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Chi ha ucciso Callista Wood? Un crime anomalo ambientato nel Sud Dakota

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L'incredibile storia di Callista Wood che morì otto volte
di Manuela Montanaro
Neo, aprile 2025

pp. 216
€ 17 (cartaceo)


Se negli anni Novanta la domanda cult riguardava Laura Palmer, adesso rischiamo presto di farci catturare dall'oscurità di una comunità del Sud Dakota e di chiederci chi abbia ucciso Callista Wood, protagonista fantasma di una storia ingannevole, in cui conviene dubitare sempre e non fidarsi di nessuno.
Da Lenny c'era una bambina pellerossa, bardata come una giumenta il quattro luglio. No, non vistosa, direi piuttosto luccicante. Tutto stonava con la sua faccia e l'espressione che aveva. Due occhi affilati a scuoiarti vivo e un collo così sottile che sembrava un uccello. (p. 110)  
Callista era (o è?) una giovane nativa e la sua scomparsa catapulta le attenzioni su un territorio e il male che, chissà da quanto, ospita. Ciò che infatti sembra presto evidente è che L'incredibile storia di Callista Wood che morì otto volte, secondo classificato al Premio di Narrativa Neo, alle spalle di Spettri Diavoli Cristi Noi di Riccaldo Ielmini voglia configurarsi proprio come un racconto del Male, quello assoluto, archetipico, insormontabile, che si annida tra le fronde e sibila nel vento, sussurra alle orecchie, corrompe e confonde, inganna: attrae. 

E si consustanzia a un luogo. 

La comunità locale si svela. Poco a poco, ambiguamente. Una comunità arroccata, scettica. Che odia e annienta tutto ciò che non riesce a capire. Il male, come accade spesso, ha quindi origine nell'incapacità di comprensione.

E la ricerca di Callista non apre solo il pericoloso varco su un immaginario lontano, quello di un'America avversa alla sua controparte più glamour e accecante, ma si trasforma nel racconto di come tutto ciò che di malvagio esista possa insinuarsi negli esseri umani. 

Ora, prima di addentrarsi nei punti cruciali della trama, diventa interessante ragionare sulla bontà del lavoro di ricerca di Manuela Montanaro, all'esordio, di cui sottolineiamo la capacità di restituirci le regole e le atmosfere di un luogo, le sue alchimie, certificata dalle parole benevole di Chris Offutt, autore della prefazione del testo. 

L'autrice afferra i dettagli precisi di un territorio che lotta con violenza per restare così come è sempre stato. E riesce quindi nel difficile compito di risultare credibile. Lo fa con una narrazione pregna di particolari, sottigliezze perfettamente realistiche, o che quantomeno ci danno la sensazione che lo siano e che alimentano la cupezza e il mistero della materia trattata. Questo non le impedisce di servirsi di una buona dose di ironia, che serve ad allentare la tensione.
Non ci crederai ma gli psicologi fanno domande da sbirro, solo poste un po' meglio. (p. 15)
Manuela Montanaro, svelando un mondo geograficamente e culturalmente distante e il suo tentativo di autoconservazione, sembra intercettare quei punti che lo accomunano al nostro - significati e condizioni che riguardano, universalmente, probabilmente ogni individuo. 

Parliamo adesso di struttura e fatti.  

L'idea di un canovaccio classico che presenta contesto e personaggi viene sfruttata in maniera anomala e il testo presenta una architettura crime atipica, coraggiosa, composta da capitoli brevi che somigliano a carrellate cinematografiche (di una scrittura estremamente cinematografica) in cui i personaggi raccontano prima chi sono e poi cosa hanno fatto. Le loro confessioni sono accomunate da un angosciante punto di contatto: la convinzione di aver ucciso Callista. Infatti, la ragazza è morta otto volte, se ci si attiene alle deposizioni. Ogni confessore sostiene di averne abusato e di averla fatta fuori.
L'ho avvolta nel lenzuolo, l'ho ficcata nell'armadio, le ho piegato le gambe, ho preso la rosa di plastica del portafiori che stava sullo scrittoio e gliel'ho messa fra i capelli. Volevo che restasse bellissima. (p. 111) 
Questa soluzione favorisce una dinamica controintuitiva: le confessioni non servono a districarsi tra le complessità della trama ma a confondere e depistare. Si tratta di un meccanismo narrativo rischioso e ben gestito, sorprendente per un esordiente, che padroneggia un'indagine vorticosa, incalzante, in cui ogni indizio va maneggiato con precauzione. Se siamo bravi a interpretare le parole e ad assecondare le intuizioni, siamo in grado di conoscere poco a poco Callista. Come noi, lo sceriffo Davidoff e Amanda Jones, gemella siamese sopravvissuta alla operazione di separazione da Love e che può contare su un apparato sensoriale più sviluppato della media. 
Quando era piccola, Amanda Jones si accorgeva dell'arrivo di sua madre molto prima che Arleen parcheggiasse l'auto davanti al patio e, a volte, sosteneva di essere in grado di distinguere il battito del proprio cuore da quello di sua sorella Love. (p. 12) 

Amanda lavora all’università e vive a New York, ma ritorna a Keystone in seguito al ritrovamento dei resti di una donna, Seraphine Jackson, figura collegata a quella di Callista. Il suo ruolo è così importante, nella comprensione dei fatti, da portarci a considerarla attrice coprotagonista di questa storia serrata e metaforica.

Sono una ricercatrice della Columbia University ma sono cresciuta a Chadron, Nebraska, mio padre è di Rockerville. Conosco la storia di Seraphine Jackson, al Dipartimento di Psicologia ci lavoriamo ancora. Abbiamo studiato il suo caso per anni e, come potrà comprendere, il ritrovamento dei suoi resti rappresenta un evento fondamentale per la nostra ricerca. (p. 46)   
Daniele Scalese