Liberarsi dal giogo degli estremismi per raggiungere la pace: alcuni scritti dell’autore israeliano David Grossman in “La pace è l’unica strada”

 


La pace è l’unica strada
di David Grossman
Mondadori, 20 febbraio 2024

Traduzione di Alessandra Shomroni

pp. 96
€ 15,20 (cartaceo)
€ 8,99 (eBook)

Un’intera generazione di bambini, a Gaza e ad Ashkelon, presumibilmente crescerà e vivrà con il trauma dei missili, dei bombardamenti e delle sirene. A voi bambini, nelle cui coscienze questo conflitto ha inciso davvero, io sento il bisogno di chiedere scusa, perché non siamo stati capaci di creare per voi la realtà migliore e più sana a cui ogni bambino di questo mondo ha diritto. L’ultima guerra ha dimostrato una volta di più fino a che punto le due parti, Israele e Hamas, sono prigioniere del letale circolo vizioso da loro stessi creato.

La pace è l’unica strada è una breve raccolta di interventi e riflessioni dello scrittore David Grossman che testimoniano il dolore, la paura, la speranza e anche l’impotenza degli israeliani pacifisti oggi. L’ autore, famoso per  romanzi come Vedi alla voce: amore (1988), Che tu sia per me il coltello (1999), per citarne solo qualcuno, condanna le azioni di Israele ai danni dei palestinesi pur credendo nella coesistenza pacifica. Da intellettuale schierato a sinistra, Grossman rappresenta una voce morale, una voce ebraica per la pace e non esita a esternare le proprie preoccupazioni per le sorti della sua nazione raccontando anche delle continue manifestazioni di protesta  da parte del popolo israeliano contro il governo Netanyahu (al potere dal 2022, al suo terzo mandato, ma non consecutivo). Per usare le parole della storica di origini ebraiche Anna Foa siamo, anche secondo Grossman, di fronte al suicidio di Israele. Ma perché? Il pericolo proviene «dalle nostre file», dall’estremismo cieco e abietto della destra ultra nazionalista: è arrivato

il tentativo di riforma giudiziaria dell’attuale governo e Israele ha cominciato a perdere il movimento libero e armonioso tipico di un corpo sano. Ciò che era naturale, fluido e ovvio per la maggior parte dei suoi cittadini (l’identificazione con lo Stato e, pur fra costanti critiche, un senso di appartenenza a esso quasi famigliare) ora vacilla ed è avvolto da timori e incertezze. In verità questo processo di destabilizzazione è iniziato prima del colpo di mano dell’esecutivo di Netanyahu, ma è stato comunque proprio questo a farlo deflagrare con tanta virulenza e a cambiare completamente la realtà. In Israele è in atto un processo di sovvertimento, di sgretolamento del patto sociale e di indebolimento dell’esercito e dell’economia. E non solo il suo slancio si è fermato, ma si assiste a un arretramento verso principi reazionari di discriminazione e di razzismo, verso l’esclusione delle donne, degli LGBT e degli arabi. Verso l’ignoranza e la rozzezza, che assurgono al rango di valori. E come spesso accade a un corpo malato, disturbi nascosti cominciano a rivelarsi.

L’esercito, il sistema giudiziario, anche quello scolastico - sostiene lo scrittore - sono profondamente corrotti, al punto che la democrazia è ormai solo un’ombra; sono stati escogitati gli stratagemmi istituzionali più impensabili per evitare che il loro primo ministro andasse in prigione. 

Le prime pagine di questo testo sono assolutamente quelle più emotivamente intense, intrise di consapevolezza umana, ma la voce di Grossman, per quanto onesta, non riesce a liberarsi del tutto dai limiti di chi appartiene a una parte del conflitto. Bisogna riconoscere dunque la qualità della scrittura, le preoccupazioni di chi appartiene a un popolo che non si è mai sentito, e non si sente a tutt’oggi, al sicuro, ma non si può non sottolineare i vuoti, le omissioni e le ambiguità di questo libro

Grossman parla come padre che ha perso un figlio in guerra sotto i bombardamenti in Libano di Hezbollah, come cittadino israeliano, come letterato: il suo linguaggio arriva ai cuori, tocca le coscienze, ma è ben lontano dalla piena obiettività. L’autore non è uno storico e non finge di esserlo. Non si sottrae al dovere di sottolineare il crimine dell’occupazione della Cisgiordania, ma non si mette mai davvero nei panni del popolo palestinese, mai parla di apartheid nella sua concretezza. Eppure per Amnesty International, Human Rights Watch e ONU, Israele ha implementato politiche che configurano un sistema di ghettizzazione e apartheid a danno dei palestinesi e di alcune minoranze. La discriminazione sistematica, la privazione di diritti e gli abusi sono ben documentati, ma non tutti gli israeliani o sionisti le condividono.

La visione di Grossman è più emotiva che storica, presenta una certa equidistanza morale, tuttavia anche al lettore dotato di poco spirito critico risulterà palese che lo scrittore quando parla di Israele lo fa da dentro, mentre invece riserva molta poca empatia nei confronti dei palestinesi, raramente riesce a immaginare davvero la loro esperienza. Questo sbilanciamento - forse non voluto - genera un effetto di empatia selettiva. Il dolore israeliano è raccontato, incarnato, condiviso, quello palestinese è solo evocato:

Dovremo vivere sempre nella massima allerta, costantemente pronti per una guerra.

Uno dei passaggi cruciali per me è stato questo, scritto a caldo, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023: 

Ma non inganniamoci, non facciamo confusione: con tutta la rabbia che possiamo nutrire nei confronti di Netanyahu, dei suoi accoliti e della sua strada, non è Israele ad aver commesso delle atrocità in questi giorni. È Hamas. L’occupazione è un crimine, ma immobilizzare centinaia di civili, bambini, genitori, vecchi e malati e poi passare dall’uno all’altro per sparargli a sangue freddo è un crimine più atroce.

Si ripresenta il consueto meccanismo in base al quale la condanna dell’occupazione si chiude con un ritorno alla vittima israeliana. Il peso del male resta sempre più forte sull’altro.

La pace è l’unica strada è un libro importante per capire la coscienza israeliana non estremista e pacifista attraverso un autore d’eccezione, ma non basta per comprendere il conflitto israelo-palestinese nella sua complessità storica e politica, poiché si tratta di una lettura onesta, intensa, ma parziale. Concludo questo mio breve scritto con la citazione di un passo che non posso non condividere:

Perciò la vera lotta oggi non è tra arabi ed ebrei, ma fra quanti – dalle due parti – anelano a vivere in pace in una convivenza equa e quanti – dalle due parti – si nutrono psicologicamente e ideologicamente di odio e violenza. 

Marianna Inserra