Aprire gli occhi su un mondo nuovo e plurale a cavallo tra Oriente e Occidente: l’Occiriente. Il nuovo saggio di Renata Pepicelli, "Né Oriente né Occidente"

 



Né Oriente né Occidente
di Renata Pepicelli
Il Mulino, 28 febbraio 2025

pp. 168
€ 16,00 (cartaceo)
€ 8,39 (eBook)

Dobbiamo trovare forme altre di convivenza nel riconoscimento reciproco. Sono necessarie parole diverse per raccontare questa fase dell’Europa e dell’Italia. Forse è il tempo di provare a scrivere una storia di questo mondo nuovo che non è né Occidente né Oriente. (p. 14)

Né Oriente né Occidente è un saggio che aiuta a capire il mondo che cambia facendoci addentrare nelle sue complessità, nelle sue sfide, smontando pregiudizi duri a sparire. Cosa è l’italianità? Si può parlare ancora di cultura “puramente” occidentale, o orientale? Sono ancora valide queste distinzioni al giorno d’oggi? Dobbiamo veramente temere l’invasione dell’Islam in Europa? Queste sono le domande alle quali Renata Pepicelli, docente di Islamologia e Storia del mondo arabo presso l’Università di Pisa, ci invita a rispondere alla luce dei cambiamenti socio-culturali che hanno investito l’Italia e il mondo intero. È un dato di fatto, è innegabile che i figli delle migrazioni si sentano appartenenti al Paese in cui sono nati e cresciuti anche se il colore della pelle sembra non confermare la loro identità. 

[…] riflettere su cosa sia l’Oriente e cosa sia l’Occidente. Queste categorie mi sembrano inappropriate e incapaci di raccontare il mondo nuovo in cui viviamo. È impossibile pensare all’Occidente come a una realtà indistinta, staccata dall’Oriente e viceversa. Oriente e Occidente si rincorrono, si compenetrano, sono l’uno dentro l’altro. (p. 11)

Forse una vera separazione non c’è mai stata: la storia è fatta di migrazioni, di spostamenti di masse di persone alla ricerca di un posto migliore. Negare ciò è voler essere davvero ottusi e negare la realtà storica. Anche noi italiani siamo stati immigrati (lo siamo ancora, anche se in misura minore rispetto al passato) e ci dimentichiamo che la nostra “bianchezza” non è mai stata autentica agli occhi degli USA che ci ospitavano. 

Con piglio accessibile e chiaro, con dati verificabili, note a fine capitolo e una ricca bibliografia, Pepicelli ci accompagna in questo viaggio in un mondo in trasformazione, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti ma a essi non viene dato il giusto risalto e valore, perché spesso il pregiudizio - che si accompagna all’ignoranza e alla paura del nuovo - ci rende ciechi. I cambiamenti sono nelle mani dei giovani, sono loro a vivere sulla pelle tutte le somiglianze di gusti, atteggiamenti che superano i «i ferrei steccati delle identità dicotomiche, mentre le generazioni precedenti restano ingabbiate dentro vecchi schemi interpretativi della realtà, irrigidite in gerarchie di razza, cultura e religione» (p. 12). Pensiamo a stati come l’Italia, il Portogallo, la Grecia: siamo di fronte a una popolazione prevalentemente anziana, con pochi giovani e bambini. Se la categoria del pregiudizio, del timore del nuovo appartiene soprattutto a chi è meno giovane, vuol dire che l’obiettivo di questa «postura intellettuale disponibile a liberarsi da pregiudizi e stereotipi» (p. 32) rappresenta una vera sfida che richiede tempo, energie, iniziative che “dovrebbero” partire dall’alto, ma anche dalla scuola. Da insegnante, consiglio questo libro a tutti, ma in modo speciale a chi lavora come me con i bambini e con i giovani: la tolleranza, il rispetto, la pluralità sono valori validi in ogni momento, oggi più che mai.

Innanzitutto bisogna imparare che i termini Oriente e Occidente sono superati, anzi sono decisamente inadeguati, riflettono categorie non neutrali cariche di discriminazioni riconducibili al passato coloniale. Sono termini anche geograficamente scorretti soprattutto quando tentiamo di classificare i paesi del cosiddetto Medio Oriente o Vicino Oriente. Molto prima delle razzie del colonialismo, in Sicilia, presso la corte di Ruggero II d’Altavilla, abbiamo avuto un perfetto esempio di convivenza tra cultura araba e locale. 

Pepicelli ci prende per mano e con parole, immagini e documenti ci presenta diversi esempi virtuosi di rispetto e assimilazione della cultura araba. La Sicilia ha ancora tante testimonianze di questo glorioso passato nei manufatti, nell’architettura, nei tessuti.  I re normanni, tra cui Federico II di Svevia, avevano ben compreso la ricchezza della cultura araba e sapevano anche parlare l’arabo: la loro è stata una politica di assimilazione piuttosto che di cancellazione (p. 17). Presso la cosmopolita corte di Ruggero II è stato il geografo Muhammad al-Idrisi, insieme a matematici, astronomi, letterati arabi: nella pagine del libro è possibile ammirare le immagini delle sue carte. Questi lavori ci lasciano interdetti a una prima occhiata, ma osservarli è illuminante perché

Le mappe di al-Idrisi sono infatti orientate a Sud nella parte superiore, e questo fa sì che nella nostra visione eurocentrica siano viste come mappe capovolte, con il Sud al posto del Nord e il Nord al posto del Sud, e con l’Oriente e l’Occidente che si scambiano di posto. […] L’osservazione delle tavole di al-Idrisi, nella loro dimensione spiazzante per un occhio moderno, mostra che le rappresentazioni nel mondo attraverso le quali siamo abituati a leggere il contesto a noi circostante sono frutto di produzioni culturali, politiche e storiche.  […] Le mappe di al-Idrisi ci parlano di un contesto storico-culturale in cui si era provato a fare un lavoro di sintesi tra la cultura cristiana e la cultura musulmana, tra l’Oriente e l’Occidente. (pp. 20-23)

Siamo “affetti” da eurocentrismo e ciò ci ha impedito di comprendere in pieno la cultura araba, considerandola inferiore alla nostra. È un retaggio coloniale il percepire le donne arabe, poiché velate, come sottomesse al maschio arabo «violento e violentatore». Durante l’imperialismo coloniale molti avventurieri vagheggiavano di frequentare i bagni turchi o gli harem invasi da donne lascive, desiderose di accontentare le voglie degli uomini. Le famose odalische infiammavano i sogni degli europei, erano i soggetti di opere d’arte anche se non tutti i pittori erano stati davvero in Oriente per vederne una in carne e ossa. Ma l’harem è un covo di concubine autorizzato? È davvero così? Eppure, i più non lo sanno, ma tante donne musulmane hanno combattuto anche in passato per i loro diritti: avete mai sentito parlare di Fatema Mernissi? E di Hoda Sha’rawi? E di italiane che hanno scelto di convertirsi all’Islam e di vivere alla maniera araba come Leda Rafanelli? Vi invito a leggere questa parte del saggio davvero piena di curiosità e di documenti che mi hanno lasciata ammirata. 

Perché di queste donne non si parla? Perché abbiamo lasciato che passasse l’idea di una cultura araba così stereotipata, arretrata, lontana da noi? E l’Islam? È davvero la fede dei terroristi? Renata Pepicelli vi stupirà con questo suo lavoro, perché risponde a questi e a molti altri interrogativi collegandosi alla storia attuale, agli episodi di violenza di genere appartenenti alla cronaca recente, come ad esempio l’omicidio nel 2021 della giovane Saman Abbas e di altri crimini per riflettere sull’uso strumentale dell’informazione quando il colpevole è un migrante.

Sono le singole persone, che si nutrono di culture patriarcali e di pseudogiustificazioni culturali e religiose, e non le religioni a farsi autrici di crimini; così come sono persone specifiche a lottare per la propria libertà e a portare avanti movimenti di autodeterminazione e di lotta per i diritti delle donne. (p. 95)

Non c’è altra soluzione che aprire gli occhi e la mente sui grandi cambiamenti della nostra epoca; la stessa musica leggera ci aiuta a capire che l’Italia è attraversata da questa corrente di trasformazioni: Pepicelli, sempre attenta e puntuale, ci offre un’analisi di quanto è accaduto ai cantanti Ghali e Geolier al festival di Sanremo del 2024. Il primo nella serata delle cover ha cantato in arabo (la lingua della sua famiglia)  e in italiano, esprimendo così una perfetta sintesi della sua identità plurale e Geolier, un rapper napoletano di Secondigliano, ha portato sul palco una canzone interamente in napoletano sollevando accese polemiche. Al grande pubblico in Mondovisione è stata rivelata una realtà innegabile:

È un dato che il plurilinguismo sia sempre più espressione dell’Italia, ma si fa fatica ad accettarlo. Le lingue altre dall’italiano che si parlano nel paese sono silenziate, considerate un problema e non una risorsa. […] La virulenza degli attacchi a Geolier evidenzia la molteplicità di forme di discriminazione, esclusione, razzismo e soprattutto di classismo diffuse all’interno della comunità nazionale. (pp. 114-116)

Come si vede, se puntiamo la lente sull’Italia la situazione è davvero complessa: da un lato il cambiamento è già qui, ma dall’altro la chiusura e il pregiudizio permangono.  Né Oriente né Occidente è un libro che si legge con soddisfazione e al di là della strada tortuosa ancora da percorrere per far entrare nella nostra visione del mondo quell’«Occiriente» di cui parla Pepicelli, la speranza ha ben ragione di vincere.

Oriente e Occidente si sono storicamente compenetrati, interconnessi, influenzati a vicenda e oggi, in seguito alle grandi mobilità di persone, merci, culture, religioni, capitali, è ancor più vero. Tracciare linee di demarcazioni nette è impossibile e rappresenta un tradimento della storia e del nostro presente. Forse un neologismo quale «Occiriente» può aiutarci a restituire questa realtà, mentre proviamo a ricucire il mondo. (p. 164)

Marianna Inserra