Appunti e note di diario
di Scipio Slataper
a cura di Giani Stuparich
Milano, Mondadori, 1953
Scipio Slataper è ricordato per la scrittura di quel singolare romanzo di formazione dalla profonda impostazione autobiografica e lirica che è Il mio Carso. Ma è davvero un autore da unica opera? Nonostante la giovanissima età in cui ha trovato la morte nella Prima Guerra Mondiale, Scipio Slataper ha avuto una fervida attività di scrittura, che l'ha reso un entusiasta "grafofilo", senza però scadere nella grafomania.
Lettere, appunti di lavoro e note di diario hanno accompagnato la stesura del Mio Carso, rispettando il disordine e la sregolatezza proprie della vitalità dell'autore. Come precisa Giani Stuparich, curatore della raccolta di Appunti e note di diario, uscita per Mondadori negli anni Cinquanta e purtroppo fuoricatalogo da troppo tempo, i foglietti sparsi, i tanti quaderni iniziati e abbandonati rivelano la mancanza di pazienza di Slataper e la conseguente tendenza alla discontinuità. Secondo Stuparich, amico e critico, Scipio «pensava se mai alla possibilità non d’un diario sentimentale o estetizzante, ma d’un diario morale»[1] in cui si cimenta fin dal 1905 (anche se le prime note di qualche interesse si affermano dal 1907). Molto spesso i quaderni sono indirizzati a un amico, cui Scipio si rivolge direttamente, come nel caso del "Diario per Marcello" nel 1907:
6 febbraio 1907 (dopopranzo)[…] Tu non puoi credere con quanto piacere di sollievo io scriva: mi par di scoprire con un lieve gesto me a me stesso.Volevo scrivere veramente “me a te”, ma scrivendo intuii la vera fonte di letizia. Così spesso mi accade: sulla carta i miei pensieri si fanno precisi. Nella parola detta invece la mia mente non sa pulire le loro sbavature. Anche: scrivendo non posso dir bugie.
In tal senso, dunque, i diari diventano anche il luogo per celebrare un'amicizia, rinfrancarla e pensare a una futura rilettura, da adulti:
[…] Per riposare, rileggo ciò che scrissi. Che splendida idea la mia! I due libretti saranno la cronologica storia delle nostre anime. Pregusto, nella gioia contemporanea, la gioia che ne verrà fra anni: rivivremo.[3]
Ma scrivere il diario è, per Scipio, anche uno sforzo di autocritica ("In fondo tener un diario non può voler dire altro che giudicarsi ogni giorno", [22]) e riflessione interiore, un "vangare la sua anima" [4], a conferma dell'aspetto introspettivo che è proprio delle scritture del sé. Oltre a questo, nella eterogeneità dei frammenti troviamo spesso accenni alla ritualità della pratica quotidiana diaristica ("Penso che scriver qui qualche cosa ogni sera è come un atto di preghiera", [14]), ai dubbi sulla sua utilità ("Scipio, sai che cosa hai scritto questa sera? Sei proprio convinto o è il tuo personaggio che ha parlato in te? Io non so, non so", [11]) e alla sua sospensione, per motivi esterni o per semplice dispetto ("Ti dirò perché tu mi comprendi e perché mi sei sorella. Ma ora non ho più voglia", [13]).
Il tema di "conciare l’anima nell’inchiostro" [8], come presumibile, è molto presente: viene indagato dallo Slataper-scrittore, che per aforismi e riflessioni metaletterarie lavora alla costruzione della propria immagine di scrittore:
Ultimi di dicembre 1907[…] Un buon criterio critico è questo: leggere fumando. Se la sigaretta si spegne vuol dire che il passo è buono.[5]
Come se qualche cosa mi succhiasse il sangue fuori dalle dita. Sudo terribilmente: ogni tanto all’anca sento una goccia cader fredda, umida: quando scrivo. E qualche volta parlo forte, urlo quello che voglio scrivere. Perché non sono scrittore? Afferro con la mano – proprio fisicamente – qualche cosa che mi sfugge.[9]
Chi scrive sa che esiste, che c’è un’armonia della verità. Come architetta un particolare che stona nel ritmo, pensa e trova che veramente è un’altra cosa. Questo fa pensare all’unione dell’armonia col vero.[20]
17 febbraio 1911Stasera rimessomi finalmente al Mio Carso ho rideciso di tornar a scrivere qualche cosa nel mio diario. Prezz[olini] dice che spesso gl’italiani dovrebbero cominciare a tenere il loro diario. Dopopranzo aspettandolo ho scorso alcune sue confessioni che scriveva a Parigi. M’ha fatto piacere legger che la mia lettera per consolarlo (di cui arrossii appena spedita) gli fece veramente bene. In lui v’è una continua preoccupazione di espiazione. Non è forte. Io sono molto più sano di lui. In generale anche ora mi sento molto giovane qui fra gli amici della Voce. È in me qualche brutalità fresca che loro non hanno. Può essere del resto che la mia barbarità non sia che un mito creatomi da me a mia consolazione. Ma continuo a sperare unicamente nell’arte. E tendo e aspetto l’amante. Gioietta è lontana. Sarà sempre un punto di purezza meravigliosa a cui tornare, stanco. Ma ora devo vivere completamente.[15]
A queste pagine si aggiungono le riflessioni di Slataper-lettore appassionato, critico della contemporaneità ("5 agosto 1909. Vi sono degli uomini che se tutto l’universo bruciasse correrebbero col berretto da notte in cucina a prender acqua. E altri piscierebbero", [7]) almeno quanto ammiratore della bella scrittura, senza invidie:
17 luglio 1908Oggi ho risolutamente cominciato ad effettuare la mia convinzione: che come il calzolaio, così anche (o Carducci, te eretico!) il poeta deve difendere le sue opere.[6]
Vi si rintraccia il rapporto controverso con i Vociani ("Io non sono fatto per tener diario. Se ho qualche cosa da dirmi, dico: scrivo lettere. L’agire sugli uomini è il mio diario. L’altra sera appena scritto ero già deciso di non continuare. Ma ho pensato che sarebbe utile appuntare la nostra vita vociana", [16]), la delusione per la superficialità dei rapporti con Prezzolini ("Ho letto il diario di Prezz[olini]; di furto, senza rimorso. La mia visione su di lui è perfettamente vera; ma mi dispiacque di non aver trovato una grandissima dimostrazione di ammirazione per me (!). E non comprende anche che io non sarei disposto a sacrificare il lavoro veramente mio per lui. In fondo io sono anche un essere d’una grande capacità immorale. Bisogna che la confessi in un’opera d’arte. So meravigliosamente l’arte d’ottenere in modo che mi sia dato contro la mia volontà. So raffinatamente", [17]), il senso di inadeguatezza e il desiderio di essere pienamente accolto, pur volendo mantenere ben distinta la propria identità e il proprio attaccamento al Carso ("Il Carso come ristoro della nostra civiltà", [18]).
Straordinario pensare che tutti i pensieri sono scritti da un ragazzo neanche ventenne, che si affaccia al mondo della scrittura e denuncia con lucidità che le sue stesse confusioni sono strumento fondamentale per la creazione:
Le immagini non si illimpidiscono: perché non si fondono come in una soluzione. E scrivo di ciò, con ciò.[25]
Gloria M. Ghioni
[1] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 10.
[2] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 24.
[3] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 25.
[4] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 40-1.
[5] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 67.
[7] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 82.
[8]
Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 89.
[9] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 95.
[11] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 108.
[13] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 117.
[14] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 132.
[15] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 132.
[16] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 133.
[17] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 144.
[18] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 152.
[20] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 169.
[22] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 231.
[25] Scipio
Slataper, Appunti e note di diario, cit., 267.
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