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Amore, tecnologia, scrittura, progresso nel nuovo romanzo di Giuseppe Lupo, "Storia d'amore e macchine da scrivere"

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Storia d'amore e macchine da scrivere
di Giuseppe Lupo
Marsilio, febbraio 2025

con illustrazioni di Lorenzo Fossati

pp. 224
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Immaginate di ottenere un'intervista con un personaggio enigmatico che rappresenta una delle menti più geniali nel campo della tecnologia. Immaginate di fare un viaggio fino in Danimarca per incontrarlo, e provate una certa emozione lì a Skagen, perché il novantacinquenne è in odore di Nobel e porta con sé un segreto: una macchina straordinaria, chiamata Qwerty, in onore della tastiera più comune. Nessuno sa che cosa sia precisamente, ma gli esperti preannunciano che è un'«invenzione, scoperta, neorivoluzione copernicana, genialità epocale, qualcosa che cambierà la vita degli uomini» (p. 15). In men che non si dica però la conversazione vira verso divagazioni ed excursus sulla vita privata, tra lacune della memoria, accessi inattesi al passato, brucianti riflessioni sul presente e sulla tecnologia,... Intanto il tempo corre, il direttore del giornale aspetta l'articolo perché il numero deve essere chiuso, ma non riuscite a sottrarvi al vostro intervistato. Che ha un certo fascino, va detto, per quanto non sia chiaro se sia un narratore affidabile o se l'età mescoli realtà e finzione.

È questo, in buona sostanza, che accade nella cornice del romanzo di Giuseppe Lupo, Storia d'amore e macchine da scrivere, uscito nel mese di febbraio per Marsilio. Il romanzo, rubricato sulle piattaforme digitali sotto la voce di fantascienza, è in realtà di difficile definizione. 

È certamente un'opera incentrata su una biografia fittizia: colui che è chiamato da tutti Vecchio Cibernetico è in realtà Sándor Molnár, un esule, fuggito da una Budapest ostile nel 1956 in compagnia di una donna sconosciuta inviata da chissà chi che si finge sua moglie. Con loro due, in un finto viaggio di nozze, viaggia una Lettera 22, modello arcinoto di macchina da scrivere, targato Olivetti. Da quel momento la sua Lettera 22 seguirà il Vecchio Cibernetico ovunque (anche lì a Skagen), perché gli ha portato fortuna in tante occasioni, ma anche perché dentro la sua custodia sono conservate lettere e documenti di straordinaria importanza per lui. 

Anche questi scritti vengono letti dall'intervistatore, il giornalista Salante Fossi, e vengono segnalati nel romanzo in corsivo: si distinguono lettere accorate alla sua famiglia in Ungheria (in particolare alla sorella Ezster e alla piccola Margit) durante gli anni di lontananza, ma anche messaggi per Dénes Gábor, suo insegnante, sostenitore e mentore. 

In mezzo a questo viaggio disordinato nei ricordi, di tanto in tanto il Vecchio Cibernetico si interrompe e chiede dove si trovi sua moglie Ann Lee: la sua collaboratrice inventa continue scuse per giustificarne l'assenza, dal momento che, solo una volta che si è quietato, l'anziano riesce a riprendere il racconto. Inoltre, spesso il Vecchio Cibernetico pone domande a Salante Fossi: non gli basta sapere che il giornalista viene da Sant'Antioco e che ha un genuino interesse per la sua vita; vuole che si racconti anche lui. 

In queste circostanze, è difficile per Salante comporre un articolo coeso: al centro della loro conversazione dovrebbe esserci l'invenzione di Qwerty, ma il Vecchio Cibernetico pare restio a parlarne, o perlomeno si prende tutto il tempo per ricostruire con calma la sua storia: 

Poi torna al muretto: ce la faremo prima o poi a chiudere l'intervista? 
"Non si abbatta" gli fa da sostegno la voce del Vecchio Cibernetico. "Il pomeriggio è giovane".
Il pomeriggio sarà giovane, ma il direttore del «Modern Times» non è disposto ad aspettare ancora. È un problema dell'Occidente: l'accecante rapidità con cui bisogna bruciare il tempo, il desiderio di andare in fondo a ogni cosa, svuotarla e gettarla nei rifiuti come una lattina di Coca-Cola. (p. 181)

E anche noi lettori, in verità, non dobbiamo abbatterci se per qualche decina di pagine faticheremo a raccapezzarci su ciò che ci sta raccontando Giuseppe Lupo, né intravediamo la direzione che potrà prendere l'opera. Alla fine del romanzo, se avremo dato pieno credito al patto narrativo e non avremo ceduto davanti alla lentezza e alle digressioni di alcune parti, avremo modo di distinguere con una certa chiarezza una storia d'amore poetica, a tratti avventurosa e sempre fedele, in cui occorre sostenersi giorno per giorno. Coglieremo inoltre una riflessione sul ruolo che la macchina da scrivere ha avuto nella vita e nella carriera di tante persone per decenni e su quanto invenzioni ancor più evolute potrebbero rivoluzionare la vita delle prossime generazioni. Non necessariamente in meglio. 

A volerci spingere oltre, possiamo leggere in Storia d'amore e macchine da scrivere una riflessione sulla nostra civiltà, che privilegia la velocità e difficilmente accetta di sedere a lungo per percorrere tanti fili di una vita, da districare e riordinare strada facendo. Ed è un po' questa la fatica richiesta dal romanzo, fatica che si può accettare soprattutto per la bella e colta scrittura di Giuseppe Lupo. 

GMGhioni