“Di noi tre”
di Andrea De Carlo.
Torino, Einaudi
472 pg.
Livio, Marco e Misia: tre amici. La storia di un’ amicizia, un’ amicizia incredibile (nel senso che forse non è veramente possibile un’ amicizia così intensa e invadente), viscerale, vibratile, ma anche distruttiva, forse la storia di un’ ossessione. Livio, neo-laureato in Storia medievale, trova di fronte a sé il mondo, e non sa cosa fare. Marco, troppo coerente con se stesso per laurearsi, troppo lucido nella propria follia idealista, decide di mollare gli studi e fare un film. Appare Misia: è bellissima, è luce densa e movimento, è ritmo e musica, è fluido elettrico che si diffonde e spacca le formalità e i conformismi, e quando invade irreparabilmente le vite di Marco e Livio, non c’ è per loro alcuna possibilità di difesa. Livio, invasato dallo sguardo vitale di Misia, incomincia a dipingere, e Marco riesce a portare a termine per la prima volta nella sua vita un progetto: il film.
Le biciclette, i bagagli, i viaggi, i dischi, i parchi di Milano, le cantine di Londra, i cieli lividi delle città e delle periferie, il mare, le comuni, pellicole, restauri e colori sulle tele. Troverete tutto questo nel libro, troverete gli anni settanta, con la loro musica, e troverete gli anni ottanta italiani, scalzati con schifo come anni di rimbambimento triste davanti ai colori sgargianti della televisione, ai sorrisi finti di starlette scosciate. Gli anni ottanta come la fine di una vita sociale autentica e la televisione come simbolo della solitudine disperata. Troverete la storia di tre persone che hanno tentato di essere autentiche, perché questo è ciò che può dar senso alla vita, di liberarsi senza reti di protezioni, familiari, lavorative, che si sono sempre domandate quanto lontano da se stessi stessero sprofondando, ed hanno sempre deciso di voltarsi e cambiare il senso del tragitto, veramente qualunque cosa questa scelta potesse costare. Troverete la storia di una scalata al cielo, forse dell’ ultima generazione, bella e violentata, che l’ abbia tentata. Troverete un’ analisi per suggestioni delle istituzioni di potere della società: la vita familiare come prigione, il mondo del lavoro e soprattutto quello dello spettacolo come circo che chiede di piegare la dignità, gli ospedali come luoghi di controllo ineludibile, nei quali l’ individuo viene spogliato di ogni peculiarità, e poi le convenzioni sociali, la sicurezza soverchiante delle posizioni nel mondo, la droga come tentativo di fuga e autodistruzione. Troverete albe e sconfitte, un senso di pessimismo circa la condizione umana e sociale, la difficoltà sempre maggiore di dirigere la propria vita. La mia critica a questo testo è che vite come quelle dei protagonisti possono esistere solo dal punto di vista di condizioni sociali privilegiate, come dev’ essere stata quella dell’ autore in gioventù, e una costruzione così fatta dei personaggi rischia di renderli irreali. Ma d’ altronde questo è un romanzo, ed è un romanzo bellissimo.
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