Anatomia della battaglia
di Giacomo
Sartori
TerraRossa,
marzo 2025
pp. 270
€ 17,90 (cartaceo)
€ 9,90
(ebook)
Io avevo sempre saputo che sarebbe morto prima dell’uscita del romanzo. Ne ero certo, ne ero stato certo fin da quando lo avevo cominciato. (p. 210)
Il
rapporto conflittuale del figlio con il padre è uno dei grandi topoi letterari,
insieme alla vendetta e all’amore impossibile (solo per citarne un paio). Il
rapporto è conflittuale di necessità, perché il padre è prima mito, nell’epoca
senza tempo dell’infanzia; poi rivale, durante l’adolescenza, o almeno figura
di scontro, campo di battaglia in cui portare in scena la lotta; avviene quasi sempre
un distacco quando il figlio è abbastanza grande da iniziare a costruirsi una
propria vita lontana dal nido familiare, quando i modelli impartiti dal padre cominciano a venire percepiti come distanti e obsoleti, qualcosa da allontanare
il più possibile. Infine, il padre diviene un punto saldo a cui tornare e con
il quale confrontarsi (non più scontrarsi) proprio nel momento precedente alla
perdita definitiva. Il padre – quel padre che c’è sempre stato, che è esistito
in quel tempo prima del tempo della nostra nascita – a un certo punto diviene
altro, estraneo, irriconoscibile nella vecchiaia e poi più nulla.
È –
anche – questa battaglia che Giacomo Sartori analizza, smontandola pezzo per
pezzo e ricostruendone l’immagine, nel suo libro del 2005 ripubblicato quest’anno
da TerraRossa nella collana Fondanti, che si occupa di recuperi di testi che
hanno segnato la vita creativa di un autore. Il narratore – in prima persona e
identificabile con lo scrittore in un romanzo dal forte sapore autobiografico –
porta in scena la propria esistenza accanto a un padre nato in un altro mondo
(metaforicamente) e in un’altra Italia (letteralmente), un’Italia che non è
repubblica bensì regno, e che non è democristiana bensì fascista. Questo padre –
un uomo risoluto, integro moralmente (almeno dal suo punto di vista),
instancabile lavoratore e dedito all’esercizio fisico – lo vediamo dettare
legge dentro casa e scontrarsi con dei figli che le sue orme non vogliono seguirle. Nato nel 1958, il figlio del padre fascista è un ragazzo che si
avvicina negli anni sempre più – senza però mai farne parte veramente – al terrorismo
armato di sinistra, per poi fuggire da tutto per inseguire un sogno che non è
il proprio in un paese straniero dell’Africa post-coloniale dove impera la guerra
civile.
Questo
padre – il padre fascista che mai ha rinnegato il duce e con cui bisogna pur
convivere perché è in fondo una brava persona – poi si ammala di cancro e da quel
momento ogni cosa è diversa. Il romanzo tenta comunque di estendersi in tutte
le direzioni – la vita del figlio lontano da casa, gli amori passati e quelli
presenti, la lotta comunista – ma è a questo padre che torna sempre perché è
questo il fulcro della narrazione: il padre e la sua malattia. Quando il cancro
assume un ruolo centrale nella narrazione, il ritmo del romanzo accelera e
tutto si concentra intorno alla lenta disfatta del padre.
Come si
può intuire, i momenti finali del romanzo sono i più emozionanti, i più vividi
ma anche a tratti i più difficili da digerire, pervasi da una sensazione di
straziante fatalismo. Seguiamo il protagonista osservare i cambiamenti
quotidiani del padre e provare a fare continue immersioni nel passato del
genitore solo per confrontare l’uomo che è stato – forte, vigoroso, indomabile –
con l’uomo che sta diventando. C’è una sola destinazione per quest’uomo che è
stato fascista, marito, padre, ed è questo viaggio che il protagonista osserva
con estrema attenzione, analizzando le piccole variazioni e scrutando i
dettagli con attenzione, da un lato per provare a comprendere il grande mistero
della vita e della morte, dall’altro per conservare traccia di ciò che il padre
è stato e più non sarà.
Anatomia della battaglia è un romanzo complesso e duro, bellissimo ed emozionante.
David
Valentini
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