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#PercorsiCritici - n. 77 - Poche parole per ispirare un sogno: libri con titoli ad effetto

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Le case editrici lo sanno bene, i fattori che concorrono al successo di un libro sono molteplici: una trama avvincente, personaggi significativi, un buon passaparola... Insomma, sono davvero tanti gli elementi che possono contribuire alla diffusione di un romanzo, non ultimo la scelta di un buon titolo. Infatti, a quanti di noi sarà capitato di girovagare tra gli scaffali di una libreria, senza un'idea precisa, e poi di essere attratti da un titolo particolarmente affascinante? 
Gli esempi nella storia della letteratura sono davvero molti: se pensiamo a Italo Calvino, è innegabile il potere di certi titoli, che hanno il potere di suggerire imprese epiche e meravigliose, oppure far intravedere personaggi immaginifici e straordinari. Si pensi a Il barone rampante (Einaudi, 1957), Gli amori difficili (Einaudi, 1970), Il sentiero dei nidi di ragno (Einaudi, 1947)... fino ad arrivare a proporre un titolo che altro non è che la parte di un periodo ipotetico, una condizione che sembra aprire le porte all'immaginazione più alta: Se una notte d'inverno un viaggiatore (Einaudi, 1979)... Cosa accadrà, cosa può succedere? 
Altrove, in altri tempi e altri luoghi geografici, possiamo citare, ad esempio, Elsa Morante, con Menzogna e sortilegio (Einaudi, 1948): due parole per racchiudere tutto l'intreccio di passioni e pulsioni di un romanzo familiare senza tempo; oppure ancora Luciano Bianciardi, con La vita agra (Rizzoli, 1962). Un altro cult, da citare, è L'insostenibile leggerezza dell'essere (Adelphi, 1985), di Milan Kundera, titolo che rende fedelmente quello in lingua originale e costituisce una frase che comunica, tramite un potente ossimoro, un forte contrasto esistenziale che ispira le pagine del libro.
Tutti questi titoli ci fanno capire come anche poche parole abbiano il potere di raccontarci una storia, una visione, muovendo in noi una curiosità irresistibile, che ci fa dire: cosa si racconterà in quelle pagine, che storia mi attenderà?

Ecco, anche in tempi più recenti il potere evocativo dei titoli non si è affievolito e ancora oggi una buona scelta può fare la differenza, anche  per la persistenza mnemonica. È il caso di Effimeri (Bompiani, 2022), di Andrew O'Hagan, libro ambientato a Glasgow, nel 1986, in cui il titolo rappresenta bene il ricordo della giovinezza dei protagonisti, i quali sono pieni di voglia di rendere eterni quei momenti. Tale sensazione è racchiusa anche nel titolo originale, Mayflies, termine che indica una particolare categoria di insetti, le effimere o efemerotteri.

E che dire poi di Un giorno questo dolore ti sarà utile (Adelphi, 2007), di Peter Cameron, in originale Someday this pain will be useful to you? Citazione tratta dagli Amores di Ovidio ("perfer et obdura: dolor hic tibi proderit olim"), il libro racconta del percorso di crescita di James Sveck, un ragazzo alla ricerca del suo posto nel mondo e il titolo sottolinea bene la complessità di tale viaggio, non sempre sereno.

Un altro libro che racconta della formazione di un adolescente è il celeberrimo Il giovane Holden (Gherando Casini Editore, pubblicato come Vita da uomo, 1952), in cui il protagonista omonimo è stato espulso dalla scuola che frequenta e decide quindi di iniziare un viaggio alla ricerca della propria strada passando anche attraverso il crollo, più o meno volontario, degli idoli che portava con sé. Questo libro, poi, rappresenta un esempio straordinario di come talvolta sia davvero arduo rendere in un'altra lingua il titolo originale. Se infatti, in ambito cinematografico, tutti citano sempre il caso di The eternal sunshine of the spotless mind, reso in italiano con Se mi lasci ti cancello, anche Il giovane Holden in originale presenta un titolo piuttosto diverso: The catcher in the rye. Tale frase è in riferimento a un passaggio cruciale del libro, in cui la sorella chiede a Holden cosa voglia fare da grande. Nel dialogo il ragazzo cita una strofa di un componimento attribuito a Robert Burns, Comin' through the rye, storpiandone involontariamente alcune parole. La difficoltà di resa in una lingua che non avesse come riferimento la canzone di Burns è altissima e diverse sono state le soluzioni adottate dai traduttori, che vi invitiamo ad approfondire.

E che dire invece di Tutte le giostre che ho chiamato casa (Giulio Perrone Editore, 2024)? Se parliamo di tematiche generazionali, il libro di Michela La Grotteria riesce in poche parole scelte con cura a suggerire la sensazione di ricerca e contemporaneo spaesamento che può attraversare una ragazza che va alla scoperta di quale sia il proprio posto nel mondo.

Un altro autore che, in tempi meno recenti ma comunque contemporanei, ha prodotto titoli fantasiosi che hanno sicuramente il potere di incuriosire è David Foster Wallace. Se Infinite Jest (Fandango, 2000) è stato pubblicato col titolo originale (che altro non è che una citazione dell'Amleto, in cui il principe danese pronuncia la seguente frase: "L'ho conosciuto Orazio: un compagno di scherzi infiniti" - infinite jest, appunto), va detto che esso ben si accorda alla mole (lunga oltre mille pagine e corredata di 388 note) e alla struttura, labirintica e complessa, tale da rendere l'esperienza di lettura complicata e davvero molto ardua. Sempre di Wallace ricordiamo anche Una cosa divertente che non farò mai più (A supposedly fun thing I'll never do again, 1997), pubblicato in Italia nel 1998 (Minimum Fax), un libro che prende le mosse da un reportage su una settimana di crociera ai Caraibi, commissionato allo scrittore dalla rivista Harper's Magazine. Se il titolo dell'articolo era un molto più didascalico Shipping out, quello scelto dal romanzo stimola una certa quota di curiosità e, una volta conosciuto l'argomento, mette in luce lo sguardo dello scrittore.

Ci sono titoli che arrivano dritti a comunicarti qualcosa che tutti i lettori sanno, ma a cui talvolta non si fa molta attenzione: ogni racconto, sia esso reale o immaginario, vive del punto di vista di chi lo racconta. La versione di Barney (Adelphi, 2000), in originale Barney's version (1997), di Mordecai Richler fa proprio questo: mette sulla scena subito la voce del narratore, ovvero il protagonista stesso che ci racconta la propria vita. Ogni pagina porta con sé il dilemma del narratore inattendibile e ci instilla il dubbio della veridicità della confessione.

E sulla scena italiana? Abbiamo già citato diversi casi, ma possiamo andare avanti e portare all'interno della nostra rassegna - sicuramente parziale - altri titoli meritevoli di attenzione: risulta curiosamente lungo Tutte le ragazze con una certa cultura hanno almeno un poster di un quadro di Schiele appeso in camera, di Roberto Venturini (SEM, 2017), un titolo che suggerisce un'immagine precisa, pulita, e che sicuramente incuriosisce perché diverso da tutti gli altri.

Gianrico Carofiglio, uno dei maestri delle parole, ha pubblicato, ad esempio Il bordo vertiginoso delle cose (Rizzoli, 2013), un romanzo che indaga la vertigine delle passioni e degli inganni dell'esistenza, a cui spesso ci aggrappiamo per non cadere nella disillusione.

Ci sono infine titoli di libri che giocano con le locuzioni e le frasi fatte, come il famoso Atti osceni in luogo privato (Feltrinelli, 2015), che manipola e rivede la frase che indica l'esecuzione di un reato, ovvero "atti osceni in luogo pubblico".

Per concludere, quindi, vediamo come le parole possano davvero suggestionare e attrarre, rendendo irresistibile un libro, il quale si configura, grazie al potere dell'immaginazione, come una domanda, a cui si può dare una risposta solo leggendo.