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«E mi incanto nella mia rabbia»: "L'estate che ho ucciso mio nonno" di Giulia Lombezzi

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L'estate che ho ucciso mio nonno
di Giulia Lombezzi
Bollati Boringhieri, marzo 2025

pp. 320 
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


C'è una soglia - perlopiù indesiderata - che, una volta superata, ci fa dire: eccoci nell'età adulta. Ed è accompagnata da nuove responsabilità, un gravame di preoccupazioni, un'inquietudine che toglie il sonno notturno e fa meditare di più sull'invecchiamento e la morte. Per la sedicenne Alice, protagonista di L'estate che ho ucciso mio nonno, la soglia è rappresentata dall'arrivo in casa di nonno Andrea. Rimasto vedovo e ormai con importanti difficoltà nella deambulazione, l'uomo è stato portato via dalla sua casa di Cogoleto ed è stato adagiato su un letto apposta per lui a Milano, a casa della figlia Marta. 

Per l'occasione, l'appartamento è stato rimesso a lucido, "ripulito" di tutte quelle tracce di installazioni e sculture a partire da materiali di riuso che costituiscono un sostentamento per la figlia, oltre che opere d'arte. Il motivo? Il padre non capirebbe. Già da questa prima preoccupazione si capisce una realtà che si farà via via sempre più chiara davanti agli occhi attoniti di Alice: Marta è completamente succube di suo padre. Alice ha visto poco di frequente il nonno, soprattutto in estate, per cui fatica a comprendere cosa porti sua mamma a voler essere diversa da chi è davvero. E quando l'anziano arriva da loro, è chiaro che tutto cambierà: bisognerà accudirlo, accompagnarlo in bagno e lavarlo, accettare che la stanza venga appestata dal suo fumo di sigaretta, tollerare il suo continuo borbottio e i lamenti su qualsiasi cosa,... Accettare, infine, che la sua vecchiaia porti tutti gli altri a gravitargli attorno. 

Alice, almeno all'inizio, è profondamente divisa tra quel suo istintivo ribrezzo per il nonno e il senso di colpa che ne deriva. Ma ci vuole un po' perché comprenda fino in fondo quanto le giornate siano completamente diverse, ora che in casa nonno Andrea esercita uno strapotere intriso di pretese da capofamiglia, sacramenta su qualsiasi cosa e svilisce di continuo Marta. Neanche l'arrivo di una badante può placare fino in fondo Alice e la madre, perché si tratta sempre di una soluzione transitoria, dovuta al comportamento disdicevole dell'uomo. 

Quel che fa più male ad Alice però è la distanza che si interpone tra lei e sua madre: dove sono finite le loro abitudini? Le confidenze? La complicità di due donne che hanno imparato a vivere bene insieme, dopo la separazione dal padre Fabrizio e la partenza della sorella maggiore Federica per la Spagna? Questo smuove in Alice sentimenti difficili da gestire, al punto da portarla a sfogare la propria solitudine nel cibo o nell'autolesionismo. Neanche i suoi due più cari amici, Angiu e "Cane", la possono aiutare a tenere a freno la rabbia che sente, vero Leitmotiv che percorre le pagine di tutto il romanzo. 

La situazione minaccia di collassare quando, in estate, il nonno viene riportato nella casa a Cogoleto: nemmeno il mare (d'altra parte visto da lontano, dal momento che il palazzo è in periferia, ai piedi della collina) può portare refrigerio o spensieratezza. Alice macera dentro di sé un odio sempre più acceso per il nonno, specialmente quando attraverso una loro cugina scopre che l'infanzia e l'adolescenza di sua madre sono state molto diverse da quanto raccontato. Il «non mi sarei aspettata che se lo metteva in casa» (p. 121) sfuggito un po' imprudentemente alla cugina Manuela diventa un'ossessione per Alice, che si domanda a più riprese: «Cosa ti ha fatto il drago, mamma?» (p.128). Alice, nella fiaba che sta creandosi a suon di rivelazioni, si sente come il principe che dovrebbe liberare sua madre, la principessa, dalla presenza di un mostro in casa. Ma come? Uccidendolo, forse? E quindi Alice dovrebbe trasformarsi a sua volta in un mostro? 

Leggendo L'estate che ho ucciso mio nonno avvertiamo costantemente una tensione, che è frutto della scelta di Giulia Lombezzi di filtrare il racconto attraverso gli occhi della sua protagonista e io narrante. In questo modo la rabbia di Alice è palpabile, così come la sua insoddisfazione, la frustrazione per un corpo grande, che riempie il più possibile per provare a colmare un vuoto, mentre la madre dall'altra parte deperisce e si assottiglia pericolosamente. Percepiamo la sua voglia arrabbiata di essere amata, a volte da un ragazzo qualsiasi; la violenza repressa che si rivolta poi contro di sé è una bomba inesplosa ma è lì, facile da innescare. 

Questo romanzo non è una lettura semplice, perché più di una volta rivoluziona un pregiudizio in Italia ancora diffusissimo: la famiglia è sacra. E in teoria dovresti amare tutti i tuoi parenti anche solo per via del legame di sangue. Giulia Lombezzi invece presenta una situazione che scardina a una a una le certezze: meritarsi il bene di qualcuno dipende dal vissuto in comune, da cosa si è fatto, e non da un ruolo preimpostato. Anche per questo L'estate che ho ucciso mio nonno permette di entrare in una prosa arrabbiata, a tratti sarcastica, figlia del nostro tempo, e di guardare un presente tutt'altro che rifulgente con lo sguardo (che vorrebbe essere disilluso ma qualche volta spera) di una sedicenne che mette in dubbio tutto, tranne l'amore per sua madre.

GMGhioni