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Letteratura e abisso. Le vite vertiginose di "Tutti i racconti" di Bolaño

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Tutti i racconti
di Roberto Bolaño 
Adelphi, marzo 2025

traduzione di Barbara Bertoni e Ilide Carmignani

pp. 652
€ 17,10 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Vengono pubblicati per la prima volta in un unico volume tutti i racconti di Roberto Bolaño, compresi i diciassette racconti postumi trovati nel computer dello scrittore cileno dopo la sua morte nel 2003.  L'edizione Adelphi, con la traduzione di Barbara Bertoni e Ilide Carmignani, oltre ai diciassette racconti postumi raccolti nel titolo Il segreto del male contiene le raccolte pubblicate in vita: Chiamate telefoniche, Puttane assassine, Il Gaucho insopportabile

Ritroviamo Arturo Belano, personaggio ricorrente nella letteratura di Bolaño (Amuleto, I detective selvaggi, Stella distante), suo vero e proprio alter ego:
Belano porta i capelli corti. Una calvizie rotonda gli fa da chierica. Non è più il ragazzo coi capelli lunghi che una volta girava in queste strade. Ora indossa una giacca nera e dei pantaloni grigi e una camicia bianca e porta scarpe Martinelli. È venuto in Mesico invitato a un congresso di scrittori ispanoamericani. Almeno un paio di partecipanti al congresso sono suoi amici. I libri che ha scritto si leggono (anche se non molto) in Spagna e in America latina e sono tutti tradotti in varie lingue. Che ci faccio io qui? pensa. (p. 54)

Il racconto si intitola Morte di Ulises, scritto fra il 1999 e il 2000, e in esso assistiamo alla rappresentazione di uno dei temi cari alla narrativa di Roberto Bolaño: l'esilio e la conseguente estraneità dei personaggi all'ambiente che li circonda, anche nei ritorni in un mondo che dovrebbe essere familiare, ma che non lo è. Un mondo di cui egli non riconosce più nessun programma televisivo, mentre vede le immagini scorrere in TV, in cui gli amici che cerca non rispondono alla porta o al telefono. 

Non è solamente Arturo Belano a essere uno specchio, una proiezione di Roberto Bolaño, ma tanti di questi racconti sembrano giocare con il rispecchiamento, come Delitti, nel quale la protagonista si sente raccontare una storia che forse è la sua storia, in una ricorsività che fa perdere al lettore l'orientamento. Proprio come accade in un altro dei racconti inediti, Labirinto, in cui otto persone in posa per un fotografo vengono descritte con una precisione pedante, ossessiva, sono persone ma sono segni, immagini. Non a caso, fra di loro vi è Julia Kristeva, la semiologa bulgara, quella che ha scritto Il linguaggio, questo sconosciuto. Sconosciuto è il mondo che non è ritratto dalla fotografia, ma su cui Bolaño avanza ipotesi, in un movimento che sembra scomporre e moltiplicare l'immagine come in un'incisione di Escher. La prosa di  Bolaño, al pari della fotografia di Labirinto, trasborda dalla pagina secondo un meccanismo inusuale: non è un eccesso lessicale o un'ipotassi complessa a rendere così ammaliante la prosa. Abbiamo uno stile asciutto, un lessico tutto sommato usuale, che però risulta paradossale, eccentrico, evocativo. Sarà perché i personaggi di Roberto Bolaño, come Daniela che dà il titolo all'undicesimo racconto, non appartengono al Cile, all'Argentina o al Messico, ma sono «cittadini dell'universo». I personaggi di Bolaño sono condannati a una mobilità che è

un miraggio vertiginoso, uno spazio nel tempo dove il tempo stesso si annullava, il tempo come lo conoscevamo, ecco perché ho cominciato dicendo che sono cittadina dell'universo e non del mondo, come si dice di solito, perché sono vecchia ma non stupida, sia chiaro, il mondo non è capace di contenere quel miraggio vertiginoso, l'universo forse sì. (p. 92)

La scelta di pubblicare i racconti inediti insieme alla raccolte già conosciute è preziosa, non solo perché consente al lettore di possedere tutti i racconti di Bolaño, ma anche perché comprendiamo in modo più chiaro la coerenza tematica e stilistica di uno scrittore che può oramai essere considerato un classico del Novecento. I tratti comuni sono i personaggi borderline, le loro esistenze apolidi e spesso deliranti nella solitudine, in ogni caso vite sballottate, delle quali la penna di Bolaño descrive con lucida precisione l'assurdità.

Vite comunque indecifrabili, come quella di Sensini, lo scrittore con cui si apre la raccolta Chiamate telefoniche. Anche in questa raccolta assistiamo ad un gioco di scatole cinesi, dettato dal fatto che la letteratura di Bolaño parla di letteratura, i personaggi sono spesso scrittori che incontrano altri scrittori e che scrivono ciò che vivono o  spesso vivono ciò che scrivono. Vuoi per la brevità della forma del racconto, vuoi per l'enigmaticità dei personaggi e dei luoghi creati dalla penna di Bolaño, ogni racconto è una tranche de vie, digressioni in cui ciò che non si dice sembra spesso avere più significatività di ciò che è detto. 

Che bella vista hai da qui, mi disse. Le riempii il bicchiere, riempii il mio, e rimanemmo per un po' a guardare la città illuminata dalla luna. D'un tratto mi resi conto che eravamo sereni, che per qualche ragione misteriosa eravamo arrivati insieme a esser sereni e che da quel momento in poi le cose avrebbero impercettibilmente cominciato a cambiare. Come se il mondo, davvero, si muovesse. Le chiesi quanti anni aveva. Ventidue, disse. Allora io devo averne più di trenta, dissi, e persino la mia voce suonò strana. (p. 158)

Spesso si resta sospesi in una narrazione onirica, perché la realtà è descritta con punti d'ombra e pochi rischiaramenti, con discrepanze e illogicità; si incontrano scrittori falliti, detective non immacolati, ragazze tristi e stravaganti. Sono rappresentazioni degli "ultimi" senza una virgola di retorica di cui solitamente sono intessuti i racconti degli ultimi. 

Un poeta può sopportare di tutto. Il che equivale a dire che un uomo può sopportare di tutto. Ma non è vero: sono poche le cose che un uomo può sopportare. Sopportare veramente. Un poeta, invece, può sopportare di tutto. Siamo cresciuti con questa convinzione. Il primo enunciato è vero, ma conduce alla rovina, alla follia, alla morte. (p. 166).

Rovina, follia, morte sono in effetti un trinomio perfetto per riassumere i racconti qui pubblicati. Ma sarebbe sbagliato pensare ai racconti di Bolaño come a un resoconto disperato dell'esistenza umana. Ogni pagina è irrorata dall'ironia, ogni parola, ogni spazio fra le lettere, sembra lasciare intravedere un sorriso amaro, forse malinconico, ma che rende vertiginosa la danza delle vite narrate. Del resto, è con questa epigrafe di Orazio: «Con una risata finirà il processo e tu te ne andrai assolto» che si apre la sezione dedicata alla raccolta Puttane assassine. Anche qui riappare Arturo Belano o spesso un personaggio chiamato semplicemente con la lettera B., vagabondo, girovago, con un rapporto conflittuale con il padre. Anche questa raccolta è dominata dagli eccessi, sempre narrati con uno sguardo distante, che riesce ad essere al contempo impersonale e focalizzato internamente ai personaggi, talvolta. Sono storie di violenza ma anche di tenerezza, di  rimpianti e incontri. Storie notturne e buie tra la Spagna e l'America latina, in cui i personaggi e le loro debolezze sembrano fantasmi

E allora mi verrebbe da dirgli che tutti siamo fantasmi, che tutti siamo entrati troppo presto nei film di fantasmi. (p. 299)

Nel buio, nei bassifondi oscuri e dimenticati, si ravviva la luce della bellezza trasfigurante della narrazione. Quando Bolaño cita Baudelaire (in Letteratura+malattia=malattia) scrive che la vocazione di trovare il nuovo nel grembo dell'Ignoto

è la povera bandiera dell'arte che si oppone all'orrore che si somma all'orrore senza cambiamenti sostanziali, nello stesso modo in cui, se all'infinito si aggiungesse altro infinito, l'infinito rimane lo stesso infinito. Una battaglia persa in anticipo, come quasi tutte le battaglie dei poeti. (p. 636)

Ma anche se questa battaglia dei poeti è persa, anche se come sapeva Mallarmé il viaggio e i viaggiatori sono condannati, dobbiamo continuare a viaggiare, cioè a leggere o a scrivere, che è lo stesso, perché la letteratura ci porta all'abisso, che «è guarda caso, l'unico posto dove si può trovare l'antidoto» (p. 636). 

Deborah Donato