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Sull'umano e l'inumano: «Strane» di Guillermo Arriaga

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Strane
di Guillermo Arriaga
traduzione di Bruno Arpaia
Bompiani, gennaio 2025 

pp. 432
€ 22(cartaceo)
€ 14,99 (ebook) 

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“Non sono tutti uguali, ho visto casi in cui non possono pronunciare una sola parola e non sono nemmeno capaci di girare lo sguardo verso una voce, a prescindere dal loro stato, farò sempre ogni sforzo per restituire loro il senso dell’umano”, la sua ultima frase, “restituire loro il senso dell’umano”, condensava il mio scopo nella vita, la ragione per cui avevo sconvolto il mio mondo. (p. 259)

Guillermo Arriaga è un autore con cui ormai si può andare (quasi) a colpo sicuro. Abbiamo già recensito i suoi due ultimi lavori, Il selvaggio (2018, di cui ci siamo occupati ben due volte: qui e qui) e Salvare il fuoco (2021, di cui abbiamo parlato qui). Oltre a essere autore di diversi libri, è stato anche sceneggiatore di film ormai famosi come Amores perros e 21 grammi. Insomma, come detto si può andare (quasi) a colpo sicuro, poiché Arriaga ha una propria voce forte e dei temi ormai consolidati. Al di là della violenza che caratterizza i suoi testi, infatti, Arriaga ama indagare l’umano nelle sue forme più crude e crudeli. I suoi sono antieroi grigi ma tendenti al nero i quali, pur vivendo in ambienti nei quali è necessario fare di tutto per sopravvivere, riescono spesso a mostrare una dolcezza latente e una capacità di empatizzare con chi gli vive accanto.

Non fa eccezione il suo ultimo lavoro, questo Strane che già dal titolo manifesta il proprio quid. Strane infatti, al di là della trama che vede protagonista il giovane William Burton, nobile inglese del secondo Settecento, si focalizza su tutto ciò che di strano e perturbante può capitare agli esseri umani e non per loro colpa o scelta. Le stranezze, che a un certo punto attirano le attenzioni di William al punto da fargli desiderare di rinunciare al proprio titolo e ai propri privilegi per intraprendere la carriera di medico, sono quasi sempre stranezze congenite. Nel corso degli anni William entra in contatto con le più disparate deformazioni, dall’ipertricosi dei cosiddetti “lupi mannari” all’ittiosi degli “uomini pesce”, dalle escrescenze nodose che rivestono le mani e i piedi di uomini e donne fino al caso emblematico di due gemelle siamesi, caso che comporterà un viaggio avventuroso alle radici del Nilo per indagare questo strano fenomeno al fine di trovare una possibile cura.

La narrazione serrata si avvicenda in modo inestricabile con elucubrazioni sulla natura umana tipiche di un saggio di filosofia di stampo quasi illuministico. Non mancano le indagini sulla medicina di fine Settecento e i dilemmi morali che di necessità sorgono in questi casi. Sono la curiosità di comprendere l’incomprensibile e l’empatia necessaria per trattare gli “strani” come esseri umani a portare avanti la narrazione. William Burton e gli altri personaggi sono individui a volte ai margini della società proprio per la scelta di dare una speranza ai meno fortunati, e c’è da dire che Arriaga è fenomenale nel riuscire a creare personaggi indimenticabili quali il farmacista Wright e il dottor Black, entrambi futuri mentori del giovane ex nobile. Vivendo in un’epoca moderna ma comunque non priva di superstizioni, la vita e la carriera di questi personaggi sono ardue, sempre in bilico fra il portare il pane a casa ogni giorno e il salvare vite umane.

La narrazione, si è detto, è serrata, e questo nonostante una scelta stilistica che devia molto da quella tipica di Arriaga vista nei precedenti lavori. L’autore ha infatti deciso di affidare tutta la narrazione a un lunghissimo e quasi ininterrotto flusso di coscienza in prima persona di William Burton. Il risultato è che la paratassi, la quasi totale assenza di una punteggiatura precisa – solo virgole e pochissimi punti, forse meno di un centinaio in tutto il libro – e l’uso minimo di a capi rendono la lettura di questo testo particolarmente ostica. Il lettore si trova davanti a muri di testo per decine di pagine (un po’ come capita a chi si avventura nei romanzi dello scrittore ungherese László Krasznahorkai, per intenderci), elemento che può dissuadere dal proseguire il testo, e non solo per la difficoltà di ritrovare il punto nel momento in cui si riprende la lettura, bensì anche perché il fluire di una frase nella successiva fa a volte perdere l’enfasi di un determinato momento (è questa infatti la forza del punto: dare un senso di conclusione e consentire al lettore di fare una pausa prima di continuare). C’è da chiedersi quanto questa scelta stilistica fosse necessaria per un libro del genere, che forse avrebbe richiesto una narrazione più classica. Piccola nota a margine: interessante è invece la decisione di Arriaga di utilizzare soltanto parole coniate prima del 1790, così da rendere più verosimile il tutto.

In definitiva, Strane è un bellissimo romanzo sull’umanità e la disumanità delle persone, sulla curiosità scientifica e sul mistero dell’esistenza. La scelta di una scrittura complessa rende questo testo particolarmente ostico da leggere, con il rischio di allontanare i lettori.

David Valentini