Un pomeriggio parigino come tanti altri, solito affanno, solite corse per una donna che lavora e ha una famiglia. Il ritorno a casa e, prima ancora di potersi togliere il cappotto, il telefono squilla, con un suono improvviso e imperioso. Vibra nella tasca, impaziente di comunicare la notizia. La donna, prima di rispondere, osserva il prefisso che è quello di una città lontana, ma a lei ben nota. Dall'altro capo una voce maschile si presenta come un ufficiale di polizia giudiziaria e seccamente la convoca il prima possibile a Le Havre per interrogarla su un caso che la riguarda: sulla spiaggia della città è stato ritrovato il cadavere di un uomo che addosso non aveva nulla, tranne un biglietto con il suo numero di telefono. Ma lei da Le Havre se n'è andata parecchi anni prima e là non ha più legami, più nessuno.
Inizia così Giorno di risacca, l'ultimo romanzo di Maylis de Kerangal, scrittrice francese tra le più amate in patria e non solo, pubblicato in Italia da Feltrinelli. L'avvio è quello di un noir, un corpo senza nome e un alone di mistero: chi era quell'uomo? Perché aveva il suo numero di telefono in tasca? Cosa ci faceva a Le Havre? Ma a mano a mano che ci si addentra nella lettura ci si renderà conto ben presto che l'atmosfera del giallo è solo una delle tante facce del romanzo e, forse, nemmeno la principale. Si entrerà subito in sintonia con la donna chiamata a Le Havre. Di lei non conosceremo mai il nome, ma verremo a conoscenza di tanta parte della sua vita più intima, dei suoi pensieri, del suo passato, della sua relazione con quella città che ha lasciato tanti anni prima ma che ha una personalità così forte che non può essere dimenticata. Chi nasce in quella città di vento, di acqua, di pioggia, di tempeste e di cieli spazzati si porterà dentro per tutta la vita quegli elementi. Sarà lei stessa a raccontarcelo perché tutto il romanzo è scritto in prima persona.
Fin da subito si intuisce che Le Havre non è solo uno sfondo sul quale ambientare una vicenda. La città si appropria imperiosamente di un ruolo da protagonista fin dal momento in cui la donna, scesa dal treno per presentarsi in commissariato, viene investita dall'onda dei ricordi che fanno a botte con la metamorfosi che ogni città subisce con il passare degli anni.
Le Havre aveva ancora slanci di crescita adolescenziale. Ma la città di cui sono figlia rimaneva indifferente a tutto questo [...]. Lei resisteva alla sua stessa urbanistica. Viveva altrove, sotto le nuvole e nel vento. M'interessavano solo i dati alloggiati nella scheda della mia memoria, le linee sotterranee e le vedute sorpassate, gli antichissimi punti di riferimento - il cielo leggermente più chiaro a ovest, le gallerie del vento, la sagome dei fumi [...]. Da quanto tempo non tornavo a Le Havre. (p. 23)
Al commissariato il poliziotto le mostra le foto del corpo di quell'uomo trovato sulla spiaggia. No, non lo conosce, ma, al tempo stesso, non può giurare di non averlo mai visto. Chissà... E se avesse a che fare con il suo passato? Non può dirlo con sicurezza, non lo sa. Ed è proprio questo limbo di incertezza, di dubbio, di impossibilità di escludere a priori un legame, seppur labile, con quel corpo, a restituire l'essenza stessa del romanzo. Che è il tentativo di raccogliere in un'unica giornata (solo questa vivremo con la protagonista) un tempo lunghissimo che ritorna fino ai più remoti brandelli del passato, che tenta di riagganciarsi al presente (le incursioni sottoforma di messaggi dalla famiglia) o si estende al futuro non ancora conosciuto, nei pensieri della donna sulle forme che prenderà la sua professione di doppiatrice. Un racconto dal tono quasi autobiografico che è anche il tentativo di riunire tutti i frammenti di una vita in un significato, in una visione ordinata, quasi finalistica. Può essere, quell'uomo, uno di questi piccoli pezzi? Schegge di passato che tornano. Come i ciottoli che l'onda della risacca lascia sulla spiaggia. L'immagine dell'onda tornerà spesso tra le righe del romanzo, onde vere e metaforiche che travolgeranno, entrambe, la protagonista.
La vita della donna scorre parallela e si compenetra a quella di Le Havre, che partecipa al gioco del tempo "stirato": tornano nelle pagine le immagini precedenti ai bombardamenti impietosi che l'hanno rasa al suolo nel 1944. Oltre 500 bombardieri degli Alleati colpirono ripetutamente la città portuale fino a cancellarla quasi completamente. La città non fu ricostruita com'era, ma totalmente reinventata, velocemente perché serviva dare case ai sopravvissuti. L'architetto Auguste Perret trovò la soluzione nell'utilizzo del cemento armato per moduli abitativi razionali. Il risultato fu un'architettura pura e moderna, patrimonio Unesco dal 2005, in dialogo con il mare e con il cielo la cui luce si riflette sui palazzi di calcestruzzo, modulandosi in rifrazioni prismatiche sempre diverse. Vale la pena di spendere qualche riga per questa città che dà al romanzo un'impronta così forte.
La prosa di Maylis de Kerangal è densa, polisemantica. L'autrice sceglie di esprimersi per capoversi lunghissimi, si possono anche percorrere due-tre pagine senza incontrare un punto. All'interno di queste frasi infinite ci sono pensieri, riflessioni, descrizioni, ricordi, discorsi indiretti in un fluire continuo che il lettore riconosce subito come la cifra particolare della scrittura. Che però non dimentica la struttura del romanzo. Il flusso narrativo non si trasforma in uno stream of consciousness che scioglie la trama all'interno di se stesso, si accompagna all'architettura del racconto che rimane ben solida.
Non pare facile tradurre una prosa così ricca e personale e questa difficoltà traspare in alcune parole qua e là che devono essere costate più di un pensiero alla brava traduttrice (una per tutte, l'aggettivo "insituabile", che ricorre due volte e che, in italiano, suona meno efficace rispetto al francese). Altre volte la frase, e quindi la traduzione, si concretizza in immagini visive come la descrizione della pioggia sottile che tratteggia la città di traverso (p. 19) e sembra di vedere un disegno d'arte grafica. E forse non è un caso perché il dialogo fra arti è costante nel libro, la scrittura, la lettura, la parola, l'architettura, il disegno, lo sport, la grafica.
La giornata trascorrerà e il senso del romanzo lo si troverà nel dialogo con il proprio passato, nelle emozioni che si credevano seppellite, nel tornare se stessa, ma nel contempo cambiata. E come lettori ci troveremo a tirare le fila di un romanzo giallo che nel frattempo ha virato verso un'altra direzione e a fare i conti con le sensazioni che la lettura ha provocato.
Sabrina Miglio
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