«Sono fortunata a stare dalla parte giusta, dalla parte della vita, dalla parte in cui le donne e gli orfani vengono salvati e curati. Che fortuna poter lavorare qui. Lavorare bene, fare del bene, in un luogo tranquillo» (p. 96). Queste parole vengono scritte nell'ottobre del 1944 sul suo diario da Schwester Helga, infermiera presso l'Heim Hochland in Baviera, dove vengono raccolte donne incinte, puerpere e bambini orfani. Una volta cresciuti, saranno questi bambini a infoltire le fila dell'esercito del Reich e, dunque, nell'ottica nazista è fondamentale seguire fin dalla gravidanza la sorte di questi bambini autenticamente ariani che dovranno portare a una società migliore. Cibo nutriente, cure e letti comodi non devono mancare né a loro né alle madri. Il fine? Un futuro migliore per gli ariani.
C'è chi ci crede? Sì, e lo capiamo subito leggendo il punto di vista di Helga, giovane donna tutta dedita alla causa, che si emoziona per l'arrivo del Reichsführer per la cerimonia di imposizione del nome ai bambini e che si dedica notte e giorno ai pazienti. Non si creda però che Schwester Helga sia una mera esecutrice, senza un'anima: in più occasioni dimostra la sua umanità. Ed è proprio quando gli ordini si scontrano con il suo buon senso e con l'etica professionale che sembra incrinarsi almeno parzialmente la sua dedizione al Reich, e il sonno si allontana dalle sue notti.
Diverso è il punto di vista di una delle donne ricoverate, Renée, che non parla nemmeno tedesco, dal momento che lei si esprime solo in francese, ma si è recata lì su indicazione di Artur, il giovane soldato di cui si è innamorata. Tante sono le promesse che Artur le ha fatto, ma l'unica verità che percepiamo fin dall'inizio del romanzo è la solitudine di Renée, incapace di comunicare con le altre donne, ma svelta nell'apprendere scampoli di parole e nell'intuire messaggi non verbali dai gesti, dalle espressioni ma anche dalle atmosfere nell'Heim.
La terza prospettiva è quella di Marek, un prigioniero che ha vissuto a Dachau e sa a cosa possono arrivare i tedeschi; trasferitosi lì per aiutare a costruire nuove ali dell'ospedale-rifugio per giovani madri tedesche, cerca in ogni modo di arraffare pane e cibo, e intanto pensa a come tornare dalla donna che ama, Wanda, incinta di suo figlio:
«si chiede se sia meglio restare o tentare di fuggire. Ha calcolato le possibilità a suo favore, vestito di stracci, col suo tedesco approssimativo, le probabilità di attraversare i campi senza farsi notare. Quanto tempo ci vorrebbe prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza: trenta minuti, tre quarti d'ora al massimo? (p. 37)
Di Marek percepiamo il dissidio interiore, diviso com'è tra tentare la fuga (pur sapendo di avere pochissime possibilità di cavarsela) e sopravvivere lì, trascinandosi giorno dopo giorno dentro ai suoi cenci, sperando in una ormai utopistica liberazione. I ricordi di Dachau si alternano al suo presente, meno difficile ma comunque durissimo: l'esperienza del Lager non ha fatto altro che abbrutirlo, cambiare le sue priorità, mettendo al primo posto riempire lo stomaco, a qualsiasi costo.
Accanto a questi personaggi principali, conosciamo altre storie, che rendono estremamente varia e dinamica la narrazione. La quotidianità regolata quasi militarmente di queste giovani donne e dei loro bambini è passata al vaglio dalle infermiere, sfiancate dall'aumento esponenziale del numero di ricoverati, specialmente con il ritiro progressivo delle truppe tedesche e la conseguente chiusura di altri Heim. Inevitabilmente, come è giusto che sia in un romanzo, noi lettori siamo portati a parteggiare specialmente per i tre protagonisti, concentrandoci su quale potrà essere il loro destino, e l'autrice Carolien De Mulder sa bene come tenere desta l'attenzione, benché le storie siano prive di sensazionalismi. Traspare piuttosto un desiderio di verosimiglianza in questo romanzo di trama, semplice nella forma ma denso di riflessioni. L'autrice non giudica e non denuncia: è la frizione tra le scene, insieme alla sobrietà con cui vengono presentati concetti per noi raccapriccianti, a creare una presa di coscienza dolorosa eppure necessaria e a farci scongiurare: mai più.
GMGhioni
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