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«Il ritorno è solo un'illusione: la misera illusione di chi non ha altro a cui aggrapparsi»: "L'antico amore" di Maurizio De Giovanni

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L'antico amore
di Maurizio De Giovanni
Mondadori, febbraio 2025

pp. 240
€ 19,50 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


L'antico amore non è un romanzo biografico su Catullo, come ho letto in giro. L'antico amore è un romanzo formato da tre storie che si intrecciano e che, in qualche modo che scoprirete alla fine del libro, riecheggiano entro i versi catulliani. 

Maurizio De Giovanni ci presenta subito, nel primissimo capitolo, un io narrante che non si presenta né ha bisogno di presentazioni, ovvero Catullo: è il suo tormentato amore per Clodia (Lesbia in poesia) a rendere immediatamente riconoscibile il più celebre dei poetae novi nelle primissime pagine. De Giovanni lascia che in un'atmosfera notturna il poeta confessi un tormento interiore che lo divora. Tormento che conosce bene chi ha vissuto tutta la parabola di un amore, fino all'addio. 

La seconda vicenda riguarda invece la quotidianità di un anziano che solo a tratti comunica e sembra connesso col presente, e della sua badante, Oxana: la donna sa bene che «assistere un anziano [...] è sempre più rischioso, l'anziano si consuma, bisogna conservarlo in vita finché si può, bisogna leggergli negli occhi quello che non chiede, non perderlo mai di vista» (p. 15). Il suo è lo sguardo accudente di una donna moldava che ha rinunciato alla sua patria per cercare lavoro in Italia: con discrezione, osserva i figli che vengono a trovare il vecchio padre, chi accudendolo amorevolmente, come la figlia; chi mantenendo con lui un rapporto ondivago, spesso fatto di silenzi, come uno dei figli. 

La terza storia riguarda un professore universitario, Marco, ancora giovane, ma profondamente in crisi: benché si dedichi allo studio della poesia catulliana, che ama profondamente, pochi studenti sembrano lasciarsi contagiare dalla sua stessa passione. Le lezioni, se non vengono disertate, sono seguite distrattamente, e gli studenti sono spesso svogliati e fanno interventi al limite della maleducazione. Normale, dunque, che Marco si chieda se questa è la vita che sognava; tanto più che a casa le cose vanno male, perché la crisi con la moglie Silvana è gravissima, e lei gli rivolge parole di questo genere: 

«La verità è che hai fallito, professore. Questa è la verità. Che quello che fai è inutile, che non cambi niente nel mondo in cui siamo vivi, in questo mondo qui. Che non sei capace di dare una prospettiva decente né a tua moglie né ai tuoi figli. La verità è che hai fallito. Che sei un fallito». (p. 76)

Se Marco è rimasto fino ad allora per i figli ancora piccoli, è anche vero che si sente stringere alla gola da un nodo di profonda insoddisfazione. Spera dunque in una svolta, un segno, qualcosa che lo riconfermi nelle scelte che ha fatto o che lo porti con decisione altrove. 

In ognuna delle tre vicende, l'amore è declinato diversamente, ma c'è, c'è stato o ci sarà, a seconda dei casi. Amore come passione devastante, ma anche come foedus che il tempo non può erodere; amore per un padre, per i figli; amore per uno sconosciuto che si accudisce e che si impara ad ammirare, sempre con rispetto. Ma anche amore per la scrittura, per l'insegnamento e per la letteratura, come leggiamo in queste pagine dove a parlare è Catullo: 

«Non sono qui per tornare a contemplare il mondo che è stato anche il mio. Sono qui e basta. 
In attesa. 
Il motivo è comprendere, prima che la vita si estingua, la ragione per cui l'ho vissuta.
Io lo so che il mio tempo è finito, sai.
Non lo so da ora. Lo so da quando sono partito, ormai oltre un anno fa.
Lo so per una ragione che non potrebbe essere più evidente, dato che per me è fondamentale: non ho più scritto. 
Sono sempre stati i miei versi il respiro dell'anima. Da sempre, da ben prima di te». (p. 157)

Se la scrittura è molto piacevole e mantiene l'abituale scorrevolezza a cui ci ha abituato De Giovanni, è chiaro che nel lettore permane una domanda latente: quando e come si raccorderanno queste tre storie? Perché l'autore le ha scelte, tra tante? La risposta sta nelle ultimissime pagine, e tocca dunque al lettore ripercorrere il libro a ritroso in cerca di indizi che possano confermare l'interpretazione del finale. 

Stilisticamente, notiamo un notevole scarto: trasognate e liriche sono le pagine dedicate a Catullo (e se ne vorrebbero molte e molte di più), di cui percepiamo il perpetuo scandaglio interiore grazie al monologo incessante rivolto all'amata lontana; più concrete, fortemente narrative e dialogiche sono invece le parti dedicate a Oxana, al Vecchio e a Marco. Per quanto possa cambiare lo stile, però, resta trasparente e lucido lo sguardo di De Giovanni sul mondo degli anziani e sulla fragile forza del loro passato, su cui si puntellano attraverso i ricordi. Interessante e mai giudicante è la riflessione sui pregiudizi, che possono portare un uomo o una donna a compiere scelte che provocheranno poi la propria infelicità. La felicità, a volte, è rievocabile solo nei ricordi idealizzati perché sfilacciati dal tempo. 

GMGhioni