di John E. Williams
postfazione di Peter Cameron
Fazi, 2012
William Stoner si iscrisse all’Università del Missouri nel 1910, all’età di diciannove anni. Otto anni dopo, al culmine della prima guerra mondiale, gli fu conferito il dottorato in Filosofia e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò ad insegnare fino alla sua morte, nel 1956.
L’incipit di Stoner, il romanzo che John Williams pubblicò nel 1965, è forse uno dei più curiosi e destabilizzanti letti negli ultimi tempi: in poche righe infatti l’autore pare svelare tutto ciò che un buon romanziere si propone di centellinare pagina dopo pagina creando la giusta dose di suspense ed emozione. Williams stravolge le regole e sembra avvertire il lettore già in queste prime righe dell’ordinarietà di quella vita che si appresta a narrare, la storia di un uomo qualunque che tende a non brillare per lo straordinario talento o l’eccentrica personalità, un uomo come tanti se ne possono incontrare per le strade, all’Università il microcosmo in cui l’eroe/antieroe si muove sempre senza troppa disinvoltura: un compagno di studi non proprio loquace e concentrato – il tipico nerd, prima che esserlo diventasse una moda – un professore preparato eppure incapace per lo più di coinvolgere appieno il suo auditorium con la propria brillante oratoria. Eppure, come sottolinea nella postfazione Peter Cameron quella che non sembra essere “materia troppo promettente per un romanzo” , grazie allo straordinario talento letterario di Williams si trasforma in “miracolo” e la vita di un tranquillo uomo di provincia del secolo scorso diviene il mezzo ideale per riflettere sull’esistenza stessa, i sentimenti e i legami, la dedizione, la necessità della conoscenza, infine la morte. Un romanzo pubblicato quarantasette anni fa e da allora inspiegabilmente finito nel dimenticatoio, ma che grazie alla ristampa americana del 2003 ha dato il via ad una riscoperta mediante passaparola di lettori e critiche entusiaste che ne hanno decretato il successo, restituendo all’opera il posto che merita nel quadro della letteratura contemporanea. Decisamente in ritardo – ma fortunatamente presente – la pubblicazione italiana per Fazi Editore proprio quest’anno ha acceso anche nel nostro Paese il dibattito su Stoner.
È questo un romanzo quindi incentrato sulla vita di un uomo semplice, proveniente da una famiglia di umili contadini, che si ritrova per volere del padre a frequentare l’Università del Missouri nello specifico la facoltà di Agraria, che egli spera possa dare al figlio le competenze necessarie a risollevare le sorti dell’antico lavoro di famiglia. Stoner quindi viene introdotto in un mondo così estraneo da esserne intimorito, ma è una paura che immediatamente si tramuta in venerazione:
“Per vari minuti, dopo che il carretto si fu allontanato, Stoner rimase immobile a fissare il complesso di edifici. Non aveva mai visto nulla di così imponente. I palazzi di mattoni rossi si stagliavano su un ampio prato verde, rotto da sentieri di pietra e piccole aiuole. Al cospetto di tanta magnificenza, d’un tratto provò un senso di sicurezza e serenità che non aveva mai sentito prima..."
È quella sensazione di sentirsi a casa, qualunque essa sia, di aver trovato il luogo di appartenenza, che spinge il giovane ad abbandonare i piani paterni per dedicarsi (all’insaputa dei genitori) agli studi letterari cui si applica con dedizione quasi disperata, fino all’improvvisa rivelazione del professor Sloane che gli svela il suo destino: l’insegnamento, una carriera cui mai avrebbe pensato potersi dedicare e che egli svolgerà tutta la vita, tra risultati ed emozioni a fasi altalenanti ma sempre con serietà ed impegno costante, presso quella stessa università che lo ha accolto e che fin da allora era diventato il metro di paragone per il mondo. In mezzo, da ragazzo appena arrivato dalla campagna Stoner diventa uomo, sposa la prima ragazza per cui sente battere il cuore e costruisce insieme a lei una casa e una famiglia nonostante fin da subito è chiaro come nessuna delle due cose risulti facile e la delusione per la vita matrimoniale con Edith – una donna dalla personalità controversa che a tratti pare godere delle pene inflitte al marito, personaggio che senza dubbio meriterebbe una più ampia riflessione- pare affiorare dalle pagine con tutta la sua carica di dolore; diversi anni dopo incontra una donna con cui condividere interessi, sentimenti e lasciarsi andare alla passione, e allo stesso tempo riflettere sulle frustrazioni lavorative derivanti da un forte antagonismo con un collega. Tutta la vita di William – Bill – Stoner scorre davanti al lettore, di cui se ne può avvertire tanto distintamente la passione per lo studio, il desiderio di un focolare accogliente, le delusioni, le perdite e costante la sensazione di aver avuto accesso così inaspettatamente ad un luogo privilegiato che egli ha eletto come casa.
Un romanzo straordinario, che trae la sua forza dalla narrazione perfetta con cui è costruito e che si imprime nella mente del lettore, si insinua nelle pieghe dei pensieri e nel cuore e ci sorprende ancora una volta del potere della parola scritta.
Debora Lambruschini
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