La bambina di neve
di Eowyn Ivey
Einaudi Stile Libero, 2011
pp. 409
€ 19
“Mabel sapeva che avrebbe trovato il silenzio. [...] Si sarebbe lasciata alle spalle tutti i rumori dei suoi fallimenti e rimpianti, e al loro posto ci sarebbe stato solo silenzio. Nelle lande selvagge dell’Alaska, aveva immaginato di trovare un silenzio fatto di pace, come neve che cade di notte, l’aria piena di promesse ma senza suono.”
“Mabel sapeva che avrebbe trovato il silenzio. [...] Si sarebbe lasciata alle spalle tutti i rumori dei suoi fallimenti e rimpianti, e al loro posto ci sarebbe stato solo silenzio. Nelle lande selvagge dell’Alaska, aveva immaginato di trovare un silenzio fatto di pace, come neve che cade di notte, l’aria piena di promesse ma senza suono.”
Silenzio, neve, solitudine. E un dolore lontano impossibile
da dimenticare, che pesa nel cuore e annebbia ogni sentimento, ogni tentativo
di trovare serenità.
Sono gli anni ’20, ma in un luogo e in un’intima sofferenza
dove jazz e champagne non esistono, dove Mabel e Jack, coniugi di mezza età, cercano
rifugio per sfuggire a quella sofferenza che li sta annientando. È l’Alaska,
fredda e selvaggia, dove i due decidono di trasferirsi per vivere lontano da
tutti, contando solo sulle proprie forze per strappare a quella terra crudele
sostentamento e cercare di superare la perdita di un figlio nato morto, tanto
tempo prima. In questa terra estrema che hanno scelto come casa, Mabel e Jack cercano
di ricostruirsi una vita e salvare il loro matrimonio: due ragazzi che un tempo
si amavano pazzamente ma che il dolore ha allontanato sempre più.
Tra la fatica e la routine della quotidianità domestica, passano i giorni, le settimane, i mesi, si alternano le stagioni meravigliose e
spietate in quella landa dimenticata.
Finchè una notte porta la prima neve dell’anno: presi
dall’improvvisa gioiosa frenesia infantile, Mabel e Jack costruiscono un
pupazzo vestito di guanti e sciarpa: una bambina di neve. Un attimo di euforia
che scivola nella notte e che sembra solo un momento di spensieratezza fugace.
Ma la mattina dopo la magia continua, il pupazzo di neve è misteriosamente
scomparso e da esso sembra essere nata una bambina bionda ed esile, vestita di
un cappottino azzurro e dei guanti e della sciarpa di Mabel.
Sogno o realtà? Chi è quella creatura che si aggira per i
boschi come una fata, leggera e veloce, selvaggia e delicata? Quale che sia la
sua origine, è un dono improvviso e bellissimo nelle vite dei due, che porta
gioia, attesa, speranza. Anche quando le origini della bambina si fanno meno
misteriose, la sua presenza nella vita di Mabel e Jack non perde di intensità e
magia, che grazie alle sue visite impreviste e via via più affettuose sembra
sciogliere i nodi che essi portano nel cuore da tanto tempo. La malinconia si
affievolisce, quella terra selvaggia pare svelare grazie a Pruina, la bambina
di neve, un fascino inatteso, la voglia di riscoprire affetto e amicizie si fa
sempre più intensa.
“Possiamo decidere i finali che vogliamo, la gioia che vince sul dolore? Oppure il mondo crudele ci dà e ci toglie, ci dà e ci toglie, mentre noi ci dibattiamo nella natura selvaggia?”
Anche se Pruina è una creatura dei boschi, fata o bambina
che sia essa appartiene alle montagne, che sono la sua casa e la sua essenza, e
a quei boschi fa sempre ritorno, lassù dove la neve non si scioglie mai e il
cielo è terso ed immenso.
Un romanzo bellissimo, l’ennesimo sorprendente esordio dello
scorso autunno (anche se in realtà la prima edizione originale è del 2009) di
una giovane scrittrice che ha fatto dei libri e della parola scritta la sua
vocazione ed impiego (è libraia, blogger e collabora con giornali e riviste) e
che con questo romanzo ci restituisce tutto il fascino, la magia e lo
struggimento delle terre d’Alaska:
“Lassù le stelle brillavano metalliche e distanti, e il cielo della notte le sembrò crudele”
nelle parole di Mabel, inconsolabile e malinconica. Una narrazione
a tratti onirica e incantata, continuamente sospesa tra sogno e realtà, per una
storia dolce e malinconica su due persone ferite che cercano la serenità e
qualcuno cui offrire il proprio amore. Eowyn Ivey, che come ricorda lei stessa
deve il suo nome alla tolkieniana principessa di Rohan, ha la capacità di
evocare la struggente malinconia di quei paesaggi selvaggi, un Alaska
bellissimo e terribile che è il vero protagonista del romanzo, con i suoi
odori, i suoi colori, le sue creature. La neve, che tutto dissolve e ricopre,
custode di segreti e magie, grazie alla quale tutto pare possibile, persino
l’arrivo di quella creatura misteriosa. Una narrazione che nell’evocazione
precisa dell’atmosfera ha il sapore di un racconto classico, il cui sfondo è
ben più che questo, si fa parte integrante della storia e delle vite di quei
personaggi che lo colorano, così umani, veri, indimenticabili nella loro
tragica sofferenza e desiderio di amore.
Debora Lambruschini
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