di Massimo Recalcati
Castelvecchi Editore, 2024
€ 24,00 (cartaceo)
Torna in libreria nella collana Frangenti di Castelvecchi Editore, il saggio del 2007 di Massimo Recalcati Il miracolo della forma. Per un'estetica psicoanalitica. Non è un compendio delle teorie psicoanalitiche sull'arte o un mero confronto fra le posizioni estetiche di Freud, Klein e Lacan. Risulta proprio per questo positivamente spiazzante, perché affronta la creazione artistica da una prospettiva differente e direi più radicale. Recalcati non intende l'arte come un
terreno da colonizzare con gli strumenti della psicoanalisi (a questo si è invece ridotta spesso la cosiddetta "psicoanalisi applicata"), ma come un luogo affine, implicato alla psicoanalisi. L'arte e la psicoanalisi sono pratiche della sublimazione del linguaggio, ma soprattutto sono pratiche che non trovano fondamento se non in se stesse, dunque pratiche senza garanzia, senza quel sapere forte e duro che contraddistinguerebbe le scienze positive, pratiche che mettono al loro centro la dimensione del reale. (p. 9)
L'aspetto più suggestivo di questo lavoro di Massimo Recalcati è quello di guardare al mistero della creazione artistica in maniera "laterale", con uno sguardo che coinvolge discipline affini, tanto che la lettura de Il miracolo della forma susciterà un'attenzione diversa a seconda che il lettore avrà un approccio da filosofo, da psicoanalista, da letterato o da storico dell'arte. Ciò che ruota intorno al linguaggio (sia esso produzione artistica, riflessione filosofica, pratica analitica) è dare forma all'informe, circoscrivere il reale attraverso il simbolico. Eleggendo Jacques Lacan come interlocutore privilegiato, Recalcati esplora anche il terreno oscuro dell'extra-linguistico e del non-simbolico, dell'Altro, della Cosa, che rimane fondo indicibile di qualsiasi detto.
Il saggio si articola in tre capitoli: La sublimazione artistica e la Cosa, Le tre estetiche di Lacan e L'ideologia dell'informe. A cui si aggiunge un'interessante appendice, Il trauma della poesia, ed una postfazione, L'icona scissa dal coinema.
Nel primo capitolo, Recalcati affronta una tematica chiave della teoria estetica di Freud: la sublimazione. Che tale concetto sia altamente problematico per la psicoanalisi lo testimonia il biografo di Freud, Ernest Jones, quando racconta che nel 1916 Freud decise di distruggere il manoscritto dedicato a questo tema.
Il mistero della sublimazione ha a che fare con il mistero di una trasformazione della pulsione, ossia pone il problema di come possa esistere una soddisfazione pulsionale non vincolata direttamente a una soddisfazione sessuale. La possibilità che la pulsione si soddisfi per altre vie rispetto a quelle sessuali comporta inevitabilmente che si ridefinisca il concetto stesso di "soddisfazione pulsionale". (p. 23)
Dopo avere chiarito l'interpretazione differente che Lacan al concetto di sublimazione, Recalcati fa propria l'istanza non più "ideale" ma "reale" di affrontare il problema della dimensione simbolica. Nella dialettica mai pacificata tra la pulsione di vita e quella di morte, l'opera si pone proprio in questo zwischen, in questo luogo agonico in cui la forza e la forma si contrastano. Così risulta inadeguato il binomio classico di forma e contenuto o quello di matrice saussuriana di significante e significato per comprendere il miracolo della forma. Altrettanto inadeguato è l'approccio biografico: per intendere il mistero dell'opera non possiamo utilizzare la vita dell'Autore.
Nella riflessione sul rapporto tra vita e opera non si deve assumere nessuna prospettiva riduzionistica. Non si deve cioè né ridurre l'evento dell'opera alla vita dell'artista (come se l'opera fosse una sorta di fantasma del fantasma inconscio che governa la vita dell'artista) né, d'altra parte, liquidare il problema di quel rapporto esaltando il testo d'arte come totalmente scorporato dalla vita del suo autore e governato integralmente dalle leggi strutturali che presiedono alla sua composizione. (p. 11)
Nel precario equilibrio fra l'atteggiamento che definisce "patografico" e quello impersonale strutturalista, Recalcati ricerca una dimensione problematica di stile, in cui l'opera «s'impone all'artista come una forza singolare che sovrasta l'io del suo autore» (p. 11). Nella dialettica tra l'opera, la cui forza tuttavia sfugge sempre nella sua interezza, e il soggetto che risponde all'istanza di formalizzare il caos, si situa l'esperienza estetica narrataci da Recalcati, anche attraverso l'utilizzo di belle illustrazioni e di esempi di artisti quali Tàpies, Morandi, Burri, Pollock e Kline.
Circoscrivere il reale attraverso il simbolico significa, come disse Paul Klee, non riprodurre il visibile, ma rendere visibile attraverso una trasfigurazione eidetica, che rende il compito dell'arte simile a quello del logos.
Oltre ad essere, come dicevamo, un serrato dialogo con Jacques Lacan, il testo di Recalcati porta i segni di un lungo e felice confronto con Martin Heidegger, come emerge soprattutto nell'appendice dedicata alla poesia. Il senso del linguaggio poetico è la sua eccentricità rispetto il linguaggio quotidiano, la «sfasatura che attraversa enunciato ed enunciazione» (p. 201). Al pari della terapia psicoanalitica, anche la parola poetica è in rapporto privilegiato con il silenzio.
La condizione perché vi sia poesia è infatti quella di azzeramento, di una sospensione radicale delle regole universali del linguaggio: dove c'è poesia c'è trauma, urto, sconnessione della trama ordinata dei significati. (p. 202)
È molto interessante il parallelismo tra la parola poetica e quella dell'esperienza analitica: entrambe non si consumano nel registro della mera comunicazione.
Deborah Donato
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