di Sándor Márai
Biblioteca Adelphi, Milano 2011
Traduzione di Laura Sgarioto
1^ edizione: 1943
pp. 163
€ 16
Sì, è evidente che i gabbiani vivono con grande energia, e non sono in molti a chiedersi se la vita di un gabbiano abbia uno scopo. [...] Per decenni ho percorso questo ponte due volte al giorno, e vedo ora per la prima volta i gabbiani, pensa. Li vedo con gli occhi di questa donna. Anche lei ha gli occhi grigioverdi come l'altra... come quelli di un uccello o di un animale.
A un anno dall'uscita delle Braci, capolavoro indiscusso dello scrittore ungherese Sándor Márai, si affaccia Il gabbiano, romanzo-saggio di neanche duecento pagine, solo quest'anno tradotto in italiano per la casa milanese Adelphi. Come nell'opera precedente, la trama del Gabbiano è strutturata su un triangolo amoroso suis generis, dal momento che un alto funzionario statale riconosce nella donna che gli si presenta davanti, Aino Laine, una donna da lui segretamente amata, suicidatasi tempo prima.
Tuttavia, come sempre in Márai, la trama non è che un pretesto per una riflessione filosofica ed esistenziale, talvolta punteggiata di polemica sociale e politica. Oggetto di ripetuta critica è la società di massa che inizia ad essere riconosciuta dagli intellettuali più acuti:
Queste persone sono sempre massa, anche quando sono da sole. La loro anima è semplicemente un atomo dell'anima della massa: una brulicante impersonalità, che ha un'"opinione" su ogni cosa, e non ha una reale conoscenza pressoché di niente, ma spaurita, piroettando, scintillando, disordientata e senza uno scopo cerca una direzione in cui sciamare... Perché ti stupisci? Questa massa è il cascame di una civiltà; queste donne dal volto imbellettato come mummie egizie, questi uomini dallo sguardo fisso e crudele, che indossano i loro abiti borghesi alla moda dal taglio impeccabile neanche fossero la divisa di una società segreta. Ovunque gelida complicità.
Non dimentichiamo che l'uscita di questo libretto si colloca in un momento delicatissimo della storia europea, e la guerra entra prepotentemente anche nel romanzo. Infatti, il funzionario, protagonista indiscusso e unica voce "pensante", quando riceve nel suo ufficio Aino Laine ha appena consegnato la dichiarazione dell'entrata in guerra, che sarà resa pubblica il giorno seguente. E tutta l'azione si concentra in quelle scarse ventiquattrore che precedono la notizia. Accecante nella sua lucidità il passo in cui il funzionario osserva all'Opera lo sfarzo angosciato del pubblico, che cerca di oscurare ciò che in verità prevede drammaticamente. E tuttavia, oltre alla guerra europea, il protagonista deve affrontare anche una guerra interiore, suscitata dall'arrivo di Aino Laine: la guerra dei sentimenti, che aveva tanto abilmente accantonato:
Amore... Non ricordi? Da tempo c’era tranquillità in te e intorno a te. Avevi ormai perso l’abitudine di guardare di tanto in tanto l’orologio senza motivo, di drizzare le orecchie quando squillava il telefono, di voltare di scatto la testa se qualcuno abbassava la maniglia della porta, di frugare in mezzo alla posta del mattino con smaniosa curiosità alla ricerca della grafia familiare sulla busta... tutto questo era ormai passato. E ora? Non hai paura, non ti vergogni ad accogliere nuovamente nella tua vita questa torbida e umiliante inquietudine?
E ancora:
E’ questa l’altra guerra che si cela dietro quella visibile: la guerra delle coppie. Ma nessuno storiografo ne ha mai scritto. Peccato... Però si tratta di una guerra, Aino Laine, e miete non poche vittime. E chi ne è consapevole, a una certa età e dopo aver accumulato una certa esperienza, soppesa l’eventualità della vita e della morte quando si china verso il volto di un altro essere umano per baciarlo, un essere umano che è sì una replica, ma - purtroppo, o grazie a Dio - è anche diverso. Ma poi lo bacia ugualmente, vedi... l’esperienza non gli è servita a nulla. E dice: “Tu”, e dice: “Resta qui”.
In questa solitudine, che è tappa fondamentale dell'amore («L’essere umano forse non è mai così solo come quando il destino lo solleva dalla folla e lo assegna a far parte di una coppia»), l'uomo ha modo di confrontarsi con le sue più grandi paure. In particolare, il protagonista riflette sulla ripetibilità o sull'individualità della persona umana. Sconvolto dalla somiglianza straordinaria tra Aino Laine e la defunta Ilona, il funzionario si interroga su quale sia la reale identità di ognuno, e se qualcosa garantisca l'unicità. I fatti negano di essere unici nel corpo, ma l'interiorità è diversificata, in «sfumature» irripetibili e inimitabili, e Aino Laine ha peculiarità che la distinguono significativamente da Ilona.
Muovendosi tra fantasmi e nuove apparizioni, il protagonista si trova a sciogliere ben più di un dubbio, e a prendere coscienza di realtà che prima non lo avevano affatto sfiorato, come l'esistenza e lo scopo di vita dei gabbiani (da qui il titolo e la frase scelta per aprire la recensione). Se la trama è avvincente e di per sé già interessante, il vero pregio di questo libro sta negli interrogativi filosofici. Márai agisce furbamente: la trama del libro potrebbe essere stata una costruzione a posteriori, per incastonare le riflessioni in una struttura narrativa più accattivante per ogni lettore che ama la speculazione appoggiata al racconto. Appoggiata? Meglio dire penetrata nel racconto, profondamente incuneata e stretta dalle maglie della narrazione: la bravura dello scrittore ha fatto sì che la storia non si slabbrasse mai dalle divagazioni esistenziali; le due compagini si co-alimentano continuamente, dando al romanzo un'unica sfumata, non ripetibile individualità.
Gloria M. Ghioni
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