di Michele Bitossi
Accento, gennaio 2025
pp. 192
€ 16 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Solo che più provo a metterle una dietro l'altra in ordine di importanza, le cose, più cerco di stabilire delle priorità, più mi sembra che vogliano sfidarmi. Ho la sensazione che nessuna di loro sia disposta a rassegnarsi e a farsi da parte, almeno per un po'. (p. 56)
Ma quanto pensa Riccardo?! Viene da chiederselo fin dalle prime pagine di Ma io quasi quasi, romanzo d'esordio di Michele Bitossi, in cui seguiamo per sei giorni i pensieri di un io narrante che sta vivendo un momento di crisi ancor più profonda di quanto sia disposto ad ammettere. Lo conosciamo mentre risponde "va bene" alla sua fidanzata, Anna, che gli ha appena ricordato (e questo è l'incipit del romanzo): "Ne devi fare almeno due alla settimana o ti sparo dritto affanculo". Di cosa si tratta? Di test delle urine per verificare che Riccardo resti pulito.
Sì, perché in tante situazioni Riccardo ha provato a spegnere il cervello fumando o sniffando qualcosa; ora, per amore ma anche per necessità di ripulirsi, ha accettato di sottoporsi a questi test più o meno umilianti, che qualche volta vengono videoregistrati (creando situazioni tragicomiche) perché Anna possa controllare il risultato. Sì, perché Anna non sta con lui a Genova, ma vive a Brescia e non si fida. E questi due fattori incidono fortemente sulla relazione.
Durante le sue giornate, sgangherate e piene di vuoti, che si colmano così di pensieri, Riccardo si divide tra il suo lavoro (dovrebbe individuare giocatori degni di nota da segnalare, in qualità di osservatore calcistico), qualche incontro con persone che conosce, musica di artisti emergenti, telefonate - tante telefonate, tra cui quella giornaliera a sua figlia Nora, una o più di una ad Anna, qualche chiamata dai famigliari -, qualche giro in moto e l'ansia crescente per un responso che sta attendendo e che cambierà per sempre la sua vita. Potrà continuare a vedere sua figlia o avrà l'affidamento esclusivo la madre di Nora, Kerstin? A deciderlo sarà la dottoressa Fontaneto. Sottoporsi a sedute di terapia regolari, restare pulito, non fare colpi di testa sono solo alcune delle rivoluzioni che Riccardo ha accettato, pur di continuare a vedere Nora, e non solo in compagnia di un educatore, in giorni e orari stabiliti...
Allora cosa fa Riccardo? Prova a concentrarsi, come si ripete spesso nel romanzo, ma non sempre ce la fa, e noi lettori seguiamo libere associazioni, improvvisi cambiamenti di pensiero, tra l'intrufolarsi di un ricordo apparentemente scollegato da quanto detto prima e il ritorno di una responsabilità a cui far fronte, una preoccupazione che torna a rimordere,... E, su tutto, l'incombente sensazione di non riuscire a essere all'altezza delle aspettative di Anna, della famiglia, della bambina, più in generale di una società che ci vorrebbe sempre vincenti...
Devi essere te stesso, mi diceva la mia compagna, me lo dicevano i miei amici, me lo diceva mia madre; ma come faccio a essere me stesso? Neanche lo so cosa vuol dire Me stesso. Chi sono io? Sono quello che sta parlando adesso, sono uno che è qui, su questo pianeta, come tutti, no? Sono come un pappagallo, come l'edera, come quel calorifero lì. Devi essere te stesso. Ma come facciamo a essere noi stessi se passiamo la vita a sbatterci per farci accettare dagli altri perché evidentemente i nostri genitori non ci hanno accettato? Pensa positivo, mi dicevano anche. Sì, sì, certo, perché son vivo, perché son vivo, ma vaffanculo va'. (p. 47)
E in questo stralcio c'è un po' la cifra stilistica ed espressiva di Ma io quasi quasi, ovvero un monologo interiore pieno di colloquialismi (non potrebbe essere altrimenti, per aderire al personaggio) ed espressioni gergali, che trasuda una spontaneità che è invece frutto di grande lavoro stilistico; creativo all'inverosimile, il periodare di Michele Bitossi ha un ritmo che batte la musica di un cuore irregolare, fatto di reazioni istintive difficilmente tenute a freno e, viceversa, di lunghe pause di pigrizia e di noia. Riccardo vive e agisce ora senza quasi pensare (e qui spesso scattano situazioni tragicomiche), ora lasciandosi travolgere dall'overthinking. Proprio questo contrasto rende pienamente il conflitto interiore di un personaggio contemporaneo come ce ne sono pochi, che racconta una vita in minore, "incasinata", senza grandi aspettative, sovrabbondante di pensieri e di stimoli che si riducono a pochissime soddisfazioni, ancor meno godimento.
Viceversa, il romanzo d'esordio di Michele Bitossi è una lettura decisamente godibile, piena di creatività e ironia, scorrevole e apparentemente leggera anche quando Riccardo ci mette davanti a un vuoto valoriale. Andando oltre, cogliendo quanto è solo il personaggio, quanto la sua città è un teatro di cui non vede quasi neanche più le luci, si capisce che questo è un romanzo che trasuda di realismo spinto, scomodo, per tratteggiare una vita bruciata in cui si affacciano ancora desideri prudenti, senso d'umanità, bisogno di un amore che non si sa bene definire né chiedere nel modo giusto. Ma io quasi quasi si apprezza ancora di più alla luce della nota d'autore finale, che narra l'occasione da cui è nato il personaggio di Riccardo.
GMGhioni
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