di
Gianfranco Damico
Feltrinelli,
febbraio 2025
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
D’amore non si
muore e non mi so spiegare perché muoio per te…
Le parole di una delle più note voci della
storia della musica italiana risuonano nella mia mente, mentre mi accingo a
scrivere questo contributo che mi porterà a riflettere, ancora una volta, sull’amore.
L’Amore, principio di vita; quella
forza straordinaria e costruttiva che, per natura, dovrebbe sempre farci stare bene, con noi stessi e con
gli altri, ma che troppo spesso finisce per reggersi su equilibri instabili,
convertendosi in energia distruttiva e persino autodistruttiva.
Ma Amore, una “divinità” così potente, può
davvero essere destinata a camminare a braccetto con Sofferenza e Dolore?
In generale, sembrerebbe proprio di sì: «La letteratura e il cinema – e
anche la vita – sono pieni di eroi romantici e, soprattutto (ma che sorpresa!)
di eroine, che si sono immolati, letteralmente consumati, nell’inferno di un
amore dannato» (p. 11).
La “società liquida”, nella quale ancora oggi siamo immersi rischiando quotidianamente di annegare, è più che mai caratterizzata dalla natura mutevole e fragile delle relazioni e pullula di questi “eroi ed eroine” pronti ad immolare se stessi per amore dell’altro. Tanto che la realizzazione di una relazione sana ed equilibrata sembra diventata sempre più un miraggio mentre prevale, anche fra i più giovani, la rassegnazione a non amare o – cosa ben più grave – ad agganciarsi a “ciò che amore non è”.
Ma che cosa accadrebbe se avessimo a
disposizione un vero e proprio coach, che ci indicasse la via per «scovare le credenze che
fanno male all’amore» (p. 97)
e smontarne le menzogne? Riusciremmo a identificare meglio i nostri bisogni
e a difenderci dalla sofferenza di un amore che, in realtà, amore non è?
Questo l’obiettivo perseguito da Gianfranco Damico, sociologo e filosofo specializzato nell’ambito delle relazioni interpersonali, con la sua ultima pubblicazione per Feltrinelli: Ciò che amore non è. Piccolo manuale di autodifesa sentimentale.
In breve, questo libro vuole essere una sorta di piccolo manuale di educazione sentimentale che pone i paletti irrinunciabili del rispetto – per se stesse, innanzitutto, e poi per l’altro – rivolto soprattutto alle donne, affinché possano non perderli mai di vista, quei paletti, mai dimenticarli e, soprattutto, usarli, condividendoli anche con coloro che decidono di tenersi al proprio fianco. Ci penserà poi l’amore stesso, pensato a partire da tale modalità, a ignorare i nostri steccati e volarsene dritto verso le mille diverse forme che è in grado di incarnare. Un amore che nutra, faccia evolvere, liberi, faccia crescere, dia gioia e supporto e ci renda persone migliori. E che mai attraversi, neanche lontanamente, le tristi paludi della sopraffazione. E meno che mai della violenza, di qualunque natura. (p. 19)
Il percorso viene avviato
dall’identificazione delle più diffuse e inflazionate credenze sull’amore che
vengono prontamente confutate dall’autore: a ciascuna di esse è dedicato un
capitolo: dalla “madre di tutte le credenze sbagliate”: Quello che credi,
fai del primo capitolo fino al Gran finale del capitolo 9: Liberati!,
che conclude la prima sezione del libro.
Ma procediamo con ordine: nel primo
capitolo il nostro coach ci invita a riflettere sul fatto che «le cose non sono mai ‘cose in sé’
(questa è l’idea sbagliata), ma sempre ‘cose in relazione a’ (ecco l’idea giusta» (p. 22); ne conviene, dunque, che in
una qualsiasi relazione tu «non sei
‘tu e basta’, ma sei ‘tu con quel compagno lì accanto’» (p. 31). E se vivi
con sofferenza la relazione, cambiando la persona o i modi, allora anche la tua
vita potrà cambiare e migliorare. Nel secondo capitolo, viene depotenziato uno
dei principali e più diffusi ricatti dell’amore tossico: l’imperativo “Amami!”.
Come si può comandare l’amore? «[…] se devi amare a
comando, non solo quello non può essere amore, ma è anche un obbrobrio logico,
una truffa esistenziale, un palese inganno. In definitiva: è violenza, non
amore» (p.
42). La vera essenza dell’amore risiede, infatti, nella spontaneità; nell’affetto e in un’intimità fisica ed
emotiva che non possono trovare riscontro in nessuna imposizione. Il capitolo
si conclude con quello che rappresenterebbe, secondo l’autore, l’unico
imperativo ammissibile: «C’è solo una
persona che
devi amare e curare: te stessa!» (p.
45).
Si prosegue con una sorta di variante del precedente imperativo: “Amami e non chiedere nulla!”, nella quale Damico vuole, però, superare l’accezione negativa del verbo “chiedere” poiché «Chiedere è una possibilità straordinaria di svelare la nostra piena umanità, un luogo in cui l’incontro scende dal mondo dell’astrazione e si fa reale, mostrando ciò che in quel momento è e accade davvero nella relazione: mentre si chiarisce ciò che chiediamo all’altro, diventa chiara anche la risposta reale che ne ricaviamo. Nel fare una richiesta esplicita è impossibile mentire, ed è per questo che in amore è un’opzione irrinunciabile» (p. 50). Al concetto di richiesta, è collegata l’idea di bisogno, un importante ambito d’indagine che viene sviluppato nel capitolo 4, a mio parer uno dei più significativi. Anche in questo caso, a dover essere smantellata è l’accezione negativa del concetto che sta alla base dell’affermazione “Ho bisogno di te”. Ma l’identificazione e la consapevolezza di ciò di cui davvero si necessita, prima che inizi una relazione e nel corso della stessa, sono fra i principali presupposti della sua buona riuscita e del suo mantenimento. Nella sua sfumatura di significato più positiva, dunque, il bisogno diventa il più naturale e spontaneo elemento di connessione fra i partner:
Ci deve essere – questo è il mio sospetto – una qualche alchimia interiore e di relazione che risponde ai bisogni più intimi, più profondi, di entrambi i partner. Quello che noi chiamiamo amore – gratificante e che dura nel tempo – potrebbe non essere altro che il fiorire di quella magica alchimia quando riesce a rispondere a quei bisogni. (p. 53)
Sarebbe proprio quest’alchimia a generare,
all’interno della coppia, quella connessione e condivisione che, in un amore
sano, non ostacola in alcun modo la libertà del singolo e il suo principio di
autodeterminazione. Ma l’esperienza ci insegna che l’amore non è sempre sano; proseguiamo,
dunque, la nostra lettura continuando a smantellare,
insieme al nostro coach, altre credenze manipolatorie ad alto grado di
tossicità: il concetto di possesso e appartenenza (“Mi appartieni, sei
mia!) sviluppato nel capitolo 5, e l’idea che non esista “altro”
all’infuori della coppia (“Tu sei l’unica al mondo”; “Io e te… tutto il
resto non conta” e “Se te ne vai è la fine”, capp. 6, 7, 8). Ecco di cosa
vivono gli amori malsani: di imperativi, false credenze, frasi e atteggiamenti
manipolativi; e questa è la ragione per cui, per costruire una rapporto solido,
è necessario allontanare e depotenziare tutto ciò che appare malsano. Si
tratta, indubbiamente, di un processo lungo e complicato, ma necessario per
arrivare al Gran finale del capitolo 9: “Liberati!”. Perché «oltre il recinto avvilente di
quelle credenze, una volta abbattuto, vi è di nuovo la freschezza del campo
aperto» (p.
97).
Con l’obiettivo di facilitare questo processo, la sezione finale del volume, corrispondente al capitolo 10, presenta un’impostazione pratica, offrendo una selezione di schede operative, esercizi e domande che possano favorire – e guidare – il lavoro del lettore su se stesso. Partendo dai concetti di “cura” e “rispetto” e dalle dinamiche legate alla fase dell’infanzia e dell’accudimento, Gianfranco Damico stimola all’autoanalisi i suoi interlocutori, verso l’individuazione di quei bisogni più profondi e sinceri che, più di ogni altra cosa, rappresenterebbero la «voce di ciò che nella tua vita deve assolutamente esserci» (p. 124); li guida alla ricerca di una gerarchia, fra gli stessi, ma senza bypassare i “valori” che rappresentano «ciò che per noi è importante» (p. 127) e sono naturale completamento di quei bisogni.
I nostri valori sono ciò che definisce meglio di ogni altra cosa le nostre priorità emozionali, il discrimine fra realizzazione e frustrazione, tra una vita intessuta di senso e una insensata; in definitiva, i valori sono “il luogo” in cui si incardina la nostra identità. Ma essi costituiscono anche il riferimento direzionale del nostro cammino, il polo magnetico per il nostro presidio. Non sono, “solo” ciò che siamo, ma ciò che siamo chiamati a diventare. Sono i contorni del daimon che vogliamo viva e risplenda in noi. Senza la consapevolezza dei nostri valori, rischiamo di andare alla deriva di noi stessi. (pp. 127-128)
La consapevolezza dei propri valori, e la
loro solidità, rende più agevole anche l’individuazione delle regole e dei
confini da stabilire per preservare la propria libertà ed integrità morale. È
quella consapevolezza che dà la forza
per creare, e affrontare, cambiamenti.
I nostri valori sono, dunque, i principi-guida da seguire nella costruzione di qualsiasi relazione significativa, a partire dalla prima – e più importante – quella con noi stessi.
Perché «amarsi è molto più
importante che amare: ne è il presupposto sano» (p. 60)
Federica Malara
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