Traduzione di Olga Dalia Padoa
Credo che chi odia si faccia del male. Eppure odio Israele. Non odio gli israeliani. […] Odio Israele come potenza occupante. Odio Israele perché mi mancano mia madre e i miei fratelli e sorelle, e i miei amici, la mia infanzia, Gaza. Non voglio essere essere un turista nella mia stessa terra. Voglio imparare a conoscerne ogni parte, sentirla e seminarvi amore e speranza, andare in giro con mio figlio dove mi pare nel mio paese, nuotare in mare insieme a lui dovunque voglia, voglio viaggiare dovunque o in nessun luogo senza che qualcuno mi metta in prigione e mi umili. […]Voglio la mia geografia e la mia storia. Voglio i miei sogni. Non voglio sognare soldati. Non voglio vendicarmi sugli ebrei e augurargli di venire nuovamente perseguitati. Né loro né noi.Voglio la libertà di volere. (pp. 56-57)
Una storia vera, una storia d’amore racchiusa in un romanzo dal titolo emblematico, Maqluba, un termine arabo che traduce la parola “rovesciato, sottosopra” e indica un famoso piatto tipico arabo-palestinese in cui gli strati alternati di carne, riso e verdure vengono poi capovolti sul piatto di portata. I due innamorati, Sari e Osama, protagonisti di questa storia, sono costretti a rimettere sempre in gioco le loro prospettive, ostacolati dalla situazione politica dell’area da cui provengono, costretti a fare sempre i conti con la loro identità nazionale: lei rappresenta lo Stato occupante e aggressore e lui il popolo occupato. Sari Bashi ha la doppia cittadinanza, americana e israeliana, è un’avvocata esperta di diritto umanitario internazionale, mentre Osama Fahed è un professore universitario nato a Gaza, spostatosi poi a Ramallah. Maqluba è il romanzo dove si alternano le loro voci che raccontano, sotto forma di diario, la storia di un amore sofferto, lacerato, ma forte e autentico.
Nel romanzo Sari e Osama mostrano quanto sia difficile amarsi, anche se appassionatamente, quando bisogna in continuazione rimettere in gioco la propria identità culturale, ogni giorno, nella quotidianità delle piccole cose, andare al di là delle differenze e scoprire invece le profonde somiglianze e analogie che intercorrono naturalmente tra cultura ebraica e cultura araba. È uno sforzo a volte quasi impossibile: la donna amata purtroppo, oltre all’inglese, la lingua che consente ai due amanti di comunicare tra loro, si esprime nelle telefonate che fa ai suoi amici e colleghi nella lingua «delle guardie carcerarie» (p. 107), che ricorda a lui le umiliazioni subite in carcere, le perquisizioni continue a ogni posto di blocco al confine. Osama lo confessa:
All’età di 21 anni trascorsi un anno in prigione per aver distribuito ai residenti dei campi profughi volantini con istruzioni su quali prodotti boicottare e quando scioperare, misure per dimostrare la nostra coesione e determinazione nel voler controllare il nostro quartiere. Da allora la solidarietà si è disintegrata, i palestinesi sono stati consumati dalla divisione interna in fazioni e io mi sono ritirato dalla vita politica. Mi dico che il mio lavoro di accademico è un atto di resistenza. (p. 95)
Ma come si sono conosciuti Sari e Osama? La prima a raccontarcelo sin dalle prime pagine è proprio Sari
Quando ho incontrato Osama, era intrappolato nella città di Ramallah, in Cisgiordania. Ramallah era la sua casa e la sua prigione. (p. 9)
La giovane era avvocata di Osama, che all’epoca della loro conoscenza era sposato con Nisrin la quale gli aveva dato anche un bambino, e aveva bisogno di continui permessi dall’esercito israeliano per potersi spostare a Londra per continuare gli studi universitari e tornare periodicamente a Ramallah allo scopo di ricongiungersi ai cari. Sari aveva fondato una organizzazione nel 2005 che si occupava di diritti umani, chiamata Ghiscià, allo scopo di fornire assistenza legale ai palestinesi che avevano bisogno di permessi di spostamento per motivi di studio, di lavoro e cure mediche.
Eravamo un’avvocata e un cliente. Lui era diverso da qualsiasi altro uomo, israeliano o palestinese, mai incontrato prima. Era tranquillo, gentile, intelligente, sensuale. […] sapevamo entrambi che ciò che desideravamo ardentemente era vietato, che non poteva accadere. Ma più ci sforzavamo di restare separati più trovavamo modi per stare assieme. (p. 11)
La relazione amorosa inizia più tardi però, dopo che Osama divorzia da Nisrin: quel matrimonio con una donna palestinese come lui non supera la prova della vita… Cosa potrà mai nascere da questo nuovo amore così ostacolato, così impossibile?
Maqluba comincia a prendere forma nel 2010 a quattro mani e contiene le vicissitudini realmente vissute dai due protagonisti, i loro sentimenti, i loro pensieri e le loro prospettive continuamente rovesciate. Sari, ad esempio, per potersi spostare liberamente, usa le sue identità in maniera interscambiabile: se si reca nei territori occupati per raggiungere l’amato a Ramallah, deve cercare di nascondere il più possibile la sua cittadinanza, la sua lingua e la sua cultura ebraica, esibendo invece quella americana. Gli arabi occupati detestano gli occupanti e la giovane, che tra l’altro è un’atleta - detiene il record israeliano femminile di ultramaratona da 216 km - quando va a vivere per qualche tempo a casa di Osama, deve stare attenta a non allontanarsi troppo durante i suoi allenamenti mattutini di corsa per evitare di essere presa di mira o da guardie israeliane che potrebbero farle troppe domande o dai cittadini palestinesi occupati che potrebbero lanciarle pietre o insultarla una volta accortisi che è una israeliana e non una “turista” americana. Queste difficoltà vengono abilmente superate da Sari, nonostante il fatto che sopprimere la propria identità nella città dove vive l’amato, ricordarsi ogni giorno che si è parte del popolo che sta opprimendo Osama e i suoi cari, generi un logorio emotivo non di poco conto. Vivere ogni volta questo dilemma provoca in Sari una crisi di identità, tanto da non sapere più cosa o chi vuole essere.
Non sono però gli ostacoli di tipo logistico e legali quelli che mettono in crisi il loro amore, quanto piuttosto il desiderio di Sari di avere figli da Osama: il giovane non vuole, ha paura.
Ho paura di essere legato a un bambino.Quando ho fatto l’esercizio suggerito da Sari e ho immaginato cosa sarebbe successo tra dieci anni se avessi accettato di avere un figlio, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata “divorzio”. Mi conosco. Non posso avere un altro figlio che non sarò in grado di proteggere, non posso dare ai miei figli un padre che potrebbe essere portato via da un momento all’altro.Ma la amo così tanto.Mi sento perso. (p. 319)
Riuscirà il loro amore a superare le crisi di identità di Sari e le paure di Osama?
Maqluba è un romanzo coinvolgente, si fa leggere con piacere e la scrittura di tipo diaristico a doppia voce dà modo al lettore di addentrarsi dentro i pensieri, le paure, la rabbia dei due innamorati. Chi legge non potrà rimanere indifferente al dolore e alle gioie provate da Sari e da Osama, ma anche alla loro indignazione di fronte alla situazione dei territori occupati illegalmente da Israele. Nelle pagine dove parla di suo padre, Sari sottolinea più volte l’incomunicabilità che intercorre nel rapporto con lui, in quanto lei è profondamente antisionista, e lui invece più conciliante con l’estremismo di Israele. Bashi ha scritto un libro adatto a un vasto pubblico di lettori, la sua scrittura è immediata, senza retorica: Maqluba è un romanzo che parla d’amore, un amore unico, ma sottolineo con forza, non è un libro melenso. I fatti narrati comprendono grossomodo il primo decennio degli anni Duemila; sono, quindi, ben lontani dal massacro cui stiamo assistendo oggi dal 7 ottobre 2023, eppure la testimonianza di Sari e Osama mostra quanto sia difficile in quell’area la convivenza tra israeliani e arabi e quanto la Palestina sia dilaniata dalle fazioni politiche. Il loro Maqluba è, quindi, un romanzo assolutamente attuale, consigliato specialmente a chi vuole leggere una storia vissuta da chi ha dovuto fare i conti sulla propria pelle della realtà israelo-palestinese prima dell’ultimo anno e mezzo, sporco di sangue.
Sari Bashi nelle Note all’edizione italiana Voland, racconta ciò che accaduto a lei, a Osama e ai familiari di lui:
Tante cose stanno cadendo a pezzi in Israele-Palestina in questo momento [notate l’unione con trattino delle due realtà identitarie, ndr]. Odio, paura, traumi e dolore domininano il panorama sociale, politico ed emotivo. Se il futuro sarà migliore o peggiore dipende da noi. (pp. 352-353)
Dimenticavo! Se volete la ricetta della maqluba, la troverete nel libro, insieme ad altre. Osama e Sari hanno arricchito spesso le pagine con gli aromi e i profumi della loro terra.
Marianna Inserra
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