzio, se non fosse per l'attenzione ai dettagli e la capacità di un autore sapiente di selezionare cosa cogliere e cosa narrare. 

In Undici l'attenzione è però concentrata sui personaggi femminili: spesso anche io narranti delle storie, sono in ogni caso loro il punto di vista prescelto da Andrej Longo per rappresentare una vita che è spesso fatta di miseria, responsabilità, malavita. A volte non basta lavorare senza sosta (come fa la madre di "Restituisci i colpi", che aggiusta caterve di pantaloni a cottimo o la donna di "Sera", che si divide tra pulizie e mansioni da badante): occorre fare rinunce continue, e questa è una dimensione alienante, come si legge bene in "Buste", in cui una madre depressa viene raggiunta di tanto in tanto dai figli, che sembrano non capire fino in fondo la malattia che si cela dietro il desiderio ossessivo di accumulare buste per i rifiuti (da qui il titolo). 

Ma anche quando non siamo davanti a patologie, la solitudine è una dimensione che avvolge le protagoniste: gli uomini, d'altra parte, sono perlopiù assenti (defunti come in "La porta rossa" o in carcere, come in "La vita che volevo"); se presenti, sono una presenza spesso pericolosa (come in "La tigre"), addirittura nociva per la famiglia intera ("L'ultima cena"). Che dire, invece, dei figli? I figli sono anzitutto una responsabilità: spesso sono troppo piccoli per accorgersi davvero di cosa accade loro intorno, eppure è nell'infanzia che regalano amore disinteressato e gioia ("La tigre", "La vita che volevo", "La cinese"); da adulti, possono essere concentrati sulla loro vita (forse anche per non soffrire per lo stato in cui versa la madre, come in "Buste"). Eppure ci sono forme d'amore figliale, benché non scontate, come in "Restituisci i colpi". E in due casi ("La sedia" e "Il matrimonio") è invece proprio una figlia a guardarsi attorno e a offrirci un suo sguardo sul mondo. 

Mondo che è regolato da leggi non scritte e che tutti rispettano per paura: "La sedia" è uno straordinario esempio di quanto la malavita influenzi la vita di tutti, anche di chi non vuole piegarsi alle regole (e questo, a mio parere, è un racconto particolarmente efficace che andrebbe letto nei percorsi di Educazione civica a scuola). In altri racconti sono evidenti le conseguenze della malavita: che le donne siano conniventi o meno, che lottino o accettino almeno in superficie quanto vedono attorno, si chiedono più e più volte cosa sia giusto: come educare i figli ("La vita che volevo")? Farsi giustizia da sola è l'unico modo per proteggere chi amiamo ("L'ultima cena")? Come cambiare un mondo che si regola su meccanismi di offese e vendette? Pregnante, ad esempio, che di questo parli lo spettacolo messo in scena da un gruppo di detenute in "Per sole donne":

«Noi oo' sapimmo che cos'è il dolore. Ccà dint' 'o sapimmo tutte quante. Se non ci fermiamo noi, nun se pò fermà nisciuno. E 'a rota continua a girà. Gira, gira, gira, e nun cagna mai niente» (da "Per sole donne", p. 183)

Parallelamente, scorre una vita semplice, che non si sceglie, che è «quello che viene» (p. 28) e di rado si pensa di poterla cambiare. Meglio allora adattarsi, sopportare la fatica e la stanchezza, cercando tuttalpiù forme di evasione temporaneapiccole gioie quotidiane, che possono essere un giro al mercato, la scoperta della poesia ("Sera" racchiude splendidi passaggi sul potere della lettura, scoperto per caso), l'abbraccio di una figlia ("La tigre"). Queste donne lavorano perché devono, perché serve il denaro; sono professioni umili ma che garantiscono qualcosa con cui vivere, non certo sono finalizzate a realizzarsi. La parola stessa, realizzarsi, pare completamente esclusa dal microcosmo di una periferia e di una provincia napoletana dove l'ambizione non esiste, ma si cerca di muoversi nel proprio piccolo ambito ristretto. Ma lo sguardo di queste donne è vivido, per quanto spesso dubbioso e talvolta rassegnato. Seguire i loro ragionamenti spesso raccontati con parole semplici, che attingono dal napoletano, è un modo per cambiare prospettiva, guardare all'essenziale che si cela in tante vite comuni, che sanno però andare oltre l'apparenza. 

GMGhioni