Doppio umano
Fabio Izzo
Edizioni Il Foglio letterario, 2012
pp 164
14,00
“Come può un poeta fare del male?”
Si riassume così, “Doppio umano”
di Fabio Izzo. Bisogna porsi al di fuori della morale per raccontare da autore,
e accettare da lettore, questo romanzo.
Il protagonista è un poeta africano,
perseguitato politico nel suo paese di origine, il Camerun. Sulla scia dei passi
già compiuti da Nazim Hikmet (costretto a lasciare la Turchia per aver
denunciato il genocidio armeno) egli si rifugia in Polonia, sempre chiamata
Qui, a indicare la presenza di un Là magmatico e ancestrale. Chiesto asilo
politico, vive di un misero sussidio, di espedienti e di qualche scritto che
gli pagano. Fin qui niente che non possa suscitare la nostra pietà o, almeno,
la nostra indifferenza. Se non fosse che quest’uomo, di cui non conosciamo il
vero nome perché ha assunto un’altra identità con documenti falsi - e perché il
nome dà troppo potere a chi lo apprende - se non fosse che quest’uomo, dicevamo,
durante la sua permanenza in occidente, fa sesso con sedici donne,
contagiandole consapevolmente del virus HIV di cui sa di essere affetto. Finirà
per questo condannato in un tribunale e morirà in ospedale rifiutando le cure.
Perché lo faccia, non si sa,
forse per ripicca, per rivalsa contro il sentirsi umiliato, fuoriuscito, additato
in terra straniera, solo contro un razzismo che contrappone bianco e nero
individuando in quest’ultimo tutto il male. Da notare la copertina del libro, nera,
con solo uno spiraglio di bianco e una metà grigia, colore principe della
sfumatura, del “doppio umano”, del bene che diventa male.
“Sono forse nato di notte, rimuginava, se la notte è la miseria, il razzismo, l’odio e la guerra… sì … “ (pag 157)
Il mistero di quest’uomo sta in
due parole: poesia e magia. Può un poeta essere malvagio, ci chiediamo? In
realtà dovremmo chiederci quanto la poesia abbia a che fare con l’etica o ne
sia, forse nietzschianamente, al di fuori.
Se usare un profilattico, e
avvisare le proprie partner occasionali dell’essere affetti da Aids,
corrisponde all’ordine regolare delle cose, tacere e contagiarle fa parte del
caos, come caotica, irrazionale, intuitiva ed esplosiva è la poesia.
Simbolo dell’irrazionale è
anche la tromba che suona durante il rastrellamento nazista nel bellissimo
racconto inserito sul finale del romanzo, racconto che, a nostro avviso, vale
da solo tutto il libro.
“La tromba fredda si riscalda e vibra.L’aria intorno trema.La notte arriva sempre impreparata a un suono così.E allora esplode la seconda nota, esplode la memoria delle bande di New Orleans che andavi ad ascoltare la domenica dopo la messa.Miracolosamente agli occhi di quel bambino il demonio cambia colore: non sarà mai più nero.” (pag 159)
E ancora:
“Questo ti rende uomo perché ti infonde paura e le tua musica appassionata aumenta il ritmo, diventa pazzo e scatenato, pazzo e scatenato.”
L’altro termine da tenere in considerazione
è magia. Sarà a causa della magia se il cerchio, che racchiude la trama di
questo romanzo atipico, si avvolgerà su se stesso come un uroboro. Per
preservare dal male il protagonista bambino, suo padre, moderno impiegato imbevuto
però di tradizionalismi tribali, lo porta da uno sciamano che lo taglia con un
rasoio arrugginito. È da lì che la malattia probabilmente penetra nel sangue
del bambino. Il sangue che in Africa “è tutto”. E sarà attraverso il sangue/sperma
che il poeta contagerà le sue vittime, procurando a loro e a se stesso proprio
quel male da cui il rito avrebbe dovuto preservarlo.
Il personaggio si rivela doppio,
diviso fra ciò che è, o meglio sente di essere, cioè un poeta, e le proprie
azioni che ne fanno un mostro.
“Queste persone giudicavano meNon me.Lui.Il risultato delle mie azioni.” (pag 146)
All’inizio e alla fine della
storia si palesa la sua natura africana, incomprensibile e tribale, mentre per
tutta la parte centrale egli ci appare nero solo perché è così che l’autore lo
presenta. Somiglia piuttosto a uno di quegli scrittori maledetti che affollano
i bar di tanta narrativa americana, proprio la stessa che l’autore (sempre per
bocca del suo protagonista) dice di non amare.
“Doppio umano” non è un libro
facile né gradevole, è un’opera stridente che, per essere apprezzata, necessita
di una lettura capace di enuclearne la struttura ben congegnata, non lasciarsi
travolgere dall’andamento poetico (ma non lirico) dello stile, e dalle continue
incursioni metanarrative dell’autore.
Patrizia Poli
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