L'anno era il 1824, avevo sessantaquattro anni, l'età in cui chiunque pensa che la propria esistenza stia volgendo al termine, e all'improvviso il mio destino ha preso una svota inaspettata. (p. 113)
La svolta inaspettata della vita del barone Pietro Pisani, ufficiale capo presso la Real Segreteria della Luogotenenza, fu vedersi offrire la direzione dell'Ospizio dei Matti di Palermo.
Così dall'oggi al domani, a sessantaquattro anni d'età, dalla gestione dei beni culturali mi sono ritrovato a essere coinvolto in quella di un luogo di sofferenza che si trovava fuori le mura, poco distante dal Palazzo Reale e da Porta Nuova, nel piano dei Porrazzi. (p. 113).
Parla di una storia vera il romanzo di Antonio Mistretta, presentandoci - sotto la finzione di un racconto autobiografico - la vita di Pietro Pisani, barone di Palermo. Il sottotitolo del romanzo è "Le tre vite di Pietro Pisani" perché, al di là di questa svolta inaspettata, la biografia di Pisani presenta tante curve, cambiamenti di percorso, stravaganze e passioni, tanto che Alexander Dumas padre ebbe a dire che Pietro Pisani «era altrettanto folle degli altri, ma almeno la sua follia era una follia sublime». Dello stesso parere anche Leonardo Sciascia, che lo definì «saggio al punto da riconoscersi folle, e abbastanza folle da ritenersi tra i folli il più saggio».
Antonio Mistretta ha il merito di fare riscoprire un personaggio che anticipa di secoli la lotta per un approccio più umano e dialogico al problema della follia. Pietro Pisani, arrivato all'Ospizio dei Matti, restò fortemente turbato, o meglio impressionato, dalla sofferenza sul volto dei pazienti e dall'oblio in cui la società li aveva relegati. Entrare in quel luogo, lo mise a contatto con il lato più oscuro dell'umanità, legato all'indifferenza verso le persone più vulnerabili. «Era un oltraggio alla loro umanità e alla loro dignità» (p. 116). Nei dialoghi tra Pisani e il Dottor Paladino, che curava i pazienti dell'Ospizio dei Matti, cogliamo il debito che le riforme portate avanti da Pisani avevano con la psichiatria di Philippe Pinel, il primo medico che non intese semplicemente rinchiudere i pazzi e segregarli lontani dal mondo, ma curarli. Da Pinel, Pisani prese l'idea che bisognasse instaurare un rapporto personale con i pazienti, ascoltarli, fino ad arrivare a vivere con loro.
E, nel mezzo di questo turbinio di speranze e cambiamenti io, il Barone matto, tra i matti ho trovato finalmente la mia dimora. In quel luogo di mutamento e rinascita, ero riuscito a creare una comunità in cui l'anima poteva respirare e danzare verso la luce. (p. 138)
Mistretta attualizza in maniera quasi foucaltiana le riflessioni del Barone in merito alla normalità che, alla convenzione e al caos che deve convivere con la razionalità, in una dialettica di logica e follia che preserva la vitalità, la fantasia dell'uomo.
Ma parlavamo di tre vite: Pietro Pisani partecipò alle operazioni di scavo che riportarono alla luce i resti dell’antica Selinunte, ma oltre che archeologo fu appassionato di opera lirica e musicista e cantante egli stesso.
La prima qualità che cattura in questo personaggio è il coraggio, un coraggio mite, gentile, ma soprattutto visionario. Il bambino che soffriva nel vedere i pappagallini amati dalla madre chiusi in gabbia, era colui che scriveva:
Prima di morire vorrei vedere i matti di tutto il mondo - come i parrocchetti del gesuita - volare fuori dalle gabbie in cui sono chiusi. (p. 15)
Con un linguaggio lineare e chiaro, talvolta con qualche perdonabile prolissità, Antonio Mistretta ci conduce per mano in questa rilettura che Pisani fa della propria vita, fino ad arrivare alle ultime toccanti pagine che lo vedono nel letto di morte, per il colera che infestò Palermo nel 1837. Sono pagine bellissime, che ci inducono a riflettere, attraverso la biografia di Pisani, su valori quali la compassione, l'amore e la capacità di creare un "rifugio in mezza alla tempesta", una fortezza, proprio in un luogo di umanità frantumata.
È qui che scorgo il vero significato della vita: nell'amore che offriamo agli altri, nella compassione che diventa il vento che gonfia le vele della nostra anima, spingendoci avanti nonostante le avversità. (p. 163)
Deborah Donato
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