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"Quel confine sottile" in cui tutto diventa possibile: l'esordio "nero" di Silvia Napolitano

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Quel confine sottile
di Silvia Napolitano
Bollati Boringhieri, 2025

pp. 368
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Così era scomparsa, nel buio che iniziava a farsi penombra: quell’ora intermedia, di confine, in cui non si sa se quello che accade è reale o solo un’illusione. (p. 152)

È disattento, lo psicologo Fabrizio Mieli, durante il consueto appuntamento con Zac, quattordicenne schizofrenico. Sta pensando a Millina, la moglie, che è andata via per qualche tempo, per trovare risposte rispetto a un matrimonio fiacco e svuotato, forse in realtà mai decollato. E Zac, con la bellezza diafana e ultraterrena dei suoi occhi, non sembra portare elementi di novità alla seduta: riferisce con il consueto tono lieve i discorsi dei bambini morti che lo visitano. Fabrizio annuisce e non ascolta. Ma questa volta qualcosa è diverso: la ragazza di cui Zac parla è reale. Il Tevere, che serpeggia lento e grigio attraverso una città che appare sempre attutita, sullo sfondo, ne ha restituito il corpo. Zac lo ha trovato, incagliato sotto il pilone di un ponte. La testa verrà rinvenuta solo in un secondo momento, nel confessionale di una chiesa. La barbarie del delitto è enorme e sconvolge profondamente tanto il medico legale, il ruvido Raimondo Buccini, che si trova più a suo agio con i morti che con i vivi, quanto il commissario incaricato del caso, Bruno Ligabue, nel cui passato si nasconde un trauma che l’indagine fa inevitabilmente riemergere.

Qual è il confine sottile a cui rimanda il titolo? È quello che separa il mondo dei vivi da quello dei defunti, e che il giovane Zac sembra poter facilmente superare, quando i suoi occhi scorgono ciò che gli altri non possono vedere o intercetta le confessioni di chi non c’è più; è quello tra la verità e la menzogna, che il commissario Ligabue continua a sondare, nella sua inesausta ricerca dell’assassino; o ancora quello tra il pregiudizio e l’accettazione di sé, un limite che lo psicologo Mieli non ha il coraggio di valicare, nell’esplorare i propri desideri troppo a lungo repressi; o quello tra il sonno e la veglia, in cui tutto è possibile, anche il sovvertimento del tempo e l’ingresso in una nuova dimensione, come accade nelle molte notti che affollano il romanzo; ma poi ci sono anche altri confini, altri limiti che coinvolgono i personaggi: quello su cui si mantengono i comprimari che non vogliono lasciarsi toccare dall’irrazionale, dal disordine, dal magma oscuro di dolore e profondità che tutti i protagonisti in modo diverso portano con sé. È questo il caso di Franco, il compagno di Aurora, che preferirebbe vedere Zac in carcere piuttosto che competere con lui per le attenzioni della madre; o la PM, Agostina Picariello, che nasconde dietro alle rigidità delle sue convinzioni ciò che non ha mai voluto confessare.

Nella sua opera d’esordio, Silvia Napolitano rivela una buona padronanza delle tecniche narrative, scivolando con abilità e ritmo da una focalizzazione a un’altra, e a tutte viene date spazio, appartengano esse a personaggi con cui è più facile empatizzare o simpatizzare, o ad altri più respingenti. Si sente, in questo, l’esperienza di lungo corso dell’autrice nel mondo della sceneggiatura, da cui deriva un deciso gusto per l’immagine, evocata dalle parole e che incide sulla costruzione di ogni scena. Per immagini procede anche la descrizione dei sentimenti dei protagonisti, e a un’immagine, quella di un guizzo rosso e oro, evanescente e perturbante, è associata la presenza fantasmatica della ragazza morta, Juliette, nel corso delle indagini.

In alcuni punti la trama si disperde in un eccesso di analisi introspettiva dei personaggi, tutti colti in un momento di svolta esistenziale, ma finisce per prevalere l’equilibrio di una struttura che tiene, in cui c’è un buon bilanciamento tra i punti di vista (compreso quello, inaspettato e commovente, del cane Bulli). La costruzione della tensione narrativa è quindi affiancata a una puntuale descrizione del cambiamento e della crescita degli attori coinvolti nella vicenda, ciascuno a suo modo in ricerca di una forma di riscatto. La caratterizzazione dei singoli e lo spazio dedicato a questo aspetto sono tali da far immaginare un seguito a questo volume, in cui possa trovare nuovo spazio l’inaspettata aggregazione che il caso (in tutti i sensi possibili del termine) configura: 

Zac e il ritrovamento del corpo di Juliette avevano dato origine a una strana tela di relazioni, un intreccio di conoscenze, una sorta di reticolo affettivo che aveva poi portato alla formazione di quel bizzarro gruppo di amici, ognuno con le sue solitudini e i suoi bisogni di affetto. (p. 348)

Il romanzo di Silvia Napolitano inaugura quindi efficacemente la nuova serie noir di Bollati Boringhieri, “Black Note”, che conferma l’attenzione della casa editrice per voci originali e forme narrative che forzino i confini dei generi, senza perdere la buona qualità della prosa.

Carolina Pernigo