Ripetizione
di Vigdis Hjorth
Fazi, febbraio 2025
Traduzione di Margherita Podestà Heir
pp. 144
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)
Succedeva ogni anno in quel periodo, si ripeteva, e la ripetizione è la serietà dell'esistenza. La speranza è come un indumento nuovo - rigido, stretto e scintillante - ma di cui, finché non lo avrai indossato, non saprai mai se le misure sono giuste o se ti starà bene, e il ricordo è come un indumento dismesso: per quanto possa essere bello, non ci stai più dentro perché sei cresciuta. La ripetizione, invece, è come un indumento indistruttibile che veste in maniera salda e delicata, non stringe né svolazza. Ero contenta di non sperare nulla, perché allora il pensiero mi spaventava? (p. 11)
Vigdis Hjorth, autrice norvegese di più di trenta libri, alcuni dei quali vincitori di numerosi premi letterari, dopo il successo di Eredità e Lontananza (entrambi pubblicati da Fazi), torna in libreria con un romanzo breve ma densissimo, doloroso e, almeno nel mio caso, inaspettatamente familiare.
Mi sono ritrovata più volte durante la lettura a fermarmi e a chiedermi se per caso l'autrice non conoscesse la mia storia, i miei trascorsi personali, la genetica della mia famiglia.
Siamo in Norvegia: una scrittrice di circa sessant'anni è a un concerto lirico di Natale (come l'autrice stessa, mi sono più volte domandata se la storia fosse in qualche modo autobiografica). Al suo fianco siede una ragazzina di sedici anni, insofferente, triste, in lacrime, angustiata dalla presenza dei genitori che vogliono a tutti i costi che si goda il concerto.
Ma la ragazza non vuole essere lì e il suo disagio contagia sia la scrittrice e voce narrante che i suoi genitori. Questo episodio casuale costringe la nostra protagonista a fare un salto indietro nel tempo, a quarant'anni prima, quando lei stessa aveva sedici anni. L'empatia che prova per quella ragazza sconosciuta le ricorda la sua di sofferenza, la sua di storia famigliare.
[...] ma il giorno dopo accadeva la stessa cosa, scene isteriche, urla e litigi, e non capiva di stimolare proprio quello che voleva scongiurare, che la paura e le promesse che mi costringeva a farle accerchiavano e indicavano quanto desideravo in maniera oscura e vaga, quanto bramavo segretamente, senza saperlo avvertivo in me una voglia di sfidarla, di commettere un crimine ai suoi danni e nei confronti di quello che rappresentava, sentivo nascere in me una forma di coraggio e a poco a poco capii che sarei stata capace di compiere qualsiasi cosa, qualora se ne fosse presentata l'occasione, ma così non fu. Trascorrevo un sabato dopo l'altro rintanata in camera mia con Unni, suonando musica romantica. Se mia madre ci avesse riflettuto sopra, la mancanza di opportunità avrebbe dovuto rassicurarla. (p. 23)
La nostra protagonista non ha nome e non hanno nome neanche i membri della sua famiglia. Questa spersonalizzazione probabilmente è voluta, perché si tratta di una famiglia all'apparenza ordinaria - un padre, una madre e una manciata di figli maschi e femmine - ma, come tutte le famiglie, c'è qualcosa che l'autrice ci lascia intuire, qualcosa di terribile, nascosto tra le pieghe della vita di tutti i giorni.
Una vita però che non scorre a sua volta in modo ordinario: la madre - la seconda grande protagonista del romanzo - è quanto di più tremendo ci si possa augurare: la controlla, la segue, le urla contro, la ama e la odia, la soffoca, la bracca, come dice l'autrice nel testo. Una madre-mostro che non le permette di vivere, angustiata dal terrore che la figlia possa commettere degli errori - fare sesso, bere, assumere droga - ma soprattutto sembra terrorizzata dal momento in cui la figlia adolescente scoprirà i rapporti sessuali.
Perché? Perché questa angoscia? Il testo dissemina nel corso delle pagine degli indizi allarmanti. La voce narrante cerca di guidarci, come se cercasse di ricordare, o meglio, di non ricordare, perché quella memoria risalente a quarant'anni prima non è ancora sopita e scavare dentro di essa è un processo straziante. Cosa nasconde questa famiglia? Perché la madre si comporta in quel modo? Di cosa ha paura? Ci si ritrova a chiedersi se sia pazza, se sia affetta da una malattia mentale, ma più tardi capiremo benissimo le motivazioni del suo comportamento "innaturale".
E su quanto fosse stato doloroso che la storia non fosse mai più stata menzionata, non vi venisse più fatto alcun riferimento, che non dovesse esistere, che ci si aspettasse che lei, la giovane donna che ero, si comportasse come se non fosse mai successa e non la raccontasse mai a nessuno, nemmeno ai suoi fratelli, specialmente a loro, anche se o proprio perché erano indirettamente coinvolti? E quanto fosse stato doloroso il fatto che non andava menzionata nemmeno a coloro con cui l'aveva vissuta, probabilmente perché era così eloquente, svelava troppo, indicava in direzione del segreto, perché il segreto non era il mio diario. (p. 118)
Leggendo il romanzo pare di essere immersi in un'atmosfera crepuscolare, quasi apocalittica: la neve, il bianco, la natura, i lampioni gialli, le strade deserte, i boschi, le chiese sulle alture, e poi le case degli amici della protagonista - quelli sì, hanno un nome - dove può lasciarsi andare, dimenticare la madre, essere per qualche ora solo un'adolescente normale che cerca di vivere.
Si ha l'impressione che sia sempre novembre nella vita della nostra narratrice: è novembre quando incontra la ragazzina al concerto, è novembre quando ha sessant'anni, quando ne ha sedici, quando odia sua madre, quando scrive sul suo diario (mai tenere un diario in adolescenza, questo è quello che ho imparato nella mia esperienza personale e questa storia non ha fatto che confermare il mio proposito), quando desidera morire, quando desidera fare sesso con Finn.
La lettura di questo romanzo risulterà parecchio penosa ma anche sorprendente a quelle persone, soprattutto di sesso femminile, che hanno avuto o hanno ancora un rapporto difficile con la propria madre: leggere alcuni comportamenti che si ripetono - e forse qui ci agganciamo al titolo del romanzo - uguali per tutti, come se la madre-mostro avesse delle caratteristiche comuni a prescindere dal tipo di madre, dal contesto sociale, dalla nazionalità, dal carattere, non è facile.
Come ho detto è un romanzo doloroso, percorso da una costante inquietudine che anticipa una rivelazione devastante. Nonostante questo, consiglio fortemente il testo, proprio perché smuove l'animo, ed è questo, in fondo, che i libri devono fare: smuovere gli animi.
Mi aggancio, tra l'altro, anche alla miniserie Netflix attualmente in corso Adolescence: se l'avete vista e vi è piaciuta, vi piacerà anche questo romanzo.
Deborah D'Addetta